Ciao papà

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Ciao papà


ce lo siamo detti fino all’ultimo. Che bella la tua vita. E che fortuna andarsene prima dei figli. Il padre eterno mi ha ascoltato, mi dicevi, quando lo sapevi già che stavi per partire. E io piangevo e tu mi dicevi, con un filo di voce ma col tuo spirito indomito, “che brutta faccia che hai”. E’ la mia faccia, papà, io non sono come te... E tu: forza. 


Sì, forza. Io da quando sono diventato adulto la forza me la venivo a prendere tutte le mattine da te con la scusa di un caffè. 

A piazza Indipendenza quando lavoravi lì (anche io a un certo punto ho lavorato li), e la mattina, dopo il caffè, facevamo il giro della piazza per parlare della Roma, della politica e poi basta perché la piazza era finita ma tanto sapevamo che il giorno dopo ci saremmo rivisti. 

E poi a via Po quando hai cambiato lavoro ma avevi trovato un bar minuscolo e scalcinato che ospitava i nostri incontri quotidiani. 

E poi, sotto casa tua, a piazza Vescovio, quando la malattia si è fatta feroce e non potevi più muoverti tanto. 

E infine a casa, prima in salone e poi gli ultimi giorni, accanto al tuo letto, a commentare le foto dei nipoti, le trazioni di Ferdi, la vitalità di Carlotta, come stanno crescendo, che meraviglia la vita, ce l’hanno tutta davanti loro… Amavi i tuoi nipoti, tutti. 


Siamo molto diversi papà, ma abbiamo sempre parlato tanto, anche se tu non eri di moltissime parole. Ma per capirci non servivano. E le tue per me erano fondamentali.


C’è stato un momento, durato diversi anni, che la mattina mi svegliavo con la tua telefonata. La tua pagella. Avevo da poco iniziato a fare il giornalista per un grande quotidiano. Ai tempi scrivevo di politica e il mio articolo spesso finiva nella rassegna stampa di una radio importante. Io la ascoltavo a letto con gli occhi ancora chiusi (non ero pigro: finivo di lavorare a mezzanotte e andavo a dormire poco prima dell’alba dopo aver fatto il giro dei locali dove di solito incontravo qualche politico in vena di confidenze). La mattina allora ascoltavo la radio compiaciuto mentre leggevano quello che avevo scritto ma soprattutto aspettavo la tua telefonata. La tua pagella al mio articolo: oggi bravo, oggi meno, oggi bravissimo. 

Nulla contava come il tuo giudizio, spietato e onesto, ma fondamentalmente orgoglioso. Porto il nome di tuo papà, il primo dei giornalisti della famiglia Luna. E avevo capito cos’era questo mestiere quando ero ancora piccolo e mi portavi in redazione, nel giornale dove lavoravi, ad aspettare che scrivessi la tua nota politica quotidiana ed io mi mettevo nella rumorosissima stanza delle telescriventi a guardare le notizie dal mondo in tempo reale. Era come Internet prima di Internet. 


C’è stato poi un altro momento in cui non ci siamo detti nulla ma ci siamo capiti al volo. E’ stata una delle tante volte in cui avevo perso il lavoro e per ritrovarlo allora non avevo trovato soluzione migliore che fondare un giornale. Così almeno non avrebbero potuto cacciarmi. Feci una specie di colletta fra un sacco di persone con i soldi che accettarono di finanziare la folla impresa. E tu, che di soldi non ne avevi tanti, mi dicesti: lo faccio anche io. Divento socio. Facesti molto di più. Per quattro anni su quel giornale corsaro hai scritto, con lo pseudonimo di Giorgio Sutri, una rubrica geniale e  cattivissima che avevi scelto di chiamare La Colonna Infame. Una citazione manzoniana che pochi capirono. Dopo appena tre giorni ricevetti la prima querela. Ma avevi ragione tu naturalmente. 


L’ultima volta in cui ci siamo capiti con poche parole è stato qualche giorno fa. Io ero andato a Milano per condurre un evento. E tu mi chiamasti: “Ric, sto morendo”. Me lo avevi già detto due giorni prima e sapevo che era vero. Credevo di essere preparato, ne parlavamo spesso della vita e della morte ultimamente. Ma quella mattina sono andato in frantumi. Stavo per mollare tutto e tornare a Roma. Ma poi ho pensato che faccio questo mestiere anche per te, che molto di quello che ho fatto lo devo a te. E ti ho scritto: Non fare scherzi, papà, martedì torno, aspettami, come se uno potesse dare un appuntamento alla morte. E tu mi hai risposto soltanto: ok. Mi hai aspettato. Senza tante parole. 


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Quando si è sparsa la notizia della tua morte in tanti mi hanno scritto per ricordarti. Mi ha fatto piacere sentire quello che pensano di te. Ne ho scelti alcuni. 


“Tu sei intelligente, Riccardo, ma papà era eccezionale, sapeva sempre farti guardare le cose da un altro punto di vista” (Paolo F.)


“Mi ricordo di Carlo alla nostra età. Un altro pianeta” (Carlotta V.)


“lo ricordo sempre con grande affetto. i nostri veloci incontri al Cigno. Le sue considerazioni attente, sempre avanti.” (Valerio B.)


“Carlo e voi siete tra le cose belle della mia infanzia” (Niccolò)


“Per avere dei figli così in gamba deve essere stato un grande uomo”. (Flaminia)


“Con me è stato un vero amico e un grande direttore (mi affido’ una rubrica)” (Barbara P.)


Riccardo ho saputo di tuo papà Carlo che leggevo in anni lontani e belli, ti abbraccio forte con amicizia. Marco


Un grande uomo Carlo, simpatico, ironico, combattente (Alberto G.)


Non dimentico il forte sostegno e l'appoggio che Carlo mi diede al momento opportuno (Stefano P.)


Ho conosciuto Carlo dai tempi del Sabato, ero il ragazzo di bottega e lui il prestigioso notista politico dal quale mi recavo per ritirare i fogli dattiloscritti sempre all'ultimo minuto utile. Una ventina di anni dopo in un momento per me critico mi accolse generosamente (e generoso lo è stato senza esibizionismi con molti) all'Automobile dove ho potuto conoscerne meglio sia la grande umanità nascosta sotto l'apparente severità  sia le grandi doti professionali. (Walter G.)


Ho personalmente dei bei ricordi quando tra Il Sabato e Avvenire ci siamo incrociati, io giovanissimo e lui pieno della sua storia e fierezza giornalistica. Sono certo che dal cielo ti sarà ancora più vicino. (Angelo)


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Un paio d’ore prima del tuo decesso, all’alba del 29, mi ha raggiunto a sorpresa il lungo messaggio di un amico che a un certo punto mi ha detto: 

“Quelli che se ne vanno vogliono solo vederci felici e sorridenti. È dura da realizzarsi, ma quando se ne va qualcuno che ci ama, il modo migliore per ricordarlo è sorridere ed esser felici, perché così ci vuol vedere chi se ne va e ci ama”. (Ernesto C.)


D’accordo, stasera apro una delle bottiglie di Sassicaia che mi avevi regalato per brindare ad una cosa importante. E’ stata una fortuna averti qui con noi per tanto tempo. 


C’è una cosa che mi hai sempre ripetuto, quando le cose andavano bene ma anche quando andavano male: “Nella vita vince chi ha l’idea migliore e noi per fortuna spesso ce l’abbiamo”. 

La mia ossessione per le idee e le persone che cambiano il mondo viene da lì, solo oggi me ne accorgo. E’ un tesoro che mi hai lasciato. 


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Vorrei dirti che un giorno ci rivedremo in un bar piccolo e scalcinato del paradiso per prendere un altro caffè. Il primo di un’altra serie. Ma invece no. Per me continuerai a vivere in quello che farò, nelle cose che scriverò, e quando non saranno buone sentirò con attenzione le tue parole critiche cercando di migliorarmi, e quando invece penserò di aver scritto una cosa bella mi mancherà la tua voce che mi diceva: ammazza quanto sei bravo figlio mio. 


Ci provo papà, ci provo. A volte non ci riesco ma mi hai insegnato a non arrendermi mai. 


Ricordi il tuo motto? Quando sei martello batti, quando sei incudine statti. Noi oggi siamo tutti un po’ incudine, ci mancherai ma resisteremo. Torneremo a battere. 


Fai buon viaggio. 

Grazie Riccardo per le belle parole. Ho appena perso il mio adorato papà e nel mio piccolo (ma i sentimenti non sono grandi o piccoli, soprattutto quelli tra genitori e figli) mi sono molto riconsciuta. Soprattutto nel desiderio di fare sempre il meglio, per essere all'altezza di chi ti ha tanto amato e insegnato

Cristina Maccarrone

Giornalista, content strategist, SEO copywriter e formatrice con la passione per giornalismo, marketing e SEO. Creo piani editoriali, progetto contenuti e scrivo. Per giornali e aziende.

3 anni

Che bel racconto di tuo padre, Riccardo. Un abbraccio da chi sa quanto siano preziosi e quanto vuoto creano quando non ci sono più

Federico Guerrini

Senior Communications Lead | Thought Leadership | Media Relations | Storytelling, Tech Trends | Tech Journalist | Event Moderator

3 anni

Vedo solo ora, condoglianze e grazie per queste parole in cui molti, credo, possono riconoscersi.

Alessandro Ferrari

Head of Communications | External Relations | Internal and Executive Communications | Media Relations | Giornalista Pubblicista | Socio FERPI

3 anni

Hai scritto parole bellissime, Riccardo. E attraverso la figura di tuo padre - un grande papà - oggi comprendo meglio il perché delle tue qualità di uomo e giornalista. Ti abbraccio forte.

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