📣 COMMENTO A SENTENZA
Superando le incertezze della precedente giurisprudenza, la Corte di Cassazione, Sez. 2^, con la sentenza n. 19136/2025, ha applicato all’#appalto #privato il principio secondo il quale, in ipotesi di #nullità del #contratto per contrasto con norme imperative (nel caso di specie, #abusività delle #opere realizzate), l’appaltatore non ha diritto ad alcun riconoscimento economico, neppure a titolo di ingiustificato arricchimento.
L’iter logico giuridico seguito dalla Suprema Corte ha preso avvio dal presupposto dell’accertamento nel giudizio di prime cure della nullità del contratto di appalto, per aver avuto ad oggetto opere abusive dal punto di vista edilizio ed urbanistico.
In caso di realizzazione, in assenza del titolo edilizio, di opere che lo richiedono, il contratto è nullo per illiceità dell’oggetto (Cass. n. 21418 del 2018; Cass. n. 7961 del 2016; Cass. n. 20301 del 2012).
Ciò posto, la Suprema Corte ha ritenuto non condivisibile la sentenza della Corte di appello, secondo cui, nel confermare la sentenza di primo grado, aveva affermato che, pur in presenza della accertata causa di nullità del titolo contrattuale, l’impresa appaltatrice avrebbe validamente agito per ottenere il pagamento dell’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento del Committente, in forza della “mera natura sussidiaria dell’azione proposta”.
L’art. 2042 c.c. stabilisce, invero, il carattere sussidiario dell’azione di #indebito #arricchimento, prevedendo che essa non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito.
Alla luce di tale previsione, si è posta la questione se l’appaltatore possa agire mediante la citata azione di ingiustificato arricchimento nei limiti in cui i lavori eseguiti rappresentino un arricchimento per la controparte, tesi, come detto, fatta propria prima dal tribunale poi dalla Corte d’Appello territoriale.
Ebbene, superando appunto le incertezze della precedente giurisprudenza, la Suprema Corte ha negato che, in tali casi, l’appaltatore possa esercitare l’azione di ingiustificato arricchimento.
Precisa la sentenza in commento che “La Corte di appello affida la soluzione diversa ad una nozione di sussidiarietà del tutto astratta, che non considera i numerosi temperamenti introdotti dal diritto vivente, in particolare nelle ipotesi in cui oggetto di indennizzo è lo svolgimento di attività precluse o vietate da norme imperative”.
Consentendo l’azione ex art. 2042 c.c. nella fattispecie esaminata, si determinerebbe l’elusione di un divieto posto a tutela di interessi generali e quindi inderogabile ed indisponibile.
Ritenuti assorbiti gli altri motivi del ricorso, la Corte di Cassazione ha pertanto cassato la sentenza della Corte d’Appello, deciso nel merito e rigettato la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento proposta dall’appaltatore.
Marina Gioja