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Orfismo e Tradizione Iniziatica - Raphael

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1
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

Quale messaggio può offrire l'Orfismo all'uomo moderno? Come ci si può accostare ad una
Filosofia che a prima vista può sembrare tanto remota ma che in realtà rappresenta il fulcro, il
sorgere di tutto il pensiero filosofico speculativo dell'Occidente? L'instaurazione dell'Orfismo si è
determinata quando la religione omerica dominante stava perdendo la sua funzione, quindi la figura
di Orfeo si colloca in un contesto di trasformazione e rinnovamento delle coscienze.
Orfeo ha rettificato il culto di Dioniso, degradato e trasformato in superstizione, ha svelato verità di
ordine intelligibile, ha composto una scienza del Rito e del numero attraverso la musica, ha istituito
i piccoli e i grandi Misteri; infine, con l'Orfismo si inizia a parlare di qualcosa di divino e non
mortale presente nell'uomo, della divinità dell'anima e della sua caduta. In quest'opera Raphael dà
una autentica impostazione tradizionale dell'Orfismo, mettendo in evidenza l'aspetto metafisico ed
iniziatico presente nei due miti legati alla figura di Orfeo: la sua morte e la discesa agli inferi;
inoltre, offre degli spunti di riflessione su come alcuni fatti siano ricorrenti in tutti i rami delle
filosofie e religioni tradizionali fornendo schemi riguardanti le principali teogonie e cosmogonie.
Un lettore attento e amante della Conoscenza-Sophia potrà, quindi, ben comprendere il pregio
altamente catartico ed attuale del messaggio orfico e, se saprà accostarsi alla lettura del libro con
una mente libera da preconcetti, o mens informalis, potrà prendere a piene mani i benefici che
sgorgano da quella fonte inesauribile che è la Tradizione iniziatica di tutti i tempi, tenendo presente
ciò che dice Plotino: Il magistero non va oltre questo limite, di additare cioè la via e il viaggio: ma
la visione è già tutta un'opera personale di colui che ha voluto contemplare.
Raphael, dopo Iniziazione alla Filosofia di Platone, ha composto quest'opera, chiara e concisa, per
offrire un più approfondito sguardo sul sorgere della Tradizione iniziatica in Occidente.
Chi ha letto i libri di Raphael avrà potuto notare come egli mira a manifestare ed evidenziare l'unità
della Tradizione prevalentemente sotto l'aspetto metafisico; ciò non significa che si contrappone
alla visione dualistica, alle varie Fedi religiose o ai vari punti di vista, anche quelli opinabili. Una
visione metafisica, se viene incarnata, non può contrapporsi a nulla e ciò che conta, per Raphael, è
lo svelare, mediante il vivere ed essere, parte o tutta la Verità che si è potuta contemplare.
Quindi, per quanti conoscono gli scritti di Raphael, e si può dire che sono molti, anche questo
volume va ad incastonarsi in quell'universale mosaico che egli sta componendo ormai da anni, e
che non rappresenta altro che lo svelamento del suo stato di Unità coscienziale. Si vedano, a tale
proposito, le opere dell'Advaita Vedanta, dell'Asparsa vada, della Qabbalah, ecc. da lui curate.
Quale autentico metafisico, egli mette in risalto sempre la Costante che sottostà ad ogni tipo
d'Insegnamento tradizionale e, con la benevolenza di colui che ha realizzato la Pax profunda, cerca
di offrire il balsamo della Conoscenza e della Comprensione a quanti sono spinti, di là da ogni
erudizione quantistica, discussioni e disquisizioni inutili (anche e soprattutto di ordine spirituale),
da una istanza veramente realizzativa.
In lui Oriente e Occidente si fondono alla Luce di quell'unica tradizione che, per quanto in
quest'epoca possa sembrare oscurata, non è morta né potrà morire.

Raphael
(Ordine Asram Vidyā)

I proventi che si ricavano da questo libro – per il quale


non si richiedono diritti d'Autore – verranno impiegati
per la ristampa dell'opera.

© 1985 Asram Vidyā, Via Azone 20 – 00165 Roma 1987 Ristampa

2
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

Se il martello del demone sensoriale ha serrato le tue


palpebre e chiuso le tue orecchie, vieni! Ti darò la luce
per vedere i simboli della Bellezza e l'udito per sentire la
sonora malìa dello Spirito.

3
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

PREFAZIONE .....................................................................................................................................5
INTRODUZIONE ...............................................................................................................................8
OMERO, ESIODO, ORFEO .............................................................................................................10
INNOVAZIONI DELL'ORFISMO ...................................................................................................15
LA TRASMIGRAZIONE .................................................................................................................20
IL FINE ULTIMO DELL'ANIMA....................................................................................................23
TEOGONIA .......................................................................................................................................25
L'ORDINE-ARMONIA UNIVERSALE ..........................................................................................32
L'ASCESI ORFICA ...........................................................................................................................34
ASPETTI NUOVI DEI MISTERI ORFICI .......................................................................................46

4
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

PREFAZIONE

«Coloro la cui vita dev'essere piena di contentezza e di gioia, se è partecipazione ai Misteri e


perfettissima Iniziazione…
Poi staremo seduti laggiù in religioso silenzio e con dignità: difatti nessuno si lamenta quando è
iniziato…»1
Dioniso! Questo nome è stato sulle labbra di migliaia di persone in luoghi diversi, fin da epoche
remotissime e, se ancora se ne scrive, vuol dire ch'Esso è presente.
Erodoto lo fa derivare dall'Egitto, altri dalla Tracia, dalla Lidia, dalla Frigia; chi, ancora, da Creta,
ove sono state trovate tavolette del lontano secolo 15° a.C. su cui era inciso il nome di Dioniso e
della Signora del Labirinto, vale a dire, Arianna.
Anche Omero nomina Dioniso prima ancora che la maggioranza dei Greci lo riconoscesse come il
Salvatore. Bisogna convenire che dietro determinati nomi si nasconde un Principio universale:
difatti, tutte le Tradizioni, dell'est e dell'ovest, del nord e del sud, parlano di divinità che, in
definitiva, si equivalgono; non solo, ma si equivalgono anche quelli che vengono denominati miti.
Demetra, ad esempio, è l'equivalente di Iside; Dioniso di Osiride; Iside e Osiride dell'Egitto sono
poi il compendio di un mito che è uguale, identico a quello di Demetra e Dioniso della Grecia.
La stessa religione babilonese e quella assira, con nomi diversi, hanno gli equivalenti di Demetra e
Dioniso, oltre allo stesso mito del morire e rinascere del Dio.
Vi sono, dunque, miti e nomi che non appartengono a nessun popolo in particolare, a nessun
individuo, per il semplice fatto che essi rappresentano, come sopra si è detto, Princìpi universali,
Idee, nel senso platonico.

Storici ed etnologi si dibattono per scoprire se quel mito, o quella Divinità, riguarda un determinato
popolo o un altro; come molti storici della filosofia si affannano a dimostrare che, per esempio,
quella di Pitagora, Parmenide, Platone, Plotino, ecc., è una filosofia prettamente personale non
importata da altre menti, ma sviluppata dalla mente-intuizione dell'autore. Per tutti costoro
considerare Dioniso, Iside o la Manadevi dell'India, oppure Pitagora, Platone, ecc. in termini troppo
impersonali o sovrannazionali significa sminuire l'intuizione stessa di quelle persone o di quei
fondatori di miti.
I vari storici ortodossi cercano di individualizzare la conoscenza innalzando un altare all'individuo
creatore di sistemi, siano questi religiosi, filosofici o scientifici.
Ma se si ha la capacità di accostarsi a ciò che quelle menti hanno detto, superando l'atteggiamento
individualistico e spesso anche campanilistico, si può riconoscere senza timore di errare, che
l'essenza, il tema, il noumeno di ogni filosofia, religione, scienza tradizionali sono identici.
Ogni ente, poi, a seconda del suo grado di risveglio coscienziale e intuitivo-contemplativo, riveste
tale essenza con dovizia e bellezza di forma, ma soprattutto con la potenza della propria vibrazione
coscienziale o irradiazione.

Per esempio, quella di Platone, per quanto possa avere fautori entusiasti o critici astiosi, rimarrà pur
sempre una pietra miliare indistruttibile nel mondo della filosofia e in quello mistico-spirituale.
Se tutti i vari miti e le essenze delle varie filosofie hanno profonde analogie e anche delle identità,
ciò vuol dire che la Verità è una e una sola, e che questa Verità non è di ordine individuale, ma
sovraindividuale e sovrasensibile, quindi tradizionale.
Per Verità, Insegnamento, Dottrina, ecc., tradizionali s'intende appunto questo.
La Tradizione si fonda non sull'opinione individuale, ma sulla intellezione noetica. D'altra parte, se
la Verità fosse prettamente individuale, non sarebbe Verità universale, valida per tutti, perché ogni
individuo rappresenterebbe una verità a sé stante e sarebbe persino assurdo pretendere che

1
Aristotele, Sulla filosofia.

5
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

un'individualità comprendesse un altro individuo-verità la cui natura non potrebbe coincidere con
quella del primo. Se possiamo capirci, avere idee affini, analoghe e anche identiche, vuol dire che
entro di noi abbiamo un qualcosa che ci lega, ci unifica e ci accomuna ad un unico denominatore.
Quello delle individualità sensibili, secondo il divino Platone e lo stesso Parmenide, solo per citare
due grandi Filosofi, rappresenta unicamente un mondo di opinione, non di conoscenza o scienza.
E se l'opinione è soggettiva, individuale e sensoriale, la conoscenza scienza deve appartenere ad
un'altra dimensione, ad un'altra sfera esistenziale alla quale si può accedere. E se la conoscenza
appartiene al dominio del sovrasensibile, allora essa non è appannaggio né dell'individuo, in quanto
tale, né di un popolo né di un'epoca storica; essa è così tradizionale. E se ancora il mito non è altro
che conoscenza espressa in una determinata forma rappresentativa, perché si riconosce che la
Verità suprema non può essere concettualizzata né dimostrata empiricamente, allora il mito ha un
valore universale e non individuale e particolare.
«Il mito è un'immagine spezzata della verità come l'arcobaleno è il riflesso della luce del sole, i cui
raggi si rifrangono nella nuvola. Ma di questo specchio infranto si possono raccogliere e riaccostare
i pezzi e così ricostruirlo…»2
«Il mito non intende essere un'invenzione fantastica, bensì la rivelazione del senso essenziale e
complessivo del mondo. Anche nella lingua greca il significato più antico della parola mythos è
parola, sentenza, annunzio; a volte mythos significa persino la cosa stessa, la realtà.
Solo in modo derivato e più tardo, nella lingua greca mythos indica la leggenda la Favola, la fola, il
mito»3

E che cosa possono rappresentare queste persone che hanno scritto o detto cose che il comune
mortale non osa neanche immaginare? Per quei pochi che vanno di là dall'individualismo riduttivo,
essi: Filosofi, Mistici, Religiosi, ecc., sono dei mediatori tra l'intelligibile e il sensibile, atti o
capaci, per la loro cospicua elevatezza coscienziale, di svelare nel tempo-spazio aspetti di Verità
noetica, a rettificare l'eventuale decadimento di tale Verità, a stimolare e innalzare non
l'individualità ma la coscienza assonnata della stessa umanità.
Per questi pochi, Essi, più che una semplice individualità, creatrice di sistemi religiosi o filosofici
originali, sono dei ponti mediante cui i qualificati possono riprendere la strada del ritorno in Patria.
Per questi pochi, un Orfeo, un Pitagora, un Parmenide, un Platone, un Plotino, ecc., non sono un
Locke, uno Hume, un Fichte, ecc., per quanto questi ultimi siano di grande stimolo mentale-
concettuale.
Dire che la Filosofia di Pitagora, Parmenide, Platone, ecc., appartiene alla Philosophia perennis
perché non è, appunto, individuale e temporale, non significa sminuire la loro personalità; tutt'altro,
significa riconoscerli dei mediatori, dei divini trasmettitori; l'Oriente direbbe, degli Avatara.
Se si potesse comprendere nell'essenza, amare e incarnare la Filosofia di Platone, si arriverebbe di
certo alla trasfigurazione del proprio essere.4
Quella di Platone è una Filosofia-metafisica che ha le basi per una teologia, ontologia, una mistica e
un'etica individuale e sociale da concretizzarsi in una religione iniziatica nel senso più pieno di tale
parola.

E Orfeo? Che cosa si può dire di questo grande Saggio, Mago, Teologo, Innovatore, Rettificatore;
di questo Rsi, per dirla in termini Vedanta? Come si cercherà di dimostrare nelle pagine che
seguono, Orfeo è un altro mediatore-ponte, un grande Avatara, che ha rettificato il culto di Dioniso
degradato e trasformato in superstizione, ha svelato Verità di ordine intelligibile, ha composto una
scienza del Rito e del numero attraverso la musica, ha istituito i Misteri piccoli e grandi, ha lasciato
dietro di sé una tale impronta, una tale vibrazione e un tale influsso, che possono essere percepiti a

2
Plutarco, Lettura dei poeti.
3
E. Severino, La filosofia antica.
4
Raphael, Iniziazione alla Filosofia di Platone.

6
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

tutt'oggi; inoltre, ha influito in modo considerevole sulle menti dei filosofi dell'antica Grecia e, di
conseguenza, su tutti gli altri filosofi posteriori.
Che cosa, dunque, si può dire di Orfeo? Poco o molto, dipende dalla prospettiva da cui ci si vuole
porre. Ma di simili coscienze vibranti sarebbe meglio non parlare, bensì cercare di captare, con
l'intuizione noetica o con la pura contemplazione, il loro stato coscienziale e, innalzandosi lungo i
vari gradi contemplativi, poter arrivare fino ad essere, da solo a solo, con Lui, il Bene, unità
indivisibile.

I Misteri istituiti dal divino Orfeo rappresentano vari stati di essere, e il neofita, più che procedere
discorsivamente per dimostrare empiricamente l'indimostrabile, dovrebbe porsi nella giusta
posizione psicologica e formale onde poter entrare nel tabernacolo del Mistero e ivi fondersi e
stabilizzarsi.
Ci sono cose che, non essendo semplici fenomeni da osservare e catalogare, non sono oggetto di
dimostrazione scientifica o empirica concettuale, ma di realizzazione coscienziale.
Tale conoscenza non è per nulla comunicabile in parole, come lo sono le altre, ma dopo una lunga
convivenza indirizzata appunto all'oggetto e dopo che si è vissuti assieme, istantaneamente, come
luce che scaturisca da una fiamma palpitante, una volta sorta nell'anima, è lei stessa a nutrire se
stessa.5

Nelle poche pagine che seguono si cercherà di mettere in rilievo, per via diretta e indiretta, come
certe cose sono sovrastoriche, come esse appartengono ad una Fonte unica, come ci si può
riappacificare con sé e con gli altri nel rivolgersi a quest'unica Fonte, come alcuni miti di persone e
fatti non sono morti, ma semplicemente sopiti, e basterebbe un niente per farli riemergere alla luce
del sole se solo possedesse l'ispirazione che deriva da tale Fonte.
È certo un fatto che coloro che si ispirano a quell'unica Fonte possono riconoscersi negli stessi piani
del sensibile per alcuni fattori che si rendono palesi; eccone solo alcuni: il primo, e fondamentale, è
proprio quello di vivere, incarnare, vibrare l'unica Fonte; bisogna distinguere gli abili dicitori dalle
umili coscienze vibranti, ciò implica il comprendere, prendere con sé, integrare tutti i possibili
punti di vista; poi: avere quella compostezza, riservatezza, umiltà (nella sua vera accezione) che
caratterizzano il possessore di determinate qualità; poi: abbandonare le polemiche, le critiche e i
sofismi, anche quando il volgo spiritualista (degli altri non ponendosi problema essendo troppo
lontani da certe prospettive) afferma opinioni, ciò è frutto del trascendimento della mente empirica
o di relazione; poi: l'avere quella Dignità di grado che implica il superamento del proprio
subconscio, di quello collettivo e il dominio delle energie-qualità della sostanza, in termini
platonici; poi: svelare quelle Verità che appartengono a determinati domini dell'Essere, ciò è molto
importante: da quello che si scrive, si dice, si vive si può capire se l'Ispirato proviene dalla Fonte
unica o da fonti eterogenee e persino individuate, anche se esprimenti contenuti apprezzabili; da
quello che si scrive, si dice o si vive si può capire se si esprimono qualità-facoltà dell'individualità,
per quanto elevate, oppure se è la stessa Fonte che vive e si manifesta nel Filosofo.
I più, anche quelli ritenuti grandi persino da menti avanzate, esprimono solo facoltà-qualità
individuate sufficientemente allenate. Non è neanche la quantità delle parole o dello scritto che
denota l'appartenenza all'unica Fonte.
Colui che si ispira all'unica Fonte possiede una nota inconfondibile, inesprimibile, ma che
difficilmente può sfuggire a chi vive il Segreto gioioso del proprio cuore. Di questi Ispirati ve ne
sono a diversi gradi di maturità, e ognuno svolge il proprio compito coscientemente nel grande
contesto, sottile e grossolano fisico, della rete universale.
Possa questo breve lavoro di Raphael aprire il cuore all'amore e all'unità della Conoscenza.

L'Editore

5
Platone, Settima lettera

7
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

INTRODUZIONE
L'Autore di questo libro riconosce che ha semplicemente sfiorato il problema dei sacri Misteri,
come ha sfiorato gli eventi che hanno caratterizzato la vita di Orfeo. D'altra parte, non è suo
compito dilatare una problematica che non porterebbe alcun giovamento, ma servirebbe solo a
soddisfare la curiosità intellettiva empirica.
L'Autore non ha mai scritto o parlato per i molti o per gli eruditi, i dotti o i professionisti
accademici (questi non hanno bisogno di suggestioni, indicazioni o delucidazioni), ma per quei
pochi che, acceso il fuoco dentro di sé, sanno poi alimentarlo fino a farlo diventare una grande
fiamma di amore verso la Conoscenza-realizzazione.

Il momento storico dell'umanità è caratterizzato da un intenso intorbidimento delle coscienze e da


una profonda attenzione alla sfera del sensibile corporeo che assorbono tutte le energie.
Anche quei molti che si interessano a questioni spirituali, religiose o iniziatiche sogliono porre
l'accento soprattutto sull'aspetto contingente e particolare, anche se si esprimono in termini di
trascendenza dell'empirico o, addirittura, di metafisica realizzativa.
Alcuni, e non sono pochi, sono poi afflitti da problemi psicologici, di disattamento ambientale, da
frustrazioni varie sì da ricorrere allo yoga o alla letteratura esoterica occidentale come semplice
mezzo di sfogo terapeutico.
Altri seguono dottrine o insegnamenti che possono favorire l'indipendenza, la libertà e l'espressione
dell'io, per quanto in Occidente l'individualità sia già iperstimolata.
Altri ancora, e ci si ferma qui, seguono insegnamenti che possono secondare lo sprigionamento del
devozionalismo passivo, dell'energia sessuale o del potere psichico (siddhi); anzi, si cerca persino
di potenziare questi fattori per gratificare esigenze mondane.

Gli insegnamenti originali dei Rsi, o di uno Samkara, di un Orfeo, di un Ermete, di un Platone, di
un Buddha e dello stesso Gesù hanno perso, all'occhio dello spiritualista profano, la loro Dignità,
Autorità, Austerità, la loro vera, autentica essenza. Le loro Dottrine vengono commercializzate,
degradate, snaturate e interpretate in modo tale che l'io empirico possa trovare il suo spazio e la sua
sopravvivenza.
Levigare la propria pietra grezza è arduo, soprattutto oggi, perché in definitiva riesce più facile
devolvere ad altri il compito di farlo.
La condizione dell'umanità della presente età del ferro, oramai è tale che sembra difficile attuare
anche una semplice rettificazione; però non c'è da disperarsi perché l'abbattimento e la disperazione
fanno parte dell'avidya (ignoranza metafisica) o dell'annebiamento emotivo. Sul piano del divenire
ogni cosa è ciclica: vi è una nascita, una crescita e un decadimento; poi si ricomincia; e questa
ciclicità si perpetua fin dalla notte dei tempi; non c'è da meravigliarsi dunque: il tutto è al suo giusto
posto.

Se quei pochi che sentono il senso della responsabilità, che sentono la chiamata dell'Anima ad una
vita di trasfigurazione, che sono sordi alle lusinghe del potere mondano, dell'opinione eruditiva,
della critica per innalzare o demolire gli altri; se vogliono veramente denudarsi dei propri
paludamenti egoici e se, ancora, si sentono umili e fiduciosi, possono di certo prepararsi all'avvento
del risorgere della Verità tradizionale la quale, per la sua stessa natura, non potrà mai essere
sconfitta dall'opinione dei più, anche se gran parte dell'umanità dovesse perire in qualche immane
cataclisma. D'altra parte, chi sa non può turbarsi di fronte a eventuali catastrofi, perché comprende
che cosa esse possono rappresentare nel grande giuoco del divenire cosmico.
L'uomo, in quanto tale, deve riconoscersi quale elemento doppio: titanico (per parlare in termini
orfici) e divino; tocca alla propria coscienza stabilire se essere un tutt'uno col divino o col titanico.

8
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

L'individuo è elemento di transazione, per cui è tutto e non è niente; la sua lotta, il suo travaglio, la
sua stessa impotenza derivano dal non sapersi definire e, di conseguenza, dal non sapersi unificare
e integrare. Ma questa doppiezza, per fortuna, non è assoluta perché l'elemento titanico è solo una
sovrapposizione alla pura coscienza; essa può prendere però uno spessore e una consistenza tali da
essere considerata reale.
Nessuno potrà mai distruggere la Divinità che è nell'ente umano, perché gli è intrinsecamente
connaturata; il fattore titanico è una seconda falsa natura che, come prima si accennava, la forza
creatrice della mente ha potuto rendere verosimilmente stabile. Attualmente l'umanità vive sotto
l'impressione di questa falsa natura fino ad esserne vittima indifesa.
La verità si è capovolta: è reale ciò che appare, è falso ciò che realmente è.
Se questi pochi sanno decisamente distaccarsi da tale cappa ipnotica e dall'altrettanto oppio degli
alibi; se sanno avere l'ardire di essere contro l'opprimente fantasma del vitello d'oro, che l'elemento
titanico sa offrire magistralmente; se, ancora, sanno mettere da parte interessi individuali e
ideologie profane, allora essi potranno prepararsi per eventi futuri.

L'unica Fonte sa attendere perché è fuori del tempo e dello spazio.


Il discepolo dell'oggi, sia esso a dimensione metafisica o ksatriya, deve essere un guerriero e, se
non ha determinazione, ardire, decisione incrollabile e direzione univoca, per quanto possa
interessarsi di cose iniziatiche, per quanto possa fare la sua brava meditazione mattutina, per quanto
possa scrivere qualche saggio per erudire gli altri, per quanto possa frequentare gruppi letterari,
filosofici o religiosi, rimane il fatto che egli non differisce punto dalla gran massa che sperimenta il
narcotico della illusione e del nichilismo.
È bene ricordare che in Ermete, Orfeo, Gautama, Samkara, Pitagora, Platone, ecc., è morto solo lo
strumento fisico, la loro ombra, la loro prigione, ma non è morto quanto essi hanno espresso e
donato all'umanità. Ed è questo ciò che importa. Che un giorno possa ripresentarsi qualcuno di loro,
o altri, con diverso nome e diversa intelaiatura mentale e fisica, ha poca importanza; non contano il
nome e la forma (per quanto alcuni aspiranti sogliano difendere unicamente nome e forma dei loro
Maestri), ma lo spirito di verità e la forza propulsiva irradiante che esseri del genere possono
vibrare e trasmettere.
A quei pochi, che sanno trovare la forza di porsi di fronte al fantasma dell'illusione e
dell'annebbiamento, vada un incoraggiamento ed un triplice abbraccio.

R.

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Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

OMERO, ESIODO, ORFEO


La società greca dei secoli 9° e 8° a.C. è caratterizzata dall'espressione di un politeismo
antropomorfico manifestato soprattutto nei poemi omerici.
Le divinità sono semplici idealizzazioni concepite a immagine dell'uomo; sono individualità che, in
forma dilatata, posseggono qualità e svolgono attività che appartengono espressamente all'uomo.
Ognuna di tali individualità ha un suo preciso status esistenziale, ha connotazioni proprie e presenta
un suo peculiare aspetto formale. Presiede ai fenomeni naturali interferendo in essi a seconda della
propria disposizione passionale, per quanto ha dei limiti, dovendo sottostare ad una potenza
dominante chiamata Fato o Moira.
Nei poemi omerici, tuttavia, si può già delineare una prefigurazione di una gerarchia di Dei a capo
della quale sta Zeus. Gradatamente, questa esigenza di gerarchia divina si fa sempre più sentire fino
al punto da essere create una Teogonia e una cosmogonia.
La Teogonia di Esiodo, di cui si parlerà più avanti, rappresenta il paradigma di questa tendenza.

Le più alte qualità espresse dagli eroi, coraggio, vigoria fisica, astuzia, ardore, ecc., vengono
attribuite, nei poemi omerici, agli Dei; però, come prima si accennava, in modo più accentuato.
Così la gerarchia degli dei, con a capo Zeus, e le loro relazioni reciproche non sono altro che una
copia dell'organizzazione che esiste nell'ambito sociale. Ciò che conta, per la religione omerica, è
l'eroismo, la lotta e il morire in terra da eroe.
«L'oltremondo omerico, scrive V. Cilento, non è l'immortalità del Fedone, ma è incluso nello stesso
mondo ed è la fama, la gloria, il canto dei poeti e il nome sulle labbra degli uomini e delle donne.
Eroismo e immortalità integrano il sentimento tragico; e una grande luce mediterranea fascia i
Numi di Omero, statue sbalzate su cui si specchia la religione di Achille. La quale non è una
religione per gli umili. Nell'Iliade, sulle poche persone di umili natali, quali Tersite e Dolone, il
disprezzo è gettato a piene mani.
Gli è che costoro sono per i guerrieri achei meno che uomini. Gli altri, gli eroi, sono semidei
perché, anche al dire di Pindaro uomini e Dei discendono dallo stesso ceppo»6.

Questa concezione di vita non si esprime in una direzione educativa ed etica per il popolo; gli eroi
sono i meno, per cui come afferma il Lamanna: «…La coscienza della dipendenza della vita umana
dal volere e dalla potenza degli Dei non si traduce, nello spirito dell'uomo omerico, in una visione
etica della vita, nella concezione di un ordinamento morale dell'attività umana.
La volontà degli Dei è capricciosa e irritabile: e per quella forza da cui essa è limitata, il Destino,
dispiega in rapporto agli uomini una azione cieca che non fa distinzione tra buono e cattivo
nell'assegnare a ciascuno la sua sorte. Né vi è idea di una giustizia oltremondana: le punizioni degli
Dei non sono che vendette di questi contro quegli uomini che hanno osato opporsi al loro volere
capriccioso e passionato.
Ciò che l'uomo chiede al favore degli Dei, è solo il conseguimento dei suoi fini egoistici, e anche la
preghiera e il sacrificio hanno il carattere egoistico di vero contratto»7.
«Una simile visione di vita potrebbe a buon diritto ritenersi di ordine naturalista, immanentista,
riduttivo fino a sfiorare ciò che si potrebbe definire una visione esistenziale naturalistica. Però
quando Pitagora, scrive G. Reale, parlerà di trasmigrazione delle anime, Eraclito parlerà di un
destino ultraterreno dell'anima, ed Empedocle spiegherà la via della purificazione, allora il
naturalismo s'incrinerà profondamente e tale incrinazione non si comprenderà se non rifacendosi
alla religione dei Misteri e in particolar modo all'Orfismo»8.

6
Mistica non cristiana. Morcelliana
7
Lamanna, Il pensiero antico
8
Reale, Storia della filosofia antica

10
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

Un discorso a parte può esser fatto a proposito della Teogonia di Esiodo (8° secolo a.C.), anche
perché contiene qualcosa di tradizionale.
La legge morale che Esiodo espone, ad esempio, ne: Le opere e i giorni, si contrappone nettamente
a quella di Omero. Nella visione omerica, come già si è visto, vengono esaltati esclusivamente la
forza, la potenza, l'eroismo di là da ogni legge morale, essendo gli stessi Dei passionali, irritabili,
vendicativi, incapaci quindi di un atteggiamento equanime, costante; nella visione di Esiodo vige,
invece, una legge morale uguale per tutti, legge che è l'espressione diretta di Zeus il quale trascende
ogni passione e comportamento umani.
All'irresponsabile giustizia dei Re mangiatori di doni, Esiodo contrappone i retti giudizi e
l'equanime verdetto di Zeus:

È artefice del proprio male chi fa del male ad altri… L'occhio di Zeus, che osserva tutto, quando
vuole si posa su tali eventi e conosce ciò che deve essere giusto nella nostra città.
Se l'ingiusto riceverà benefici dalla giustizia, allora è assurdo che un individuo giusto persegua la
giustizia. Però non credo che il sapiente Zeus possa compiere simili cose.

Secondo Esiodo il meritato castigo verso l'ingiusto, sia esso Re o umile cittadino, non tarda a
scendere.
Scrive il Robin: «Nei poemi omerici, la potenza di Zeus era lo strumento di una volontà capricciosa
e irritabile, oppure di quella Moira la cui azione incomprensibile è di contrariare o deludere la
nostra volontà di essere giusti. In Esiodo è il decreto di una coscienza che giudica, retta e
imparziale, secondo la regola o la misura da essa fissata, e che punisce, insieme con chi l'ha
trasgredita ed oltrepassata, chi, servilmente, si è fatto complice della colpa. Ecco quello che causò
la rovina dell'età dell'argento, e perderà l'età del ferro.
Ora, il principio essenziale di tutte le colpe che vengono commesse contro la legge suprema, è la
mancanza di misura o la bramosia di mettersi al di sopra dell'ordine o della regola. Voler essere di
più degli altri e rompere a proprio profitto, con la violenza o l'inganno, l'equilibrio delle persone;
preferire al retto cammino le vie oblique, e i pronti e facili guadagni a quelli che gli Dei concedono
al lavoro paziente e alla lenta economia significa sempre, giusta l'energia espressiva del poeta,
mettere il diritto nel pugno. Esiodo, invece, crede ardentemente nell'esistenza di un diritto dei
deboli; e l'opera specifica di Zeus onnipotente sta nel ripristinare la rettitudine e la misura… Così si
manifesta in lui, ancora mal determinato, ma già assai forte, il sentimento di una norma ideale, in
base alla quale verranno valutate le condizioni morali esistenti, e che colloca decisamente il diritto
molto al di sopra del fatto»9.

Per quanto riguarda la Teogonia, Esiodo fa rientrare in essa anche l'aspetto cosmogonico.
Egli chiede prima di tutto ispirazione alle Muse perché esse conoscono la Verità, parlano
all'intelligenza, manifestano quelle che sono le leggi che governano tutte le cose e svelano ciò che è
il principio del tutto.
Questa Teogonia si articola nella seguente linea gerarchica: Chaos, Erebo e Notte, Etere e Giorno,
Terra, Cielo stellante, Monti e Mare (ponto), Oceano, Crono e Rea, Zeus.
Qui Esiodo vuole mettere in evidenza come un filo conduttore permei la manifestazione, come vi
sia un rapporto gerarchico subordinato, come ciascun elemento costituisca un anello essenziale del
grande tutto, e come l'organizzazione si realizzi in un sistema di rapporti stabili.
Con Esiodo v'è dunque un tentativo di traduzione conoscitiva del pensiero tradizionale. I Greci del
tempo, comunque, non hanno ancora Dottrine sacre, libri rivelati, non hanno caste sacerdotali
detentrici e custodi di qualche Tradizione. I poemi omerici e la Teogonia di Esiodo sono le uniche
fonti d'ispirazione. Rappresentano la religione pubblica dominante. Ma il fatto che l'Instaurazione

9
L. Robin, Storia del pensiero greco

11
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

orfica-misterica si sia potuta determinare, significa che la religione omerica ha perso la sua
funzione, il suo mordente o, meglio, bisogna riconoscere ch'è venuto il momento per trasformare
una semplice credenza in una visione realizzativa iniziatica.
La figura di Orfeo si colloca in questo contesto di trasformazione e rinnovamento delle coscienze.
Scrive ancora il Reale: Ora senza l'Orfismo noi spiegheremmo Pitagora, non Eraclito, non
Empedocle, e, naturalmente, non Platone e quanto da lui deriva.
Anzi… sarà proprio la sollecitazione della Visione orfica, a portare Platone a intraprendere la sua
seconda navigazione, cioè a intraprendere quella via che lo porterà a scoprire il mondo del
sovrasensibile.
Vale a dire: la creazione di una visione metafisica dell'Essere in Europa la si deve principalmente
all'Orfismo, col suo porre l'Essere reale trascendente la natura.

A questo punto è bene accennare che anche Talete e gli altri filosofi, esponenti della phisis del 6° e
5° secolo, hanno un debito verso l'Orfismo il quale aveva già menzionato nella sua cosmogonia i
quattro elementi radici dell'universo manifestato. Si ricorda che Talete, come lo stesso Democrito,
ebbe la sua formazione filosofica-scientifica nei tempi di Egitto e della Caldea.
Si può accennare ad un'altra credenza che parallelamente viene a intrecciarsi con quella omerica e
che ugualmente diverge da quella di Omero; qui si hanno riti di iniziazione, culto, simboli, feste
popolari; si hanno delle tendenze a sacralizzare certi atti e ad elevare le stesse coscienze degli
iniziati.
Questo culto, che si pratica ad Eleusi, è per Demetra, dea della Madre Terra, a cui viene attribuito
un mito: Persefone, figlia di Demetra, viene rapita e portata sottoterra dove è costretta a vivere per
tutto l'inverno, mentre in primavera viene lasciata andare dalla Madre nell'Olimpo. Sotto questa
innocente trama mitica, però, si nasconde un preciso simbolismo iniziatico.
Un altro culto, di ordine più solare ma anch'esso esoterico, fin dall'8° secolo a.C., viene tributato ad
Apollo nel santuario di Delphi. Questi due santuari, come quelli di Olimpia, Tebe, ecc.,
diventeranno famosi, sprigionando una particolare influenza spirituale, soprattutto con l'Orfismo.
Alcune fonti affermano che Museo, profeta e sacerdote, discepolo diretto di Orfeo (e poi Eumolpo,
figlio di Museo che continuerà l'opera del padre), con l'introduzione di Dioniso Zagreo, àncora i
veri Misteri ad Eleusi. Museo è originario della Pieria, come Orfeo; con i Traci passa nella Boezia
per poi trovarsi ad Atene.
Scrive G. Colli: «Il Marmo Pario ci dice che a istituire i Misteri di Eleusi fu Eumolpo, figlio di
Museo. Varie testimonianze confermano la cosa e altre parlano di un rapporto tra Museo e i Misteri
di Flia»10.

Nello stesso periodo (9°, 8° secolo a.C.) nell'antica Tracia, al nord della Grecia, vi è un movimento
religioso di tendenza lunare a carattere mistico evocatorio. Gradatamente però alcune sue
Sacerdotesse della luna, o della triplice Ecate, appropriandosi del vecchio culto di Bacco, si danno a
delle manifestazioni degradate e dissacranti fino a farne un culto sanguinario.
Queste Sacerdotesse, che operano soprattutto nelle vallate, di contro poi ai Sacerdoti orfici che
opereranno sulle montagne, prendono il nome di Baccanti, e Baccanali le loro feste rituali.
Licurgo, figlio di Driante, Re di Tracia, cerca di perseguitarle assieme ai loro culti, facendo
distruggere persino i vigneti il cui vino, adoperato adesso al posto dell'originario latte, è fonte di
esaltazione nefasta per gli adepti bacchici.
Nello scenario religioso tracciato in precedenza e in questa atmosfera bacchico-orgiastica di Tracia,
perversa e mortificante la stessa virilità maschile, appare l'ispirata e possente figura di Orfeo,
originario della stessa Tracia. Egli che adora il Sole, quale manifestazione oggettiva del Dio solare
immanifesto, va di notte sul monte Pangeo per essere primo all'alba a rendergli omaggio e recitare

10
G. Colli, La sapienza greca

12
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

l'Inno al Fuoco (è degno di nota che Pitagora pone come centro dell'Universo il Fuoco, di cui il
disco solare non è che un riflesso).
Orfeo, diversamente dalle Baccanti, segue la Via Solare, la Via del Fuoco, e un Fuoco viene
alimentato dai Sacerdoti orfici quale simbolo vivente del Sole spirituale. Orfeo, sommo Sacerdote
di Zeus e di Apollo, citarista e cantore tale da trascinare col suono della sua lira uomini e animali,
trae a sé la grande maggioranza dei Traci, trasforma completamente il culto lunare di Bacco
orgiastico, disperde le Baccanti sì che la sua influenza si estende anche nella Grecia. Consacra così
la sovranità di Zeus in Tracia e quella di Apollo a Delphi, ove getta le basi del tribunale delle
Anfizionie che diverrà poi il simbolo dell'unità sociale della Grecia. Introduce inoltre i Misteri
portando il Dioniso bacchico-orgiastico alla dignità misterica di Dioniso celeste.
Ne consegue che Orfeo diviene il rettificatore del culto bacchico, il Pontefice della Tracia, il grande
Sacerdote di Zeus olimpico e di Apollo iperboreo e, per gli Iniziati, colui che fonda i Grandi
Misteri.
Socrate: «Beato te, Callicle!, tu sei stato evidentemente iniziato nei Grandi Misteri prima che nei
Piccoli. E io credevo che in questo modo non si potesse fare»11.

Come si può notare, con Orfeo ci si innalza a dimensione metafisica e a procedura autenticamente
iniziatica. In riferimento sempre ad Orfeo, il Reale scrive che: Il poeta Ibico, nel 6° secolo a.C.,
parla di Orfeo dal nome famoso, attestando, così, la grande notorietà del personaggio a quest'epoca,
la quale è spiegabile solo supponendo l'esistenza e la diffusione del movimento religioso che a lui si
rifaceva.
Euripide e Platone attestano, poi, che, nella loro epoca, un gran numero di scritti correvano sotto il
nome di Orfeo, riguardanti i riti e le purificazioni orfiche. Di riti e di iniziazioni orfiche ci parlano
Erodoto e Aristofane. Ma forse, più di tutte, interessante è la testimonianza di Aristotele, secondo
cui Onomacrito aveva messo in versi dottrine attribuite ad Orfeo. Ora, poiché Onomacrito visse nel
6° secolo a.C., noi abbiamo un punto fermo e sicuro: nel 6° secolo a.C. si componevano
sicuramente scritti in versi sotto il nome del mitico poeta, e, dunque, esisteva un movimento
spirituale che in Orfeo riconosceva il proprio patrono e ispiratore.
Ma, secondo alcune testimonianze, Orfeo lo si fa risalire a prima della guerra di Troia, e la sua vita
si perpetua per parecchie generazioni.
Orfeo di Lebetra in Tracia, figlio di Eagro e Calliope; Eagro, a sua volta, era il quinto discendente
di Atlante, tramite Alcione, una delle figlie di questi. Nacque undici generazioni prima della guerra
di Troia; dicono che fu discepolo di Lino e che la sua vita durò nove o, secondo altri, undici
generazioni12.

Gorgia pone Orfeo prima dello stesso Omero: «Ellanico, Damaste e Ferecide fanno discendere
Omero da Orfeo…»13.
Sulla nascita e vita di Orfeo vi sono molte discordanze, ma è anche vero che alcune figure hanno la
capacità di camminare in mezzo agli uomini, di ancorare verità eterne, istituire organismi sacri e
scomparire come nel nulla, lasciando dietro di sé solo il mistero. In altri termini, si vuole dire che vi
sono grandi Esseri che non hanno storia personale.
Una cosa comunque è certa: con Orfeo, e l'Orfismo, l'emisfero occidentale s'impossessa dei
tradizionali Grandi e Piccoli Misteri, Misteri che nel tempo-spazio subiscono adattamenti e anche
sovrapposizioni teologiche; gli stessi Misteri cristiani, come dimostra V. Macchioro in: Orfismo e
Paolinismo, presentano precise concordanze con quelli orfici.

11
Platone, Gorgia
12
Presocratici, Testimonianze e frammenti
13
Gorgia

13
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

Due miti simboli sono legati alla persona di Orfeo: quello della sua morte avvenuta per opera delle
Bassàridi, le quali riducono il suo corpo a brani, e quello della discesa agli inferi (katàbasis) che
egli compie per riportare in vita la sposa Euridice.
Il primo trova riscontro nella morte di Dioniso Zagreo, fanciullo divino, figlio di Zeus e Persefone,
sbranato dai Titani, ma che Zeus richiama in vita.
Dalle ceneri dei Titani, fulminati da Zeus, nasce l'umanità, che così porta in sé l'essenza divina
assorbita da Dioniso Zagreo e il tellurico elemento titanico.
Quindi Dioniso muore, viene risuscitato, innalzato al Cielo e gli viene dato il potere di liberare
l'uomo dall'elemento titanico (si veda Plutarco, Diodoro, ecc.). Dioniso viene anche identificato con
Fanete e questo, a sua volta, con Zeus.
Fanete, ermafrodito, nasce dall'Uovo cosmico, la cui parte superiore diventa il Cielo, l'inferiore la
Terra. L'identificazione di Fanete con Zeus viene rappresentata nell'inghiottimento di Fanete da
parte di Zeus (siamo a livello di simboli). Tale mito, come tutti i miti, non rappresenta una semplice
fantasticheria, ma un fatto, un evento, che dev'essere attualizzato dall'iniziando.
Il mito contiene il simbolo e la produzione di un'esperienza perché esso è catartico; se non diventa
tale perde la sua funzione. Il Mistero dionisico, e quindi quello di Orfeo, è un fatto, non una teoria,
è una precisa esperienza che dev'essere attuata, ma non è un'esperienza empirica o del piano del
sensibile.

Anche nel Cristianesimo abbiamo che Gesù muore, viene risuscitato, innalzato al Cielo e gli viene
dato il potere di redenzione. Ora, la passione di Gesù: morte rinascita, ascesa è un fatto, più che
teoria, che dev'essere vissuto, sperimentato, realizzato dal neofita cristiano, se vuole veramente
seguire e incarnare Gesù.
Orfeo istituisce i Misteri, nuore (sbranato come Dioniso), risuscita e detiene il potere di redenzione
liberazione. Dioniso Zagreo non è un semplice evento storico, ma sovrastorico; è un fatto sempre
presente, attuale; è un processo che, se ben condotto, produce reali effetti. Da ciò si deduce che
l'esperienza mistica del mito comporta una morte (per quanto riguarda l'elemento titanico), una
rinascita (all'elemento dionisico) e quindi un'identità col Dio. Solo così si è rigenerati in Dioniso,
come il Cristiano potrebbe dire che si è rigenerato in Cristo.
Ma, di contro, è anche vero che si può creare l'identità con l'elemento titanico (anche se non in
termini di assolutezza), per cui si è degli enti titanici e satanici, potendo disseminare rovine senza
limiti.
È per ricondurre l'uomo al Divino, è per riportare l'uomo al suo vero e beatifico ovile che la
Tradizione iniziatica, di cui quella orfica è un legittimo ramo, ci soccorre col suo Insegnamento.
In termini metafisici, il mito di Dioniso rappresenta lo smembramento dell'Uno nei molti. L'Unità
principiale si differenzia, l'Albero della Vita si polarizza nell'Albero del Bene e del Male (dualità o
diade pitagorica e platonica).
Questo simbolismo, comunque, è universale: così in Egitto, per esempio, si ha la morte di Osiride
per sbranamento.
Il secondo simbolismo che si attribuisce ad Orfeo è di ordine prettamente iniziatico, pratico.
La discesa agli inferi all'opera nigredo dell'Alchimia; anche Gesù discende agli inferi come vi
devono discendere tutti coloro che desiderano la Realizzazione. Solo così il Fuoco solare può
splendere nella nostra coscienza purificata, rettificata e riappacificata.
Sono, dunque, due simboli, l'uno universale, l'altro di ordine pratico, operativo, individuale, che
fanno parte dell'Insegnamento tradizionale.

14
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

INNOVAZIONI DELL'ORFISMO
Già in alcuni scritti del grande poeta lirico greco Pindaro, compare una visione del mondo e dello
stesso destino dell'uomo che è sconosciuta ai Greci, e che può ritenersi senz'altro straordinaria; tale
visione ha in sé un aspetto dominante da capovolgere la concezione culturale e quella dello stesso
ordinamento sociale greco del tempo. Fino ad allora, come si è visto, l'uomo è ritenuto mortale e
solo con un atto eroico, olimpico, come ad esempio in guerra, può conquistare l'immortalità e
sedersi sullo scanno degli Dei.
L'immortalità dunque non è offerta a tutti, ma a quei pochi che, sotto la spinta di atti eroici, possono
valicare l'abisso della caducità della carne.

Con la nuova visione metafisica orfica, l'uomo è ritenuto composto di una parte immortale (Anima)
che proviene dal divino e di una parte mortale (corpo) che proviene dall'elemento titanico.
Quest'Anima immortale può ritrovare se stessa quando il corpo dorme, è quiescente in meditazione
contemplazione o quando esso muore. Allorché i vincoli che legano l'Anima al corpo sono allentati,
v'è maggiore consapevolezza della propria natura immortale e divina.
La liberazione dal caduco mortale, vale a dire il dono dato all'uomo che essenzialmente era solo
connaturato agli Dei e, in via eccezionale, a determinati uomini capaci di eroismo, diventa adesso
accessibile virtualmente a tutti e fattivamente a quanti, in via di risveglio, dietro opportune
stimolazioni (iniziazioni) possono prendere concreta consapevolezza della propria origine divina.
Questa concezione rivoluzionaria, almeno per la Grecia del tempo, porta l'uomo a dignità divina, lo
innalza, da relativo elemento tellurico, alla grandezza di un Dio. Da qui la nascita dei veri Sacri
Misteri; i quali sostengono l'identità dell'Anima umana (la parte dionisica) con la natura divina, la
liberazione di tale Anima dal ciclo delle rinascite e la Beatitudine-compiutezza finale dell'essere.
In altri termini, l'Orfismo conduce il Divino nell'uomo al Divino trascendente; e questo è il compito
della vera Tradizione misterica universale.

Ecco alcuni celebri passi ove sono esposti questi concetti:


«Il corpo di tutti obbedisce alla morte possente, e poi rimane ancora vivente una forma di vita, e
solo questa viene dagli Dei: essa dorme mentre le membra agiscono, ma in molti sogni mostra ai
dormienti ciò che è furtivamente destinato di piacere e sofferenza»14.
Molti studiosi hanno rilevato già da tempo come questa concezione sia uguale a quella di
Senofonte; per esempio, nel finale della Ciropedia e in un frammento pervenutoci dell'opera
essoterica di Aristotele Sulla Filosofia.

Scrive Senofonte: «Io per mio conto, o figlioli, non sono mai riuscito a persuadermi di questo: che
l'anima, finché si trova in un corpo mortale, viva; quando se ne è liberata, muoia. Vedo infatti che
l'anima rende vivi i corpi mortali per tutto il tempo in cui vi risiede. E neppure mi sono mai
persuaso che l'anima sarà insensibile una volta separata dal corpo, il quale è insensibile. Anzi,
quando lo spirito sarà separato dal corpo, allora, che è sciolto da ogni mescolanza e puro, è
logicamente sensibile più di prima.
Allorché il corpo dell'uomo si dissolve, si vedono le singole parti raggiungere gli elementi della
loro stessa natura, ma non l'anima: essa sola, presente o assente, sfugge alla vista. Osservate poi,
proseguì, che nessuno degli stati umani è più vicino alla morte del sonno: e l'anima allora meglio
che mai rivela con chiarezza la sua natura divina, allora senza dubbio prevede il futuro perché è più
che mai libera»15.

14
Pindaro
15
Senofonte, Ciropedia.

15
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

E questo è il frammento aristotelico: «Aristotele dice che la nozione degli Dei ha negli uomini una
duplice origine, da ciò che accade nell'anima e dai fenomeni celesti. Più precisamente, da ciò che
accade nell'anima in virtù dell'ispirazione e del potere profetico, propri di essa, che si producono
nel sonno. Quando, infatti, egli dice, assumendo la sua vera e propria natura, profetizza e presagisce
il futuro. Tale è essa allorché, nel momento della morte, si separa dal corpo. E quindi approva il
poeta Omero per aver osservato questo: rappresentò infatti Patroclo che, nel momento di essere
ucciso, presagì l'uccisione di Ettore, e Ettore che presagì la fine di Achille.
Da fatti di questo genere, egli dice, gli uomini sospettarono che esistesse qualcosa di divino, che è
in sé simile all'anima e più di tutte le altre cose è oggetto di scienza»16.

È una visione che, come si è già notato, inserisce nella civiltà europea un'interpretazione
apparentemente nuova dell'esistenza umana. Si scrive apparentemente perché in effetti
l'Insegnamento iniziatico è sovrastorico, quindi fuori del tempo.

Anche Platone si esprime in termini simili in questo passo del Cratilo: «Difatti alcuni dicono che il
corpo è tomba (sema) dell'anima, quasi che essa vi sia presentemente sepolta: e poiché d'altro canto
con esso l'anima esprime tutto ciò che esprime, anche per questo è stato chiamato giustamente
segno (sema). Tuttavia mi sembra che siano stati soprattutto i seguaci di Orfeo ad aver stabilito
questo nome, quasi che l'anima espii le colpe che appunto deve espiare, e abbia intorno a sé, per
essere custodita, questo recinto, sembianze di una prigione. Tale carcere dunque, come dice il suo
nome, è custodia (soma) dell'anima, finché essa non abbia finito di pagare i suoi debiti, e non c'è
nulla da cambiare, neppure una sola lettera»17.

Il fatto che gli Orfici facciano derivare l'Anima dal Divino, risulta anche dalle iscrizioni delle
laminette auree, trovate nelle tombe.
In quella di Turi si legge: «Vengo dai puri pura, o Regina degli inferi, Eucle ed Eubuleo e voi Dei
immortali, poiché io mi vanto di appartenere alla vostra stirpe felice; ma la Moira mi soverchiò, e
altri Dei immortali… e la folgore scagliata dalle stelle. Volai via dal cerchio che dà affanno e
pesante dolore, e salii a raggiungere l'anelata corona con i piedi veloci, poi mi immersi nel grembo
della Signora, regina del sottoterra, e discesi nell'anelata corona con i piedi veloci. Felice e
beatissimo, sarai Dio anziché mortale. Agnello caddi nel latte»18.

La solenne proclamazione, sostiene il Reale, che l'Anima appartiene alla natura degli Dei, si trova
anche in altre laminette che usano persino la stessa formula o hanno significato del tutto analogo:
«Io sono figlia di Terra e di Cielo stellante»19.

Una tale visione del destino dell'uomo ha un effetto dirompente nell'antica concezione della vita e
della morte, come dimostra un celebre frammento di Euripide: «Chi sa se il vivere non sia morire e
il morire invece vivere?»20.

E Platone, nel Gorgia, fa comprendere l'aspetto veramente rivoluzionario di questo messaggio:


difatti esso è tale da formulare una nuova impostazione di tutta l'esistenza e, in particolare, una
mortificazione del corpo, di tutto ciò che ad esso appartiene e un vivere in conformità dell'Anima e
di ciò che è dell'Anima.
In altre Laminette d'oro ritrovate nelle tombe degli affiliati orfici, si afferma la natura divina del
morto orfico che ormai ha superato il ciclo delle rinascite e in esse si danno indicazioni

16
Aristotele, Sulla filosofia
17
Platone, Cratilo
18
Kern, riportato dal Reale
19
Kern
20
Euripide, Polydos

16
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

sull'itinerario che l'Anima deve percorrere nell'oltre tomba. Ciò implica che l'orfismo, al pari della
Tradizione egiziana e tibetana, possiede un libro dei morti, ovvero una conoscenza che riguarda
l'oltretomba, ma ciò non deve stupire se si tiene conto che esso, come si è accennato, appartiene pur
sempre all'unica Tradizione misterica universale.

Nel Dizionario filosofico Rizzoli, si può leggere: «…L'influenza certamente grande esercitata
dall'Orfismo sull'evoluzione della vita spirituale greca in genere, e della filosofia in particolare,
deriva da questa accentuata interiorizzazione dell'esperienza religiosa. Pitagora e Platone trassero
dall'Orfismo la loro concezione del corpo come carcere o tomba dell'anima, e della metempsicosi
come necessario travaglio premesso alla liberazione finale dal ciclo delle nascite e delle morti.
Il dualismo anima corpo è il risultato della razionalizzazione dell'antitesi mitica fra componente
dionisica e componente titanica dell'uomo. Così entrarono nella cultura greca attraverso l'Orfismo
l'idea di un peccato originale, quella di una vita oltre la morte ben diversa dalla mera sopravvivenza
larvale della tradizione omerica, quella dell'identità con Dio come premio finale del giusto, quella
della natura intrinsecamente corruttrice della corporeità».

E il Colli va ancora più oltre; egli scrive infatti: «Riguardo a Platone, poi, è possibile documentare
quando si avventura a descrivere l'esperienza conoscitiva delle Idee, l'uso di una terminologia
eleusina, cosicché si può suggerire l'ipotesi che la teoria delle Idee, nel suo sorgere, fosse un
tentativo di divulgazione letteraria dei Misteri eleusini, in cui l'accusa di empietà veniva prevenuta
con l'evitare qualsiasi riferimento ai contenuti mitici della Iniziazione, e a tale proposito cita dei
passi in cui Platone si esprime in linguaggio misterico: Fino a questo grado nei Misteri d'Amore,
Socrate, forse avresti potuto iniziarti da te. Ma nelle Dottrine perfette e contemplative, alle quali,
ove si proceda rettamente, quelle finora esposte servono di preparazione, non so se ne saresti
capace.
Giacché colui che sia stato educato fin qui alle cose amorose, contemplando a grado a grado e
rettamente il Bello, pervenuto al termine della Via d'Amore, scorgerà d'improvviso una Bellezza di
sua natura stupenda, e precisamente quella, o Socrate, per la quale si eran durati tutti i travagli
precedenti, quella che innanzitutto è eterna, che non diviene e non perisce, non cresce e non
scema…
Né per di più la Bellezza prenderà ai suoi occhi la forma di volto o di mano o alcunché di
corporeo, né di un discorso o di una scienza… ma gli apparirà qual è in sé, uniforme a sé
medesima»21.

«Ma la Bellezza brillava ancora intera ai nostri occhi, quando insieme col coro dei beati, seguendo
noi Zeus, altri un altro Iddio, godevamo di una vista e d'uno spettacolo beatificante, e ci iniziavamo
alla più beata, è ben lecito dirlo, delle Iniziazioni che celebravamo, allorché perfetti e immuni dai
mali che ci attendevano nell'avvenire, iniziati ai più profondi misteri, godevamo di quelle visioni
perfette, semplici, calme, felici, in una luce pura, puri noi stessi e non sepolti in questa tomba, che
chiamiamo corpo e che trasciniamo con noi, imprigionati in esso, come ostriche nel proprio
guscio»22.

Platone, in queste poche righe, ci fa comprendere:

a) La conoscenza suprema non è frutto di discorsività mentale indiretta, ma di apprendimento


diretto noetico. Ciò implica che la filosofia di Platone non è semplice sofistica filosofica (come in
seguito, e in gran parte, è divenuta per opera di filosofi dianoetici), ma metodo per condurre alla
noesi.

21
Platone, Simposio.
22
Platone, Fedro.

17
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

b) È a conoscenza di riti misterici; ne consegue che ha avuto l'Iniziazione e che questa si è


attualizzata pienamente se menziona: visioni perfette e altre frasi che rispondono a ciò che il
Vedanta chiama samadhi.

c) Che le parole: tomba, carcere, ecc., in riferimento al corpo fisico sono esclusive della visione
orfica.

d) Che la descrizione del Bello e dell'Iniziazione al Bello ci fa intuire che Egli sia stato iniziato al
Bello e abbia visto il Bello.
E G. Colli così continua: «E ancora in Aristotele, che non è certo il più mistico tra i filosofi, la cosa
viene ribadita, e in termini del tutto espliciti; leggiamo in un suo frammento che la conoscenza
noetica va riportata alla visione eleusina: …ciò che appartiene all'insegnamento e ciò che
appartiene all'iniziazione. La prima cosa invero giunge agli uomini attraverso l'udito, la seconda
invece quando la capacità intuitiva subisce la folgorazione: il che appunto fu chiamato anche
misterico e simile alle Iniziazioni di Eleusi»23.

È l'intuizione dell'intuibile e del non mescolato e del santo, la quale lampeggia attraverso l'anima
come un fulmine, permise in un certo tempo di toccare e di contemplare, per una volta sola. Perciò
sia Platone sia Aristotele, chiamano questa parte della filosofia l'Iniziazione suprema, in quanto
costoro «…che hanno toccato direttamente la verità pura, riguardo a quell'oggetto, ritengono di
possedere il termine ultimo della filosofia, come in un'Iniziazione»24.

Lasciando una prospettiva così universale… faccio qui notare come l'esistenza storica di un vertice
contemplativo quale fu l'evento eleusino, presuppone uno sfondo religioso che l'abbia reso
possibile. Ora è appunto Dioniso il Dio che sta alle spalle di Eleusi, che a Eleusi viene celebrato,
che a Eleusi manifesta la sua potenza.
Anzi si sostiene che Dioniso non solo rappresenta il Salvatore degli uomini, ma è il fondatore dei
Misteri.

Scrive infatti il Macchioro: «Dioniso non solo fu la divinità per mezzo della quale il Mistero opera
la sua redenzione identificando l'uomo al Dio, ma diventò addirittura l'istitutore dei Misteri, il
donatore di questo unico mezzo di redenzione.
Nelle Baccanti di Euripide, Dioniso dice di aver istituito i Misteri per rivelarsi quale Dio agli
uomini; egualmente attribuiscono l'invenzione dei Misteri a Dioniso: Diodoro, Megastene,
Strabone, gli scoliasti di Omero, Apollonio Rodio…».

Questa tradizione che attribuiva a Dioniso l'invenzione dei Misteri, acquista una grandiosità
particolare nell'enorme poema di Nonno che, attraverso innumerevoli disgressioni e narrazioni, in
realtà è tutta una glorificazione di Dioniso come istitutore dei Misteri…
Or dunque noi vediamo che da Euripide a Nonno, cioè per circa nove secoli, la tradizione
costantemente glorificò Dioniso come istitutore dei Misteri.
Dioniso è il redentore dell'uomo, secondo l'Orfismo; e appunto perché tale, deve essere l'inventore
dei Misteri, che è l'unica via di redenzione. Però rappresentatelo in atto di essere lui introdotto nei
Misteri, di esser lui addottrinato nei Misteri, ed ecco che questo Dio universale, unica forza
creatrice, si ridurrà alle proporzioni di un banale Dio omerico che oggi impara il catechismo dei
Misteri e domani farà all'amore con qualche dea.
Togliete il concetto del Dio iniziatore e toglierete alla Religione orfica questa immensa forza, forza
che poi cedette al Cristianesimo, dell'unione con Dio in vita e in morte, nella fede personale nel
Salvatore…
23
Aristotele, Sulla filosofia
24
Aristotele, Eudemo

18
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

Non si capirà mai il processo religioso dell'Orfismo se non si ha ben chiaro questo pensiero
fondamentale che per gli Orfici la Religione (misterica) cominciava con Dioniso, che con lui era
entrata la salvezza nel mondo, e con lui l'uomo aveva trovato la via di riconciliarsi con Dio.
E Orfeo rappresenta colui che àncora in terra il decreto misterico di Dioniso, e colui che percorre la
via di Dioniso fino a creare l'identità con Dioniso.

19
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

LA TRASMIGRAZIONE
Non vi è dubbio che la concezione della trasmigrazione delle Anime, o almeno di quella parte
dell'Anima costretta dalla forza titanica, la si deve ancora all'Orfismo.
Lo stesso Zeller scrive: «…in ogni modo è sicuro che, fra i Greci, la dottrina della trasmigrazione
delle Anime non è venuta dai filosofi ai sacerdoti, ma dai sacerdoti ai filosofi»25.
Inoltre, secondo il Reale v'è da rilevare quanto segue: a) Pindaro conosce questa credenza e non si
può dimostrare che egli l'abbia derivata dai Pitagorici e non dagli Orfici; b) le antiche fonti, inoltre,
quando parlano della trasmigrazione, la riferiscono come dottrina rivelata da antichi teologi e
sacerdoti, oppure usano espressioni con le quali solitamente alludono agli orfici; c) in un passo del
Cratilo, Platone menziona espressamente gli Orfici, attribuendo loro la dottrina del corpo come
luogo di espiazione della colpa originaria dell'anima, ciò presuppone strutturalmente la
metempsicosi, e anche Aristotele riferisce espressamente agli Orfici dottrine che la implicano;
d) alcune fonti antiche fanno chiaramente dipendere Pitagora da Orfeo e non viceversa.

a) Ecco due frammenti di Pindaro, il cui tenore è già di per sé molto eloquente, in quanto non
sembra rifarsi al Pitagorismo: «E di coloro da cui Persefone accetterà la purificazione per l'antico
cordoglio, nel nono anno di nuovo ne restituisce le anime allo splendore del sole, in alto; da esse
sorgono re augusti e uomini massimi, subitanei per forza e sapienza: ed eroi sacri sono chiamati dai
mortali nel tempo avvenire»26.
«…Si, se chi possiede la ricchezza conosce l'avvenire, se sa che gli animi violenti dei morti quassù
subito paragonano la pena, mentre sotto terra qualcuno giudica i misfatti in questo reame di Zeus,
dichiarando la sentenza con ostile necessità; ma godendo la luce del sole in notti sempre uguali e in
giorni uguali, i nobili ricevono una vita meno travagliata, senza turbare la terra col vigore della loro
mano, né l'acqua marina, per una vuota sussistenza: e invece, presso i favoriti degli Dei che
godettero della fedeltà ai giuramenti, essi percorrono un tratto di vita senza lacrime, mentre gli altri
sopportano una prova cui lo sguardo non regge.
E quanti ebbero il coraggio di rimanere per tre volte nell'uno e nell'altro mondo, e di ritrarre del
tutto l'anima da atti ingiusti, percorsero sino in fondo la strada di Zeus verso la torre di Crono: là le
brezze oceanine soffiano intorno all'isola dei beati…»27.

b) Già il pitagorico Filolao, e questo è molto indicativo, scriveva: «Attestano anche gli antichi
teologi e indovini che l'anima è congiunta al corpo per scontar qualche pena; e in esso quasi in
tomba è sepolta»28.
Platone, poi, nel Menone, proprio nel riportare il primo passo di Pindaro scrive: «…Dicono infatti
che l'anima dell'uomo è immortale, e che talora giunge ad una conclusione, ciò appunto chiamano
morire, talora invece risorge di nuovo, ma che non va mai distrutta: proprio per questo bisogna
trascorrere la vita il più santamente possibile…»
E in altri passi egli fa uso di espressioni analoghe, e in particolare dell'espressione discorso antico,
con la quale non si può intendere se non i discorsi sacri degli Orfici.

Le stesse conclusioni si devono trarre dal seguente frammento aristotelico del Protrettico:
«Considerando questi errori e queste tribolazioni della vita umana, sembra talora che abbian visto
qualcosa quegli antichi, sia profeti sia interpreti dei disegni divini, nella narrazione delle cerimonie
sacre e delle iniziazioni, i quali hanno detto che noi siamo nati per pagare il fio di alcuni delitti
commessi in una vita anteriore, e sembra che sia vero ciò che si trova presso Aristotele, ossia che
25
Zeller Mondolfo, La filosofia dei Greci.
26
Pindaro
27
Pindaro, Olimpiche
28
Diels Kranz

20
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

noi subiamo un supplizio simile a quello patito da coloro che in altri tempi, quando cadevano nelle
mani di predoni etruschi, venivano uccisi con una crudeltà ricercata: i corpi vivi di costoro erano
legati assieme a dei morti con la massima precisione, dopo che la parte anteriore di ogni vivo era
stata adattata alla parte anteriore di un morto. E come quei vivi erano congiunti con i morti, così le
nostre anime sono strettamente legate ai nostri corpi»29.

La trasmigrazione ha fondamentalmente un significato morale, il quale è molto ben rilevato da


Platone, oltre che nel Fedone, in due passi delle Leggi che conviene riportare:
«Questo sia detto come preludio alla trattazione di questa materia, e si aggiunga a questo la
Tradizione, alla quale, quando ne sentono parlare, molti di coloro, che nelle iniziazioni ai Misteri
s'interessano di queste cose, prestano molta fede, che, cioè, nell'Ade vi è una punizione per tali
misfatti, e che gli autori di essi, tornati qui di nuovo, devono necessariamente pagare la pena
naturale, quella, cioè, di patire ciò che hanno fatto, terminando in tal modo per mano d'altri la
novella vita.
Quel mito, dunque, o Tradizione, o comunque si debba chiamare, chiaramente dice, come ci è
tramandato da antichi sacerdoti, che la vigile giustizia, vendicatrice del sangue di congiunti, segue
la legge dianzi riferita; ed ha quindi stabilito che chi commette un delitto di questo genere, deve
necessariamente patire quello stesso che ha fatto: se uccide il padre, deve sopportare che lo stesso
trattamento gli sia un giorno violentemente inflitto per opera dei figli; e se la madre, egli deve
necessariamente rinascere di sesso femminile, e lasciare più tardi la vita per opera dei figli: giacché
non v'è altra espiazione del comun sangue delittuosamente versato: né la macchia può essere lavata
senza che l'anima colpevole abbia pagato l'uccisione, il simile col simile, ed abbia placato lo sdegno
di tutta la parentela»30.

Fra gli studiosi moderni, meglio di tutti chiarisce il significato di questi passi il Dodds, nel modo
seguente: «Il castigo d'oltretomba… non riusciva a spiegare perché gli dei accettino l'esistenza del
dolore umano, e in particolare quello immeritato degli innocenti. La reincarnazione invece lo
spiega: per essa non esistono anime innocenti, tutti scontano, in vari gradi, colpe di varia gravità,
commesse nelle vite anteriori. E tutta questa somma di sofferenze, in questo mondo e nell'altro, è
solo una parte della lunga educazione dell'anima, che troverà il suo ultimo termine nella liberazione
dal ciclo delle rinascite e nel ritorno dell'anima alla sua origine divina»31.
Occorre precisare che queste pene e questi dolori, inflitti al soggetto trasmigrante, non vengono dati
da un Dio cinico e crudele; né, peggio ancora, devono intendersi come atto vendicativo di una
qualunque Divinità sovraindividuale.
Non è questa la legge del taglione, come qualcuno potrebbe pensare; la grande Vita non punisce né
premia alcuno, ci si punisce da sé come ci si premia da sé secondo il tipo di azione, mentale o
fisica, che si produce. In altri termini si raccoglie ciò che si semina.
Quella dell'azione reazione è una legge naturale, come qualsiasi altra legge sul piano della
manifestazione. Se si osa mettere una mano nel fuoco, ovviamente ci si brucia e si sente dolore, ma
questo evento doloroso non viene inflitto da un Dio capriccioso, bensì dall'ignoranza di una legge
fisica.

L'universo è governato da leggi e l'infrazione della legge provoca necessariamente una risposta.
Anche il più umile innocente, ignorando il funzionamento di una legge, può incorrere in grossi
travagli e in gravi conflitti. Qualcuno potrebbe avere difficoltà ad afferrare questo concetto, si
potrebbe dire scientifico, perché è abituato a concepire la Divinità in termini paternalistici,
opportunistici, sentimentali, personali e persino capricciosi, Divinità pronta a puntare il dito quando
a condannare e punire quando a premiare e gratificare.

29
Aristotele, Protrettico
30
Platone, Leggi
31
Dodds, I Greci e l'irrazionale

21
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

Comunque, la legge di azione reazione non è assoluta, come d'altra parte, tutte le leggi del divenire,
perché può essere neutralizzata con un'altra legge la cui espressione dovrà dimostrarsi uguale e
contraria. Così l'odio va neutralizzato con l'amore, l'ignoranza con la conoscenza, la violenza con la
comprensione e l'innocuità, ecc. Se si crede che al Santo non debba succedere niente di negativo,
doloroso o conflittuale perché è solo un Santo, ci si sbaglia. Si farebbe bene a dirgli, ad esempio, e
se ce ne fosse bisogno, di non toccare i fili elettrici dell'alta tensione perché rimarrebbe fulminato, a
meno che non conoscesse una legge la cui applicazione potrebbe neutralizzare la forte carica
dell'alta tensione.
In questa legge, dunque, non c'è niente di strano o improprio; se la manifestazione, a livello fisico,
sottile o nell'ordine etico, non fosse governata da leggi, dalla Norma, non avremmo la scienza e la
filosofia, non avremmo la matematica e la geometria, né un'etica equanime e invariabile, bensì
avremmo il disordine, il capriccio del caso, l'imprevedibilità, l'individualismo integrale e lo stesso
caos.

«Come l'uccello, i saggi guardano verso l'alto: sembra loro d'involarsi fuori del corpo verso una
distesa regione luminosa, che dona alla loro anima un rapido slancio, lungi dalle cose mortali.
E la filosofia serve loro di preparazione alla morte. Essi considerano la fine della vita come un bene
importante e più che perfetto, perché credono che solo allora l'anima potrà vivere la sua reale vita,
mentre al presente essa sonnecchia e non riporta che delle impressioni simili a quelle che si ricavan
dai sogni»32.

32
Plutarco

22
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

IL FINE ULTIMO DELL'ANIMA


Se, come si è visto, l'Anima è caduta sul piano della generazione, se il corpo rappresenta un limite,
una prigione sì da spezzarle le ali, se il mondo delle esperienze duali non è altro che luogo di
espiazione, allora finalità dell'Anima dev'essere quella di riprendersi la sua libertà e la sua pienezza.
Se nella Grecia di Omero l'immortalità e il premio castigo sono riservati a pochissime persone che
esprimono coraggio, passionalità e forza olimpica, con l'Orfismo ognuno può ritrovare la propria
immortalità, e tutti sono soggetti a premi o a castighi secondo le proprie azioni. Ciò implica che gli
enti hanno una precisa responsabilità etica: quella di tendere al superamento dell'elemento titanico
di cui hanno ereditato una parte.
Dunque, l'uomo con l'Orfismo, ha un imperativo immediato: vivere una vita conforme alla Legge
universale o divina e, conseguentemente, ritrovare la propria origine sovrasensibile. L'una cosa è
legata all'altra. Non v'è altro scopo sul piano della generazione, tutto il resto non è che attività
contingente che serve a tenere in vita il perpetuarsi dell'elemento titanico.
Ciò rivoluziona la visione etico-filosofica dei Greci e dell'Occidente perché a tutta l'umanità è data
la responsabilità del proprio destino.
Nella concezione omerica i più non hanno storia, non hanno futuro perché non hanno presente; con
la visione misterica dell'Orfismo l'uomo diventa un'Anima intelligibile, con una responsabilità ben
precisa, con il dovere immediato di educarsi, conoscersi, essere.

Di ciò si fa interprete Pindaro nella seconda Ode olimpica: «Per essi rifulge la potenza del sole,
mentre qui in basso è notte: presso la città è la loro sede, nelle praterie dalle rose rosse, di ombrose
piante d'incenso… ed è carica di alberi dai frutti d'oro; e gli uni si rallegrano con le cavalle e gli
esercizi del corpo, altri con gli scacchi, altri con il suono della cetra, e fra essi prospera in pieno
fiore l'abbondanza: un profumo amabile si diffonde su questa terra, mentre portano sempre nel
fuoco che si scorge da lontano offerte d'ogni sorta sugli altari degli Dei»33.

Nella Laminetta rinvenuta a Petelia si dice che l'Anima si troverà con gli altri eroi. In una delle
Laminette di Turi si afferma che l'Anima purificata, così come in origine era simile agli dei, adesso
sarà Dio e non un ente mortale. Ancora in questa Laminetta di Turi si sostiene che da ente umano si
rinascerà Dio: «Ma non appena l'Anima lascia la luce del sole, a destra… lei che conosce tutto
assieme. Rallegrati, tu che hai patito la passione: questo prima non l'avevi ancora patito. Da uomo
sei nato Dio: agnello cadesti nel latte. Rallegrati, rallegrati, prendendo la strada a destra verso le
praterie sacre e i boschi di Persefone.
Da uomo sei nato Dio, perché, in fondo, promani dal divino»; invero, per la Grecia di allora, questa
è la più scolvolgente novità che il nuovo Insegnamento misterico porta.

Come uscire dal ciclo delle rinascite? «E troverai alla sinistra delle case di Ade una fonte, e accanto
ad essa un bianco cipresso dritto: a questa fonte non accostarti neanche nelle vicinanze.
Ne scorgerai un'altra, fredda acqua che zampilla dalla fonte di Mnemosine; però davanti ad essa
stanno i custodi. Parla loro: Sono figlio di Cielo stellante e di Terra, la mia stirpe è Celeste e ciò
sapete anche voi. Ho sete e muoio, datemi subito la fredda acqua che scorre dalla fonte di
Mnemosine.
Essi ti lasceranno bere dalla fonte divina, e in seguito tu vivrai con gli altri eroi»34.

«Se si beve dalla corrente dell'oblio si dimentica tutto ma si rinasce ad una nuova vita, cioè la sete è
solo ingannata, e l'arsura non tarda a ripresentarsi in una nuova individuazione. Ma se si beve dalla

33
Pindaro
34
Laminetta di Petelia

23
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

fonte di Mnemosine, come testimoniano queste Laminette, la memoria fa ricuperare la conoscenza


del passato e dell'immutabile, l'uomo riconosce la sua origine divina e si identifica in Dioniso e
l'arsura non viene spenta, ma dissetata da una gelida, divina, prorompente conoscenza.
La vita non viene negata e neppure sostituita da un'altra arsura, ma travolta da una vita diversa,
dalla vita dionisica»35.

Platone riprende questo concetto dell'oblio, della rimembranza; in altri termini, del risveglio, per
postulare la conoscenza a priori, o quella innata nell'Anima. Come si è dimostrato in Iniziazione
alla Filosofia di Platone, anche il Vedanta segue questa visione metafisica. Ciò dimostra come il
filo conduttore lega i vari rami tradizionali.

35
G. Colli

24
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

TEOGONIA
Orbene, in queste rapsodie orfiche della Tradizione, la teologia seguente… «è spiegata anche dai
filosofi, i quali pongono Tempo in luogo dell'unico principio di tutte le cose, pongono etere e Chaos
in luogo dei due princìpi, riportano l'Uovo in luogo di ciò che è il tutto e presentano questa prima
triade. E la seconda triade la costituiscono con l'Uovo creato e quello che porta in sé il Dio, la
tunica splendente e la nuvola poiché da questi balza fuori Fanes…
La terza triade poi è formata da Metis (inteso come intuizione), da Erichepeo inteso come potenza e
da Fanes stesso inteso come Padre…
Tale è in verità la teologia orfica abituale»36.

«Da principio si rivelò al Tempo l'Etere, creato dal Dio; e di qua e di là dall'Etere vi era Chaos; e
Notte tenebrosa copriva tutte le cose e nascondeva quanto era sotto l'Etere… E Orfeo disse che la
Terra era invisibile a causa delle Tenebre… dicendo che la luce che aveva squarciato l'Etere era
quell'essere… più alto di tutti, il cui nome lo stesso Orfeo, avendolo udito dall'oracolo, rivelò come
Metis, Fanes, Erichepeo»37.

«Presso Orfeo si tramandano quattro regni: il primo è il regno di Urano, cui succedette Crono…
dopo Crono regnò Zeus… in seguito, a Zeus succedette Dioniso…»38.

«Devi pensare dunque Crono in quanto il Tempo e Rea in quanto lo scorrere della sostanza umida,
poiché l'intera materia portata dal tempo generò, come un Uovo, il Cielo sferico che tutto
avvolge… Infatti dall'interno della circonferenza un Animale maschio-femmina è modellato da una
forma, per la preveggenza del Soffio divino che è contenuto in esso, e costui Orfeo lo chiama
Fanes, poiché quando lui appare il tutto rifulge per opera sua, per il fulgore del più magnifico tra
gli elementi: il fuoco che giunge a perfezione nell'umido»39.

La Teogonia orfica non è una parodia di quella esiodea, come nota giustamente il Rohde:
«Attenendosi chiaramente a quell'antichissima teogonia greca che s'era raccolta nel poema esiodeo,
queste Teogonie orfiche descrivono il divenire e lo sviluppo del mondo dagli oscuri impulsi
primitivi fino alla molteplicità ben determinata del cosmo ordinato ad unità; e lo descrivono come
la storia di una lunga serie di potenze e di Esseri divini che, svolgendosi l'uno dall'altro e l'uno
superando l'altro, si avvicendano nell'opera di formare e reggere il mondo assorbendo in sé il tutto
per restituirlo poi animato d'un solo spirito e Uno nella sua infinita pluralità.
Certamente questi non sono più Dei dell'antico tipo greco.
Non solo le divinità create dall'intuizione orfica sono sottratte, quasi per forza del simbolo, alla
chiara rappresentazione sensibile, ma anche le figure tolte dall'Olimpo greco sono qui nient'altro
che personificazioni di concetti.
Chi riconoscerebbe il Dio d'Omero nello Zeus orfico, il quale, assorbito in sé il Dio che è in ogni
dove, e, assunta in sé la forza di Eripeo, è divenuto a sua volta Tutto: Zeus è il principio, il mezzo è
Zeus, in Zeus il tutto è compiuto?»40.

Inoltre il Guthrie rileva che la Teogonia orfica, di contro a quella di Esiodo, termina col mito di
Dioniso e dei Titani, con la spiegazione dell'origine duplice degli uomini e così del bene e del male
che in essi si trova. Per cui, mentre l'una (quella esiodea) non avrebbe mai potuto diventare una
36
Damascio, Sui princìpi
37
Giovanni Malalas, Cronografia
38
Olimpiodoro, Commento al Fedone di Platone
39
Apione, in Clemente Alessandrino, Omilie romane
40
Rohde, Psiche

25
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

dottrina base per la vita spirituale, l'altra (quella orfica) poteva costituire tale dottrina, e in effetti la
costituiva.
E il Reale, a tale proposito scrive: «Il mistero dell'uomo e del suo sentirsi un misto di divino e di
belluino, con gli opposti impulsi e le contrastanti tendenze, erano così spiegati in un modo
veramente radicale».
Platone trarrà ispirazione da questa intuizione, e, trasponendola e fondandola su un piano
metafisico, costituirà quella visione dell'uomo a due dimensioni, che ha largamente condizionato
tutto il pensiero occidentale.

Delle quattro Teogonie che si attribuiscono all'orfismo, riportiamo quella basata sull'indicazione di
Platone, Aristotele ed Eudemo di Rodi, dando solo un accenno a quella cosiddetta Rapsodica, dal
momento che non vi sono differenze sostanziali.

«Degli altri Numi poi esporre e conoscere la genesi è impresa maggiore delle nostre forze; e
bisogna fidarsi di quelli che ne hanno parlato prima di noi; giacché, essendo essi, come
affermavano, discendenti di Dei, dovevano, credo, conoscere bene i loro progenitori… Per noi
dunque la generazione di questi Dei, così come quelli riferiscono, è: da Gea e da Urano nacquero
Teti e Oceano; da questi Rea e Crono, Zeus…»41.

Tutti questi nomi sono ovviamente personificazioni di princìpi; gli stessi Dei sono l'oggettivazione
di Essenze universali, e in quanto Teogonia tradizionale si riallaccia, con vari adattamenti, alle altre
Teogonie.
La Notte rappresenta l'Ingenerata, il Non-Essere, l'Assoluto non-qualificato; è lo Zero metafisico o
l'Uno metafisico che trascende la manifestazione per quanto ne sia il fondamento. Corrisponde
all'Uno-Uno, o Supremo, del Platonismo, al Nirguna Brahman del Vedanta advaita, al Tem della
Dottrina iniziatica dell'Egitto, all'Ain Soph della Qabbalah.

Notte Principio metafisico.


Gea, Urano Unità principiale metafisica.
Teti, Oceano Principio ontologico.
Rea, Crono Principio cosmico.
Zeus Creatore e ordinatore di tutta la manifestazione.
Dioniso Verbo divino.

Gea e Urano rappresentano la prima diade polare metafisica; l'essenza e la sostanza intellegibili, di
ordine divino prima della manifestazione oggettiva.
È un'unità polare che contiene tutte le potenzialità della manifestazione.

Oceano rappresenta le Acque superne, universali, l'Abisso pronto a manifestare l'Uovo che
contiene l'intero mondo oggettivo. Esso definisce i confini del creato, il tutto emerge dalle Acque e
il tutto ritorna nell'Abisso imponderabile.

Crono, col suo aspetto polare, rappresenta l'Uovo cosmico manifestato; è l'Uovo d'oro
(Hiranyagarbha) della Tradizione Vedanta. È anche il grande Tempo che abbraccia lo scorrere del
divenire.

41
Platone, Timeo

26
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

«Devi pensare dunque Crono in quanto il tempo e Rea in quanto lo scorrere della sostanza
umida…»42.
Lo scorrere del divenire formale è contenuto nel grande Tempo che, assieme alla Necessità,
avvolge come un serpente l'universo.
«Platone cita una visione orfica (donde il suo ritegno a nominare le sue autorevoli fonti); e le strane
entità che vi compaiono, come Okeanos e Chronos, meritano la nostra attenzione. Qui non s'intende
infatti Kronos Saturno, bensì proprio Chronos Tempo»43.

«Secondo Onians, e riportato dal Santillana, Okeanos viene paragonato all'Acheloo, il fiume
primordiale che veniva concepito come un serpente con le corna e la testa umana… In un qualsiasi
corpo, l'elemento procreatore era la psiche che appariva in forma di serpente. Okeanos, come ci è
dato ora di capire, era la psiche come un serpente in rapporto al liquido procreativo…
Così vediamo come per Omero, il quale allude all'opinione condivisa dai suoi contemporanei,
l'universo abbia la forma di un uovo cinto da Okeanos, che è la generazione del Tutto… Possiamo
forse comprendere meglio anche… perché in questa versione orfica il serpente venisse chiamato
Chronos, e perché Pitagora, interrogato su che cosa fosse Chronos, rispondesse che era la psiche
dell'universo. Secondo Ferecide, fu dal seme di Chronos che si produssero fuoco, aria e acqua»44.

E G. de Santillana continua: «La grande entità orfica era Chronos Aion (l'avestico Zurvan akarana),
comunemente inteso come il tempo indefinito, in Aion il professor Onians ravvisa il fluido
procreativo con cui veniva identificata la psiche, il midollo spinale che si pensava assumesse la
forma di un serpente, e può essere benissimo così, dal momento che si tratta di idee antichissime e
vive ancor oggi nei culti orfici e nella Kundalini dello yoga indiano…
È noto che per gli Orfici Chronos era il paredro di Ananke, la necessità, la quale, secondo i
Pitagorici, circonda anch'essa l'universo. Tempo e Necessità che cingono l'universo: ecco una
concezione piuttosto chiara e fondamentale: è collegata ai moti celesti indipendentemente dalla
biologia e porta direttamente all'idea platonica del tempo come immagine mobile dell'eternità»45.

Secondo la teogonia rapsodica (la quarta), dall'Uovo Cosmico nasce Fanes, assimilato ad Eros,
Metis, Erichepeo.
Così scrive Dario Sabbatucci: «La qualità propria di Eros, quella che ne determina la grandezza,
appare nel Convito (di Platone) come la capacità di integrare e conciliare gli opposti. In realtà Eros
è escluso dal sistema espresso poeticamente da Esiodo; c'è bisogno della rivoluzione orfica al
sistema, perché il Dio diventi Protogonos fanes… Ora, già da quel piccolo settore spazio temporale
della civiltà greca che Platone raccoglie e mostra nel suo Convito… possiamo ricavare gli elementi
per spiegarci la fortuna di Eros in ambiente orfico.
Il Dio è l'integratore unificatore in quel cosmo greco esiodeo che ha ragion d'essere, come ordine,
soltanto in un universo frantumato e ripartito in tante forme finite e limitate. Persino il giudizio
negativo, ossia orfico, della ripartizione cosmica traspare dalle pagine del Convito…
L'Eros che congiunge, unisce misticamente potremmo dire, è l'antitesi stessa del principio che
muove la teogonia esiodea, dove tutto prende forma, separandosi, staccandosi, distinguendosi
dall'informe e imperfetta condizione originaria»46.

Per Esiodo la frammentazione, la differenziazione delle forme, vale a dire, la molteplicità,


rappresenta la perfezione; per Orfeo invece essa è fonte di degradazione, d'imperfezione, di
allontanamento dall'Unità primordiale. Eros, nella Teogonia orfica, rappresenta: quel felice e

42
Apione
43
G. de Santillana, Il Mulino di Amleto
44
The origins of European Thought
45
G. de Santillana
46
D. Sabbatucci, Saggio sul misticismo greco

27
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

perduto momento pre-cosmico quando tutto era il Tutto e offrendo l'immagine modello di una
ritrovabile condizione di felicità.
La separazione, la distinzione e lo sbranamento dell'Unità universale, sono effetti di Neikos
(contesa opposizione), mentre la soluzione del dualismo polare separatore viene attuata da Eros.
Per un misticismo il quale consideri iniqua la separazione dal Tutto primordiale, la frantumazione
dell'universo, la condizione ideale è quella primordiale, riattuabile, dominata da Eros. Neikos esiste
soltanto in funzione dialettica, così come il cosmo differenziato dell'attualità religiosa panellenica
diventa soltanto una condizione temporanea da cui si deve venir fuori, da cui ci si deve salvare.
E ci si salva sia con la pratica mistica, sia intellettualmente… con l'acquisizione di una sapienza
religiosa, intesa come Iniziazione.

Per l'Orfismo, Fanes Eros è assimilato a Dioniso quale mezzo che unifica e fonde la dualità
nell'unità. Anche nel Cristianesimo il Cristo è colui che unifica la creatura decaduta al Creatore:
Nessuno va al Padre se non per mezzo mio.

«La concezione platonica dell'Eros è soprattutto orfica, come è orfico il Neikos Eros di Empedocle
e gli stessi quattro elementi radici empedoclei (si veda la terza teogonia orfica). Dalla polarità
Crono Rea nasce Zeus, il quale è il Re e Signore del mondo; è padre madre di tutti gli enti
manifestati, è l'ordinatore dell'intero cosmo e colui che assegna un posto a tutte le cose»47.

«E i poeti antichi la pensano in modo simile, in quanto dicono che a regnare e a dominare non siano
gli Dei primordiali, come Notte e Cielo, o caos, o Oceano, bensì Zeus»48.

Dioniso rappresenta il Logos, il Verbo solare, il Salvatore dell'umanità; egli corrisponde al Visnu
del Vedanta, al Mithra dei Persiani, all'Orus degli egiziani; Orfeo è colui che lo àncora sulla terra,
colui che, trasmettendo i Misteri sacri di Dioniso, rende possibile la redenzione e la liberazione
dell'uomo aggiogato all'elemento titanico.
Il trio teologico cristiano di Dio, Cristo, Gesù è analogo ai Misteri di Dioniso. Zeus offre il Figlio
Dioniso, quale Verbo divino rigeneratore, incarnato in Orfeo, strumento visibile di liberazione.

Anche nel Corpus Hermeticum di Ermete, il tre volte grande, si ha che: «Questa Luce sono io,
l'Intelligenza (il Nous della Tradizione greca), il tuo Dio che precede la natura umida uscita dalle
Tenebre; ed il verbo luminoso che emana dall'intelligenza è il Figlio di Dio».
Ciò si ricollega all'Evangelo di Giovanni: In principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio, ed il
Verbo era Dio.

E ancora nel Corpus Hermeticum: «Il Verbo di Dio si sollevò bentosto dagli elementi inferiori nella
pura creazione della natura e si unì al Pensiero creatore».
E in Giovanni: Tutto fu fatto per mezzo di Lui (Verbo) e senza di Lui nulla fu fatto di quanto esiste.

Con i Sacri Misteri orfici si perviene all'identità con Dioniso e, di conseguenza, con tutti i Princìpi
che gli stanno dietro. L'elemento titanico spezza il legame col Divino, l'elemento dionisico lo
ricollega. Dioniso, per gli Orfici, è, ancora, il reggitore della presente era.
Si può aggiungere una rappresentazione geometrica della Teogonia orfica perché forse più
comprensibile al lettore.
In un'altra Teogonia, quella contenuta nelle Rapsodie orfiche, si parla anche di Chaos e Etere, e il
termine Chaos ci è anche noto: è l'immensità dello spazio primordiale; tutto ciò che diviene appare
e scompare in esso; rappresenta anche le Acque abissali prima del loro apparire come forma nome.

47
Damascio, Sui princìpi
48
Aristotele, Metafisica

28
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

Le manifestazioni che appaiono in Chaos sono invece kosmos. Kosmos è dunque il mondo dei nomi
e delle forme, è tutto ciò che nasce o si manifesta dal Chaos sotto la spinta di etere (Spirito
universale), l'altra polarità.

29
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

Per quanto possano cambiare alcuni nomi e altri essere rovesciati, tuttavia il risultato è sempre il
medesimo.

Principio metafisico o prima determinazione della Notte non-generata.

Il punto principale si sdoppia e la polarità diade, allo stato potenziale, si manifesta.

Nascono il grande Tempo e lo Spazio.

Zeus mette in moto il processo cosmico, offrendo Dioniso come Verbo redentore agli enti decaduti.

Ecco come si dispiega questa Teogonia.

30
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

Qui Crono viene posto come origine del tutto, ma l'essenza che informa questo Principio non
cambia.
Etere e chaos sono la diade da cui emerge l'Uovo cosmico che tutto contiene; sono la totalità del
cosmo in attesa di essere spezzato e quindi manifestato.
Con Fanes e Notte si hanno i due princìpi primordiali usciti dall'Uovo cosmico che possono
rapportarsi all'essenza e alla sostanza e che in Gea e Urano diventano manifestazione oggettiva,
dimostrandosi come Terra e Cielo o sensibile e intelligibile.

Crono

Chaos Etere

Uovo

Notte Fanes

Gea Urano

Zeus

Dioniso

31
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

L'ORDINE-ARMONIA UNIVERSALE
«Il misticismo orfico e la speculazione filosofica, la quale si veniva distinguendo dalla religione
anche per un superamento del vigente politeismo, e dunque poteva trovarsi nello stesso piano del
misticismo in antitesi al sistema politeistico, coincisero talvolta nella formulazione di un principio
assoluto trascendente (o superiore a) gli stessi Dei, che desse una giustificazione e un senso alle
multiformi manifestazioni del divenire, le quali minavano l'attendibilità di una realtà statica
efficacemente rappresentata dagli Dei immortali. E se da un lato potevano essere fatte riserve, ed
elevate a miti, certe antiche tradizioni che, per essere pre deistiche, ora apparivano super deistiche,
da un altro lato si potevano mitizzare certe coscienti astrazioni (quindi, veri e propri concetti), quali
forse furono l'inflessibile Adrasteia e l'assoluta Ananke… Adrasteia è forse una delle più
orfiche»49.

Di contro all'imprevedibilità individuale e collettiva degli Dei e degli uomini della tradizione
omerica, l'Orfismo, con Adrasteia, pone un principio d'ordine e di armonia universali che
sovrastano non solo gli uomini ma anche gli Dei. Adrasteia rappresenta, appunto, questo principio
di Legge, di Ordine, di Norma a cui l'intera manifestazione deve sottostare. Tale principio viene
ripreso più tardi dalle varie correnti filosofiche, con nomi diversi: Ananke, Dike, Nemesis, Themis,
ecc.
Ciò implica che la manifestazione non è governata dall'imprevedibilità dei suoi molteplici
movimenti, o dal caso capriccioso ed elusivo, ma dalla Legge, da quella Legge che riporta la stessa
molteplicità all'unità.
La scienza, la filosofia, la stessa arte, ecc., possono sussistere perché dietro il cangiamento formale
esiste una costante, un denominatore comune verso cui tendono tutte le apparenze e che offre la
certezza di un processo ordinato di eventi e cose. L'uomo non è frutto di un caso, di un accidente,
ma è il prodotto di uno scopo che si inserisce nel grande schema della realtà suprema (Gea-Urano).

L'Orfismo in luogo dell'indeterminatezza formale, o della sostanza titanica, pone una realtà
universale e noumenica finalistica perché l'essere, per quanto possa concepirsi divenire e processo,
non può non trovarsi, prima o poi, Essere.
Da uomo ti sei realizzato Dio, e ciò può dirsi possibile perché l'uomo è stato sempre un Dio.
La manifestazione e l'espressione dell'essere tendono, consciamente o inconsciamente, verso un
fine che è quello di ritrovarsi e riconoscersi ciò che realmente si è. E in questo processo di
riconoscimento si è aiutati da una realtà universale la cui nota non è caos ma cosmos, il quale è
impersonato da Adrasteia. Adrasteia rappresenta la misura ordine che giace nell'Uovo cosmico e al
cui svelarsi la manifestazione sottile e grossolana deve obbedire come a fatalità.

Difatti, così sta scritto:


«Il primo uomo, Adamo, fu fatto anima vivente, il secondo Adamo è spirito vivificante. Ma non è
prima ciò che è spirituale, bensì ciò che è materiale; lo spirituale viene dopo.
Il primo uomo, tratto dalla terra, è terrestre; il secondo, invece, è dal cielo. E qual è il terrestre, tali
sono anche i terrestri; e qual è il celeste, tali sono anche i celesti. E come abbiamo portato
l'immagine del terrestre, così porteremo pure l'immagine di quello celeste. Quello che affermo, o
Fratelli, è che né la carne, né il sangue possono ereditare il regno di Dio, né la corruzione può
ereditare l'incorruzione…
(Ma) quando questo corpo corruttibile avrà rivestito l'incorruzione e questo corpo mortale avrà
rivestito l'immortalità, allora avrà compimento la parola che fu scritta: La morte è stata assorbita
nella vittoria. O morte, dov'è la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo pungiglione? Sappiamo, infatti,

49
D. Sabbatucci, op cit

32
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

che se la tenda della nostra dimora viene distrutta, noi ne abbiamo un'altra che è opera di Dio, una
dimora eterna, non costruita dalla mano dell'uomo, nei cieli. Per questo noi gemiamo nell'attuale
corpo, bramosi di rivestirci della nostra abitazione celeste… E finché noi siamo in questa tenda,
gemiamo oppressi, perché non vogliamo esserne spogliati, ma sovravestiti, affinché ciò che è
mortale sia assorbito dalla vita. Pieni dunque, pieni di coraggio e consapevoli che mentre viviamo
nel corpo siamo pellegrini lungi dal Signore, camminiamo, infatti, nella fede visione, siamo pieni di
coraggio e preferiamo uscire da questo corpo per andare presso il Signore»50.

50
S. Paolo, Corinti

33
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

L'ASCESI ORFICA
«L'Orfismo non pone l'accento solo sull'aspetto cosmogonico e sulla condizione degli Dei, quali
princìpi universali, ma, contrariamente alla visione esiodea, rivolge l'attenzione all'uomo in quanto
tale, definendolo e volendolo innalzare alla sua vera dignità divina. Da qui la nascita
dell'iniziazione misterica.
Esiodo circoscrive la condizione umana in una limitatissima zona del suo universo, e si limita ad
insegnare all'uomo come sia fatto l'universo stesso, quale sia la parte umana e quale la divina, e
conseguentemente a quali norme l'uomo si debba attenere per un corretto comportamento. Sarebbe
come se dicesse: il mondo è così, non è bello, ma cerchiamo di non renderlo peggiore.
Esiodo non manca neppure di giustificare il suo pessimismo sulla condizione umana, ma in ciò non
sa oltre l'azione di Prometeo, ritenendo evidentemente la parte dell'uomo così ristretta nell'ordine
naturale delle cose, che la sua esistenza non supera l'ambito dei rapporti con questa perfezione che
nella Teogonia appare religiosamente importante: e l'unica verità che le Muse ingiunsero ad Esiodo
di proclamare si riduce ad un inneggiare la progenie dei beati che vivono eternamente.
Osserviamo in margine che per Esiodo assume un valore tutto particolare la locuzione proverbiale
del: risalire alla quercia e alla rupe. Che senso ha questo rifiutarsi di risalire alla quercia e alla rupe,
da parte di chi si accinge a parlare proprio delle origini più lontane del mondo? Niente sarebbe più
fuori luogo che qui, ricorrere ad una simile espressione per intendere un generico tergiversare…
Il fatto è che Esiodo rifiuta realmente di raccontare le origini dell'umanità dalla quercia e dalla rupe,
ritenendo tutto ciò non degno della sua considerazione (= non mito in senso tecnico): le origini che
possono costituire materia sacra di poesia sono quelle degli Dei.
L'uomo in quanto tale non è argomento di mito poesia, non c'è niente di sacrale in lui. La stessa
caduta dell'uomo, diventa per Esiodo un fatto al di sopra della portata umana: Prometeo, un Dio e
non un uomo, ne ha la colpa, sia pure in difesa dell'umanità; ossia l'uomo non è preso in
considerazione neppure come peccatore originario.
Non sarà così per gli Orfici ai quali interesserà l'antropogonia alla pari della Teogonia»51.

Così, l'Orfismo, come tutti gli Insegnamenti tradizionali, si rifà alla caduta di una parte dell'Anima
nel mondo della generazione, della corruzione (dice S. Paolo) o del mondo titanico. In altri termini,
l'uomo, in quanto tale, ha in sé una parte divina, dionisica, immortale, che appartiene al dominio
dell'intelligibile e una parte mortale che appartiene alla sfera del sensibile; questa, essendo di ordine
fenomenico materiale, costituisce un semplice composto soggetto a corruzione, degenerazione e a
passioni; inoltre, la parte caduta dell'Anima, trovandosi nel dominio del fenomeno, il quale esprime
il particolare e l'individuale, è esiliata, scissa, scomposta; l'unità cade nella dualità, e la dualità è
conflitto, patimento, dolore.
Alla parte caduta si dà anche il nome di psiche, per cui si ha l'Anima dionisica o Nous (che diventa
Monade nell'insegnamento di Pitagora), la psiche intermediaria tra l'intelligibile dionisico e il
sensibile titanico e, infine, il soma, o corpo prettamente sensibile. La psiche lotta tra l'Anima, sua
controparte divina, che l'attira e il corpo soma che la trattiene.
Si può quindi dire, con l'Orfismo, che l'Anima decaduta (psiche), l'Adamo decaduto, si è costruita
una tomba, un carcere, costretta oramai dalle leggi della necessità e del divenire. Da qui la
trasmigrazione di questo riflesso psiche coscienziale; trasmigrazione che rimane operante fino a
quando tale riflesso di coscienza incarnato non si reintegra nell'Anima Nous per ritornare unità.

Se si tiene presente che l'orfismo, al pari delle altre Tradizioni, considera l'Anima immortale, se ne
deduce che essa è fuori del tempo, dello spazio e della causa. Ora per chi possiede questa natura
incorporea e intelligibile, precipitare, pur anche con un suo raggio riflesso, nel sensibile corruttibile

51
D. Sabbatucci, op cit

34
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

significa trovarsi come in una tomba, in un carcere; immagini queste che denotano costrizione,
riduttività di capacità, di facoltà e di possibilità.
Se qualcuno pensa che l'Orfismo concepisca il corruttibile in termini troppo pessimistici (si vedano
poi lo stesso Platone e S. Paolo), occorre avere presente tali considerazioni. Il limite per l'Illimite
assoluto non può non rappresentare un carcere, una vera tomba. Il piano della generazione
sensibile, per l'Orfismo, è un piano anormale, sui generis, un piano di semplice, accidentale
precipitazione, un piano che avrebbe potuto anche non esserci, un piano che trova il suo alimento
nella non conoscenza di sé (per il Vedanta, avidya).

La normale e autentica patria dell'essere vero e immortale non è questo mondo duale, ma è un altro
mondo fatto di beatitudine; è un mondo che non nasce e non perisce, mentre questo mondo è nato e
deve perire. Anzi, occorre riconoscere che tutti i composti, quindi i corpi, del piano sensibile
tendono inesorabilmente verso la loro soluzione, verso il semplice e l'elementare.
La tenuta coesiva di un corpo esige violenza, mentre la natura intrinseca degli elementi cerca di
riprendersi la libertà. Tutti i componenti delle cose devono svanire; ogni dato, qualunque sia la sua
nascita e la sua organizzazione, contiene in sé l'implicita necessità della dissoluzione.
Ogni sostanza fenomenica o sensibile è soltanto una continuità di mutamenti, ciascuno dei quali è
determinato dalle sue preesistenti condizioni. Un dato è solo una forza, un effetto, una condizione
che appare e scompare. L'Anima è così prigioniera di questo incessante divenire, per cui cerca la
soluzione nella libertà.

Ermete Trismegisto dice a suo figlio Tat: «È impossibile, figlio mio, d'attaccarsi, nello stesso
tempo, alle cose mortali e alle divine. Gli esseri sono di due specie: corporei e incorporei, e in essi
si distingue il mortale e il divino, la scelta dell'uno o dell'altro è lasciata alla volontà. Poiché non ci
si può attaccare a tutti e due insieme. Quando si è fatta la scelta, quello che si abbandona manifesta
l'energia dell'altro. E la scelta del meglio non solo riesce ottima per chi sceglie, rendendo l'uomo
Dio…»52.
Secondo l'espressione evangelica: non si possono servire due padroni; non si può mettere il vino
nuovo in una botte vecchia, ecc.

Per Aristotele, l'identità deve permeare ogni mutamento; tutti i cambiamenti implicano un qualcosa
di permanente e che rappresenta la causa del cambiamento medesimo. Per Kant senza il costante,
non possono nascere relazioni temporali.
Non è possibile considerare le realtà un mero intreccio di relazioni e di connessioni, senza un
qualcosa da connettere e relazionare. Se ogni dato sensibile trova in altro la sua ragione sufficiente
e questo, a sua volta, in un altro ancora, e così via, non è certamente possibile, partendo da tale
ipotesi, trovare la vera causa di ogni dato. Ne consegue che dovremo andare oltre la categoria della
causa effetto, fino ad avere un dato che sia causa sui, che sia ipseità e non abalietà e che quindi
rimanga identico a se stesso, trascendendo tutti i possibili mutamenti.
L'esistenza sensibile è mutamento e il mutamento non porta stabile conoscenza e pax profunda.
Sotto questa prospettiva, si può essere d'accordo con Sofocle quando afferma, su ispirazione orfica:
«Non esser nati! Ecco ciò che trascende ogni pensiero. Ma se qualcuno appare nel mondo
dell'esistenza, c'è un'altra cosa che ha senso: tornare al più presto da dove si era venuti»53.

E Pindaro non è da meno: «Esseri effimeri! Che cos'è ciascuno di noi? L'uomo è il sogno di
un'ombra!»54.

52
Ermete Trismegisto, Il Pimandro
53
Soflocle, Edipo a Colono
54
Pindaro, Pythica

35
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

Se per un accidente siamo precipitati nel non essere, è nostro dovere e destino ridare le ali
all'Anima in modo che possa volare, senza indugio, verso la sua patria naturale.
Scrivevamo in Iniziazione alla Filosofia di Platone che: «La fuga dal corpo e dal mondo è sì fuga,
ma non verso l'annichilimento e l'evasione, bensì è fuga verso la vera patria dell'Essere, è fuga dal
mondo delle ombre, è fuga dal sensoriale passionale irrazionale… Non è fuga dal dolore fisico o
psicologico, non è fuga da eventuali responsabilità individuali, ma è qualcosa di più: è la fuga del
Filosofo il quale, mediante la pura contemplazione, ha compreso l'insufficienza, la caducità, la
vanità, l'inconsistenza, o non sostanzialità, della sfera del sensibile materiale o grossolano».

Diremo di più: quella del Filosofo non è fuga perché da che cosa egli deve fuggire se le cose non
sono? Da qui l'ascesa orfica dell'Anima, la via del ritorno, la via della conversione, della
interiorizzazione, della rimembranza.

«L'aver divinizzato a questo modo il ricordo, per cui solo all'indietro il tempo è esaltante, è una
decisiva indicazione metafisica. E questa non soltanto per la conseguenza pessimistica e antistorica,
ma anzitutto per l'indicazione di un luogo assoluto, che è l'inizio del tempo, e staccato da tutte le
altre esperienze. Ora proprio questo inizio staccato può di nuovo venire afferrato durante la nostra
vita se riusciamo a spezzare l'individuazione: è Mnemosine che ci rende capaci di tanto. Così la
trascendenza di Orfeo è anche immanenza, il suo pessimismo è anche ottimismo, se seguiamo
l'ispirazione dionisica»55.

L'ascesi orfica, per spezzare l'individuazione, viene proposta agli iniziandi in quattro fasi:

1. Purificazione.
2. Discesa agli inferi (katàbasis).
3. Unificazione col proprio Dèmone Anima.
4. Identità col Dioniso celeste.

Si è visto in precedenza che uno dei miti di Orfeo è quello della discesa agli inferi.
Ora, coloro che sono addentro alle cose iniziatiche possono capire questo particolare simbolismo.
Infatti, esso appartiene a tutte le Tradizioni iniziatiche; per esempio, a quella Sumera, Babilonese e
Assira. Così si ha la discesa agli inferi di Ishtar, divinità femminile del pantheon babilonese e
assiro; la discesa agli inferi di Inanna, dea sumerica della terra madre; la discesa agli inferi dello
stesso Gesù, ecc.
Questa discesa rappresenta, inoltre, l'opera al nero dell'Ermetismo, la soluzione della
solidificazione del passato, lo scioglimento dai vincoli di ciò che non si è o, come direbbe l'Advaita
Vedanta, la soluzione di tutte le sovrapposizioni velanti (adhyasa).

L'ente, nel tempo-spazio, ha proiettato nella sua spazialità psichica direzioni energetiche (idee,
emozioni, desideri, aspettative, comportamenti, ecc.) che poi si sono solidificate, cristallizzate.
La coscienza, identificandosi con tale materiale, si costringe nel divenire, non trovandosi mai al suo
giusto posto e al suo giusto tempo. In altri termini, non vive mai il suo stato presente.
Oggi si può intendere il termine inferi con il concetto di subcoscienza.
Questa è la nostra cantina ove sono depositate qualità o, meglio, nuclei solidificati di qualità che
trattengono e costringono la parte di Anima incarnata. Questi nuclei sono formati dalla sostanza
materia o polarità negativa ricettiva di cui l'Anima demiugica rappresenta l'altra polarità.

55
G. Colli

36
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

Tale sostanza ha quindi carattere femminile; così Orfeo (Anima demiurgica) deve scendere nella
cantina, prendere Euridice (il riflesso dell'Anima imprigionata dalla sostanza solidificata),
scioglierla dallo stato di costrizione e riportarla alla luce del sole; vale a dire, ricomporla nel
conscio in modo che la dualità venga a scomparire.
È interessante notare che Euridice muore (il riflesso dell'Anima è così stordito, addormentato, quasi
morto) e Orfeo deve ridarle vita e consapevolezza attiva. (Platone tutto questo lo esprime nel mito
della caverna). Tale processo rappresenta solo una parte dell'intera ascesi orfica.

Comunque, risolvere il subconscio individuale non basta perché vi è il subconscio collettivo; la


discesa agli inferi dev'essere integrale, deve abbracciare l'intero mondo infero; ciò implica che
occorre sganciare l'Anima anche da tutto ciò che l'umanità, in quanto processo individuato, ha
cristallizzato. È per questo che all'iniziando viene suggerito di rimanere sordo alle stimolazioni che
provengono dalle istanze sociali.
Cosa non facile perché idealismi e sentimentalismi di varia natura impediscono di restare fermi
nell'equanimità di animo. D'altra parte, all'iniziando orfico vien detto che, in quanto Anima, non
appartiene a questo mondo, la sua vera dimora è quella divina; questo mondo non è altro che un
passato cristallizzato che si perpetua per la spinta che l'uomo individuato gli vuole imprimere.
Il Vedanta direbbe: questo mondo solidificato non è altro che Karma accumulato, non ha una sua
realtà intrinseca, assoluta, una sua ipseità; il manvantara futuro non è altro che il karma non risolto
dell'attuale manvantara.

Il mito ha due varianti, ed è bene parlarne perché di particolare importanza.


Secondo una versione Orfeo, pur avendo persuaso con il suo divino canto le divinità infere, avrebbe
fallito nell'impresa, avendo violato la condizione di non voltarsi lungo il percorso in cui doveva
precedere Euridice. Secondo un'altra versione, le potenze infere, comprendendo che Orfeo non
avrebbe avuto qualificazioni adeguate per portare a termine l'impresa, avrebbero proiettato solo un
simulacro-ombra di Euridice, trattenendo questa negli abissi infernali.
Si hanno così tre condizioni in cui l'iniziando può trovarsi. L'ultima si presenta quando
s'intraprende la rettificazione senza qualificazioni adeguate: la subcoscienza comprende ciò e crea
false immagini, alibi e altro per stornare l'ignaro aspirante. È la condizione di alcuni i quali credono
di aver effettuato la rettificazione o la soluzione del proprio passato cristallizzato, mentre in verità
vivono di illusioni e di ombre; si credono, ma non sono. In altri termini, hanno riportato dal mondo
infero solo la proiezione mentale del vero se stessi.
La penultima condizione è estremamente penosa perché l'iniziando può avere certe qualificazioni,
può avere giusta direzione e buona volontà intelligente, ma in lui v'è ancora qualche guardiano
della soglia che gli impedisce di volgere veramente le spalle al suo passato, al subconscio
individuale e collettivo. Se si entra nella caverna per riprendere il proprio oro, occorre avere tutta la
determinazione, capacità e ardire di non voltarsi: basta un ripensamento, una debolezza, un alibi,
una qualificazione con cui si è vissuti per tanto tempo, un filo karmico non interrotto, che l'opus
fallisce.

Questa condizione viene sperimentata da discepoli che, per quanto ben intenzionati e con buone
qualità iniziatiche, non hanno tuttavia portato a fondo il processo della purificazione. E si sa che
l'Orfismo ritiene di estrema importanza la fase preparatoria della purificazione, costituendo appunto
la prima fase dell'ascesi. Difatti, gli affiliati dell'ordine orfico devono condurre la vita orfica,
(l'espressione è platonica) che consiste nell'osservanza di certe norme di purezza psichica e fisica.
Gli Orfici hanno persino cimiteri propri ove cremano i loro affiliati defunti. Ecco alcuni passi
platonici ove si parla della purificazione.

«Ebbene, o amico, disse Socrate, se questo è vero, grande speranza ha, chi giunga dove io sono per
andare, di ottenere appunto colà, nella sua pienezza, come certo in nessun altro luogo, quello per

37
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

cui grande affanno ci prendemmo nella vita trascorsa; cosicché questa emigrazione che ora è
ordinata a me, non è senza dolce speranza anche per chiunque altro il quale pensi di essersi a ciò
preparato lo spirito come con una purificazione.
Precisamente, disse Simmia.
E purificazione non è dunque, come già fu detto nella parola antica (il riferimento è evidente alla
parola sacra degli Orfici. La catarsi è idea centrale dell'orfismo, accettata e parzialmente modificata
dai Pitagorici), adoperarsi in ogni modo di tenere separata l'anima dal corpo, e abituarla a
raccogliersi e a racchiudere in se medesima fuori da ogni elemento corporeo (titanico) e a
restarsene, per quanto è possibile, anche nella vita presente, come nella futura, tutta solitaria in se
stessa, intesa a questa sua liberazione dal corpo come da catene?»56.

«Noi vediamo invero che in molti luoghi gli uomini persistono ancor oggi a sacrificare altri uomini;
e per contro apprendiamo che in altri luoghi vi fu un tempo in cui non osavano assaggiare
nemmeno del bue; le loro offerte agli Dei non consistevano in animali, ma in focacce, frutti
annaffiati di miele ed altri doni incruenti di tal genere; e si astenevano dalla carne, ritenendo che
non fosse lecito mangiarne, né macchiar di sangue le are degli Dei; insomma quegli uomini
vivevano allora quella certa vita che chiamarsi orfica, attenendosi per contro da tutto ciò che è
animato»57.

«La prima condizione, invece, è di colui che sa riportare la vittoria sulle proprie ombre
cristallizzate. L'Euridice incatenata dal tempo spazio la si deve liberare e portare nell'atemporalità
del senza spazio.
Inoltre, occorre tener presente che l'iniziando viene sottoposto ad un'Iniziazione, vale a dire: In un
rituale complesso che mirava ad introdurre, attraverso stadi successivi, in una esperienza
eccezionale. Il compito affidato alle famiglie sacre degli Eumolpidi e dei Greci, che reggevano la
celebrazione dei Misteri, consisteva dunque, nel suo aspetto culminante, in una selezione.
L'Iniziazione in senso largo avveniva in due tempi, a sei mesi di distanza, attraverso i Piccoli
Misteri (celebrati in primavera ad Agra) e i Grandi misteri. Inoltre, le fonti enumerano una serie di
condizioni che dovevano essere soddisfatte dagli Iniziati: istruzioni rituali, astensione da certi cibi,
purificazioni, digiuno. Norme esteriori queste tramandate, che certo non escludono prove di
capacità speculativa. L'accesso al peribolo sacro di Eleusi era proibito ai non iniziati, a costo di
pene gravissime. E infine, lo stadio supremo dei Misteri, l'epopteia, che non si poteva raggiungere
se non era trascorso un anno dall'iniziazione ai Grandi Misteri. Le fonti non precisano che cosa si
richiedesse a chi voleva essere ammesso all'epopteia, ma c'è da pensare che qui, al vertice di un
processo che ha tutti gli aspetti di una selezione, il numero dei prescelti non fosse grande…
Del resto a confermare la tesi di una rigorosa selezione c'è il precetto fondamentale che avvolge
l'evento eleusino: la segretezza assoluta, proclamata enfaticamente dall'Inno a Demetra, e rimasta
inviolata per un millennio, sino alle malevoli, frammentarie rivelazioni degli scrittori cristiani»58.

Si presume che ad Eleusi ai Piccoli Misteri presiedessero Demetra e Core, mentre ai Grandi Misteri
e all'epopteia finale, Dioniso.

«O sulle ruvide rive illuminate dalle torce, là dove le signore, per i mortali, sono nutrici dei Santi
Misteri, la cui chiave d'oro si trova sulla lingua dei Sacerdoti Eumolpidi»59.

«…Ma ho avuto il privilegio di vedere i riti segreti degli iniziati…»60.

56
Platone, Fedone
57
Platone, Leggi
58
G. Colli, op cit
59
Sofocle, Edipo a Colono
60
Euripide, Eracle

38
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

«E però è giusto che soltanto l'intelletto del filosofo riabbia le ali, giacché egli, per quanto è
possibile, ha sempre la mente fissa a questi obietti (soluzione del subconscio individuale), pei quali
Dio è divino appunto perché in continua comunione con essi. E l'uomo che si giovi di questi
ricordi, perché iniziato ai perfetti Misteri, è il solo che divenga perfetto.
Staccatosi dalle cure umane (soluzione dell'inconscio collettivo), e aderendo a ciò che è divino,
viene ripreso come demente dal volgo, il quale non s'avvede che egli è invece posseduto da Dio»61.

«Oh Misteri veramente sacri! Oh Luce pura; al chiarore delle fiaccole io ho una epoptica visione
del Cielo e di Dio. Son fatto puro dall'Iniziazione. Il Signore è lo Ierofante che svela i Misteri; egli
segna l'Iniziato con il suo suggello, illumina il suo cammino, e lo raccomanda, perché ha creduto,
alle cure di Dio dal quale è protetto per l'avvenire»62.

Senza dubbio Pitagora, Parmenide, Empedocle, Sofocle, Euripide, Platone, Plutarco, Apuleio, ecc.
sono stati iniziati ai Grandi Misteri, e alcuni di loro anche alla Epopteia.
L'altro mito si riferisce allo sbranamento di Orfeo da parte delle Bassaridi e si ricollega al mito
dello sbranamento stesso di Dioniso; vale a dire della morte rinascita del Dio. Esso va analizzato
sotto un duplice aspetto: ritualistico e metafisico; il primo aspetto, a sua volta, prende due direzioni:
l'una prettamente rituale, considerando il rito una ripetizione di atti soggettivi e oggettivi capaci di
produrre certi effetti; l'altra direzione consiste nel giusto uso del suono quale mezzo utile per creare
sintonia. I due aspetti ovviamente non sono distinti, separati o in opposizione.

Per quanto riguarda la prima direzione, si può dire che il ritualismo orfico è incentrato soprattutto
sulla morte-rinascita di Dioniso; il Cristiano direbbe sulla Passione. Viene quindi rappresentata una
sequenza drammatica in cui si può vedere la morte del Dio Zagreo e la sua resurrezione.
Il miste deve rivivere tale sequenza, deve interiorizzarla, coscientizzarla fino ad un punto in cui
tutte le sue facoltà vengono assorbite per immedesimazione con l'evento. È lo stesso neofita che,
caduto sul piano della generazione, deve rinascere, deve svegliarsi; e Dioniso, che rappresenta il
simbolo eternamente vivente di tale evento, si offre come forza, influsso, grazia per la rinascita
spirituale.

Il mito della morte rinascita è dunque un'esperienza ben precisa la quale deve coinvolgere, più che
il semplice emotivo, lo strato coscienziale più profondo; in altri termini, deve coinvolgere l'ente
stesso nella sua essenzialità. Solo in tal modo esso diventa catartico. L'immedesimazione, ad
esempio, con la Passione di Gesù può portare il neofita ad avere le stimmate o, addirittura, come in
Therese Neuman, a rivivere coscienzialmente l'intera sequenza della Passione.
Ora, bisogna tener presente un fatto: se il neofita non è pronto perché manca di fuoco, di eros, di
aspirazione alla morte rinascita, l'evento rappresentato non può dare gli effetti dovuti. Se non ci
sono l'adeguato combustibile, la coscienza anelante d'identità col Dio e il giusto rapporto con l'atto
rituale, questo può diventare una semplice rappresentazione teatrale o folcloristica.
Nel momento culminante del rito i misti qualificati subiscono la rottura di livello dell'io e non solo
vedono, ma riconoscono ciò che realmente sono; vale a dire, si riconoscono e si scoprono Dioniso.
In termini Vedanta si può dire che si entra in samadhi. Il rito è forza magica che, se ben compreso e
seguito, opera precisi effetti. L'arte sacerdotale consiste anche nel saper comprendere e utilizzare il
rito.

Il mito, cioè il simbolo di un evento, di un fatto, contiene una particolare sequenza, un preciso
schema che rimanda alla sua realtà esoterica. Dunque, esso va vissuto; il miste vi deve trovare il
filo conduttore, la strada da percorrere, la mèta da raggiungere. Il mito di Dioniso narra che egli
viene fatto a pezzi dai Titani, per poi essere ricomposto da Zeus; così il neofita, fattosi a pezzi con
61
Platone, Fedro
62
Clemente Alessandrino, Protrettico

39
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

la caduta nella generazione, deve rinascere all'elemento dionisico, deve ricomporsi per ritrovarsi
unità metafisica. L'elemento titanico ha diviso l'unità, ha rotto l'equilibrio e l'armonia primordiale,
occorre così morire a questo elemento separatore e rinascere all'unità primigenia.
Data questa realtà, l'unità col Dio si realizza riproponendo l'iter di Questi: ciò che Tu sei, io lo sarò,
ciò che Tu hai fatto, io lo farò. Questa necessità d'identità non è solo formale, ma reale; la morte
rinascita del Dio è mezzo e fine nello stesso tempo perché l'azione del miste poggia sull'evento, sul
fatto del Dio e sfocia nell'identità con lo stesso Dio. Tale identità può non essere completa, e allora
si ha un'identificazione puramente formale alla quale non partecipano né la coscienza né la psiche;
si può avere così una caricatura dell'evento, un'imitazione animale esteriore che si risolve in una
semplice parodia.
Si può avere ancora un'imitazione mentale, psicologica, per cui il miste potrebbe credersi in
identità, ma in pratica non lo è. È il falso iniziato, spesso anche in buona fede. Alcuni si credono
ciò che in realtà non sono.
L'identificazione è avvenuta solo con una forma immagine proiettata, costruita su misura dal
proprio io. Si può avere invece la vera identità, per cui si determina un'autentica trasformazione,
conversione del proprio essere; da qui la nascita ad un nuovo stato dio coscienza. Rinascendo nel
Dio Dioniso il miste ovviamente viene trasfigurato, uscendo dal ciclo della generazione.

«Raggiunsi il limite della morte. Varcata la soglia di Proserpina fui condotto attraverso tutti gli
elementi, e poi feci ritorno. Nel mezzo della notte vidi un sole irradiante di splendida luce. Mi
presentai al cospetto degli Dei superni e di quelli inferi e da vicino li adorai»63.

Raggiunta la morte, l'anima sente una sensazione simile a quella degli Iniziati ai Grandi Misteri.
Difatti il termine morire (teleutai) e quello essere iniziato (teleisthai) si assomigliano, così gli stessi
eventi.

«Anzitutto vi è il vagare logorante, senza fine, attraverso le tenebre (è il passaggio tra un piano e un
altro caraterizzato dal buio); al loro svanire si vedono cose impressionanti (bardo); poi si hanno
brividi e tremiti, sudori e sbigottimenti. Dopo di ciò si fa incontro una luce mirabile e l'anima si
trova in luoghi puri ove si odono voci e solennità di sacre melodie, si vedono danze e sante
apparizioni»64.

«Però conosco un rito di Orfeo molto efficace, per cui il fuoco sale spontaneamente verso la testa e
brucia da sotto il figlio monocolo della terra»65.

Questi passi sono molto significativi e illuminanti per coloro che hanno intuizione e sono edotti di
cose iniziatiche.

«Orfeo ci ha dato le Iniziazioni e ci ha insegnato ad astenerci dall'uccidere.


Museo, a sua volta, ci ha insegnato gli oracoli e a risolvere del tutto le malattie»66.

Qui Platone allude a quei miti orfici, secondo cui Dioniso viene sbranato dai Titani e risuscitato da
Apollo. Per questo afferma:

«Raccogliersi e racchiudersi in se stessi, ossia passare dalla vita titanica a quella unitaria. Anche
Core viene portata nell'Ade, però viene ricondotta alla luce da Demetra, per abitare dov'era
prima»67.

63
Apuleio, Metamorfosi
64
Plutarco
65
Euripide, Ciclope
66
Aristofane, Rane

40
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

«Orfeo e la sua morte straziante potrebbero essere una creazione poetica sorta ripetutamente in
luoghi diversi. Ma quando personaggi che suonano non la lira, ma il flauto, finiscono scorticati vivi
per motivi assurdi di varia specie, e quando la loro identica fine viene ripetuta e rievocata in diversi
continenti, allora sentiamo di aver messo le mani su qualcosa, poiché racconti simili non possono
essere collegati per sequenza interna. E quando il pifferaio magico compare sia nel mito medievale
tedesco a Hamelin sia nel Messico in età di molto anteriore alla Conquista, e in entrambi i luoghi è
connesso con certi attributi come il colore rosso, è ben difficile che si tratti di una coincidenza.
Di solito sono assai poche le cose che penetrano nella musica per puro caso.
Così pure non è accidentale che numeri come 108 oppure 9 x 13 si trovino ripetuti in vari multipli,
nei Veda, nei templi di Angkor, a Babilonia, negli oscuri detti di Eraclito e anche di Bakoll
Norrena»68.

Per la seconda direzione del primo aspetto si ricorda che Orfeo è cantore, usa la cetra con la quale
incanta uomini, bestie e Dei. Per questa sua natura di musico, egli viene considerato altresì figlio di
Apollo. Rimane naturale pensare che Orfeo con la lira sappia intonare note che corrispondono a
stati dell'essere.
La lira non costituisce un semplice diversivo o passatempo; la Tradizione ci dice che con essa
Orfeo addolcisce le belve, incanta gli uomini, parla agli Dei; ciò implica che egli con il suono si sa
sintonizzare con la vita e con gli enti.
Si ricorda che Pitagora più che l'aspetto rituale trae dall'Orfismo questa direzione musicale e con il
monocordo riesce a scoprire le Armonie delle sfere. Ma Orfeo è colui che dà le precise indicazioni
di connessione tra suono vibrazione e ritmo della vita.

La stessa lira di Apollo non costituisce un diversivo o un oggetto di pura piacevolezza, egli non ha
alcuna necessità di simili cose; ma su precisi rapporti tonali costruisce i mondi. Anche Krsna è
rappresentato nell'atteggiamento di suonare il flauto. L'universo manifestato è la sintesi di Numero
(quantità), Suono e Luce; di vibrazione qualità e colore, e Orfeo conosce questa legge e il modo di
applicarla su determinati piani esistenziali.

«Da alcuni cultori come Ficino, Pico della Mirandola, Agrippa, ecc., Orfeo viene considerato il più
grande Mago sacerdotale che, mediante il Numero, la Dignità del rango e lo strumento adatto, sa
attirare la Qualità divina o l'influsso spirituale, soprattutto nelle Iniziazioni superiori: La magìa
orfica di Ficino (Magìa spirituale, naturale o sacerdotale) costituiva un ritorno ad un antico priscus
theologus… Orfeo è secondo, dopo Ermete, negli elenchi ficiniani di prisci theologi»69.

Infatti scrive il Ficino:


«Egli è detto il primo autore di Teologia (Ermete Trismegisto): gli successe Orfeo, secondo tra i
Teologi dell'antichità; Aglaofermo, che era stato iniziato all'insegnamento sacro da Orfeo, ebbe
come successore in Teologia Pitagora, di cui fu discepolo Filolao, maestro anche del nostro divino
Platone. C'è, quindi, una Teologia antica (Prisca Theologia) …che ha la sua origine in Ermete e
culmina nel divino Platone».

La Yates continua:
«La raccolta di Inni conosciuta sotto il nome di Orphica costituiva la fonte principale… nota al
Rinascimento… In genere essi si rivolgono a un Dio, particolarmente il Sole, chiamandolo con i
suoi vari nomi e ne invocano i singoli poteri: c'è, in essi, qualcosa di più che una semplice
sfumatura d'incantesimo magico. Ficino e i suoi contemporanei credevano che gli Inni orfici
fossero stati scritti dallo steso Orfeo, quindi in una remota antichità, e che riflettessero il carattere

67
Olimpiodoro
68
G. de Santillana
69
F. A. Yates, Giordano Bruno e la Tradizione ermetica

41
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

religioso di un priscus magus vissuto molto prima di Platone. La ripresa, da parte del Ficino, dei
Canti orfici riveste per lui una profonda importanza, perché egli è convinto di avere a che fare con
l'esperienza di un antichissimo teologo, di un uomo che aveva profetizzato la Trinità…
Ficino era solito cantare Inni orfici, accompagnandosi con una lira da braccio. Questi Inni erano
collegati a qualche specie di semplice musica monodica che Ficino riteneva echeggiasse le note
musicali emesse dalle sfere planetarie, formando così quella musica delle sfere di cui aveva parlato
Pitagora (sulla rivelazione di Orfeo).
Si potevano perciò cantare Inni al Sole, a Giove, o a Venere, come melodie adatte a questi pianeti;
e si credeva che così, invocandone anche i nomi e i poteri, se ne potessero attirare gli influssi.
La magia orfica è, così, usata per attirare determinati influssi astrali; e lo spiritus ne è il veicolo o il
canale».

E Pico della Mirandola in una delle sue Conclusiones orphicae così si esprime:
«Nell'ambito della magia spirituale non c'è niente di più efficace degli Inni di Orfeo, se si eseguono
con il concorso di musica adatta, di un'opportuna disposizione dell'animo, e delle altre circostanze
ben note al saggio».

In un'altra delle Conclusiones orphicae Pico sostiene che i nomi degli Dei cantati da Orfeo non
sono nomi di demoni inferiori, ma nomi delle virtù naturali e divine.

E ancora la Yates scrive:


«Agrippa tratta della Magìa orfica e di come le Divinità da lui nominate nei suoi Inni non siano
dèmoni diabolici, ma virtù divine e naturali istituite da Dio per utilità degli uomini ed evocate
mediante questi Inni».

Ficino sottolinea che occorre seguire la magìa naturalis, spirituale o sacerdotale, che è buona, utile
e necessaria e non quella demoniaca che è illecita, perversa e di ordine inferiore.
Mediante la scienza del suono, Orfeo, come gli antichi Rsi vedici, richiama Enti divini nel
Santuario sì che possano fungere da Anima, da Archetipo nei riti e nelle forme sensibili. Le qualità
principali Urano-Gea si riflettono nell'Anima universale Crono-Rea e, mediante l'Ordinatore del
mondo Zeus, si riflettono ancora nella sfera del sensibile concreto.
Ora il suono (si veda l'efficacia dei mantra vedici) ha la possibilità di penetrare nel mondo
intermedio e di attrarre Qualità, o Influssi, di ordine intelligibile e canalizzarle, ad esempio, in un
Tempio o durante il rito di un'Iniziazione.

Un suono, un mandala, uno yantra e lo stesso rito possono costituire vasi risonatori mediante cui si
trasmettono Influssi che provengono dall'universale. Una forma, sia essa corporea o di qualunque
altra natura, si deteriora perché manca dell'Influsso divino dal quale dipende; mediante quei vasi
risonatori essa può essere attivata e ricostruita.
Una Forma tradizionale, ad esempio, può subire anche deterioramento nel tempo-spazio per
inqualificazione dei responsabili alla guida, per cui nascono o, meglio, scendono nella sfera del
sensibile determinate persone che fungono da vasi risonatori (ecco le grandi figure come Ermete,
Orfeo, Pitagora, Platone, Samkara, ecc.) e, trasmettendo la linfa, qualità o l'influsso del mondo
intelligibile, ravvivano o rettificano tale Forma; a meno che Questa, avendo adempiuto al suo
compito, non debba necessariamente essere ritirata o astratta.

Così, l'autentico Sacerdote svolge un ruolo estremamente importante e divino; fungendo da ponte
tra l'intelligibile e il sensibile tiene aperto il circuito vitale.
L'altro aspetto del mito è più di ordine metafisico. Come si è accennato in precedenza, tale
simbolismo, non esclusivo ovviamente dell'Orfismo, fa comprendere come l'Unità principale,
scindendosi, si polarizzi in altrettante unità, determinando così la molteplicità.

42
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

Quindi si ha che l'Uno, spezzandosi, appare due (somma di 1+1), il due appare tre (1+1+1) e il tre
quattro; sommando queste unità, figlie dell'Uno principio, si ottiene la cifra di nove (il numero
dell'iniziazione perfetta), e includendo l'Unità-principio si ha il dieci che rappresenta la perfezione
integrale e totale, e dieci sono le Sephiroth perché l'Ain Soph è trascendente.
Si è detto che l'Uno appare il due, non si è detto che l'Uno si trasforma o si cambia nel due, e in ciò
v'è una considerazione filosofica.
L'Uno, se veramente è tale, non può cambiare natura e trasformarsi in due o in altra natura. La
natura dell'Uno, in quanto Realtà-principio, non può tradire se stessa, non può snaturarsi perché
diversamente crollerebbe la manifestazione che ha oggettivato. Il due, il tre, ecc., sussistono e
trovano la loro ragion d'essere perché l'Uno permane nella sua costante realtà. L'Uno, dunque, può
apparire due, tre, ecc., ma in realtà esso sottostà ad ogni cifra senza sminuirsi; esso rappresenta il
sostrato e l'essenza in abscondito dell'intera serie numerica. Il Vedanta direbbe: Brahman appare il
mondo molteplice, ma non è il mondo molteplice. L'Uno non è il due, il tre, ecc.; l'Uno è sempre
uno e sempre sarà uno e non può essere che uno se la sua natura è tale.

La mente, per quanto possa proiettare (si veda soprattutto nel sogno) indefiniti dati, tuttavia rimane
la stessa mente senza esaurirsi nella sua apparente molteplicità ideata.
Ora, l'Orfismo sembra dirci: tu sei l'Anima immortale, non sei questo corpo prigione; per quanto ti
possa considerare corpo prigione, fino a dimenticare la tua reale natura, rimarrai pur sempre Anima
immortale. Nell'annullarti come Anima, nell'estraniarti dall'Anima, nell'alienarti dal tuo autentico
stato esistenziale, nel frammentare il tuo essere trovi la morte (Dioniso che si frammenta), trovi
altresì il tuo conflitto e il tuo suicidio.
Se vuoi uscire da questa scissura, da questo oblìo (espressione platonica, ma fondamento della
visione orfica), da quest'alienazione atterrante e velante devi riprendere la via del ritorno, della
conversione, e in ciò possono esserti di guida la Conoscenza orfica, i Misteri orfici e lo stile di vita
orfico.
L'unione con il proprio Dèmone può effettuarsi dopo la fase della preliminare purificazione e dopo
quella della discesa agli inferi, non prima. E in riferimento ancora alla purificazione, occorre
precisare che gli Orfici primitivi vivono in comunità iniziatiche appartate, portano speciali vesti
bianche, osservano numerose norme e interdizioni e hanno cimiteri propri.
La vita orfica è permeata da una consistente normativa tutta improntata alla soluzione
dell'identificazione con l'elemento titanico.

Si è accennato in precedenza che le istituzioni orfiche prediligono le alture, mentre quelle lunari, le
vallate. In ciò concorrono tanti fattori; per esempio: le masse umane, in quanto tali, sprigionano
potenti correnti di energia qualificata dalla pesante vibrazione-radiazione individuata; questa
grossolana corrente vibrazionale colpisce negativamente organismi sensibili che tentano di alzare le
note, i toni, i ritmi. Il problema può essere anche inquadrato in altri termini: l'inconscio collettivo è
una potente forza qualificata che influisce sulla psiche di un individuo. Il potenziale umano nel suo
insieme, come sotto altri aspetti, le macchie solari, i pleniluni, ecc., influisce sulle funzioni basilari
degli organismi sensibili. Tutte le passioni sono vortici di forze prodotti da altrettanti vortici vitali;
occorre riconoscere che un determinato campo manifesto è un gioco di influssi che attira o respinge
tutto ciò che gli si avvicina. Una persona, un pianeta, ecc., costituiscono un centro, un punto-vortice
vibratorio che può influenzare positivamente o negativamente altri apparati vitali. Chi non è
sensibile, non se ne avvede, ma ciò non toglie che il fenomeno sussista lo stesso.

V'è poi il problema della purificazione; mentre nella sede di Eleusi e di Delphi prima dell'avvento
dell'orfismo, la purificazione era imposta solo per alcuni giorni precedenti l'Iniziazione del neofita,
gli Orfici invece propongono la pratica della purificazione come norma di vita. L'unione col proprio
Dèmone non può realizzarsi senza questa tenace e continua purificazione, anche perché l'assenza di
essa impedisce la radicale soluzione del mondo infero titanico.

43
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

Se l'Orfismo professa il convincimento dell'Anima immortale e l'altrettanto convincimento della


sua vita orfica, è conseguenziale che scopo ultimo della vita orfica dev'essere quello di riunire ciò
che si è sparso e dimenticato.
Se si è Anima immortale e l'Anima per sua natura è libera dalla materialità corporea, allora il
neofita orfico non ha altra mèta, altro intento, altra sete se non quella di ritrovarsi in ciò che
realmente è; tutto il resto, vale a dire ogni possibile esperienza mondana, per quanto nobile e
straordinaria, non può non rappresentare un sempre maggiore allontanamento dalla propria
autentica natura o essere. Ogni esperienza individuata viene fatta dall'ombra del vero essere, la
quale oscura sempre più la realtà del Dèmone; ogni esteriorizzazione non è che un perdersi in altro,
un dipendere da altro; in altri termini, un non essere. In questo modo di trovarsi e vivere, si possono
considerare assurde quelle scorribande guerresche omeriche che non danno contemplazione di sé,
ma stordimento nel continuo non essere.

La riflessione filosofica che nasce da Talete in poi la si deve all'Orfismo, non alla concezione di
vita omerica. I Misteri sorgono con Orfeo non con Omero, e di conseguenza la Tradizione iniziatica
occidentale scaturisce da Orfeo. Una credenza vuole che Orfeo sia vissuto nello stesso periodo di
Mosè e che entrambi, iniziati entro i sacri templi egizi, ne siano usciti con tesori conoscitivi e
realizzativi non comuni. Ma mentre Mosè impone il Dio, Orfeo professa il vero Insegnamento
metafisico; anzi, va di là da alcuni atteggiamenti dei sacerdoti egizi che volgono l'occhio più al
contingente che al trascendente.
Per l'affinità con gli insegnamenti estremo orientali è verosimile che Orfeo abbia ricevuto l'influsso
soprattutto dall'India. Il suo voler strappare tutto l'essere dal contingente e volerlo innalzare alle
vette della realtà metafisica sembrerebbe in contrasto con la visione spirituale egizia.
Difatti Orfeo, e quindi l'Orfismo, non solo vuole strappare l'uomo dal contingente e ricongiungerlo
col suo Dèmone immortale, ma anche integrare lo stesso Dèmone col Dioniso celeste, che è di
ordine universale e metafisico.

Ecco perché si accennava prima che la purificazione e la discesa agli inferi possono rappresentare
solo una tappa dell'iter realizzativo orfico; non già lo scopo ultimo.
In ciò si possono trovare due aspetti di straordinaria importanza: l'uno deriva dal riconoscimento
che Orfeo parla in termini di Grandi Misteri, l'altro emerge dal riconoscimento che l'Anima, o
Dèmone, appartiene alla stessa natura di Dioniso, per cui vi è soluzione di identità non di semplice
salvezza del Dèmone il quale, per quanto salvo, rimane pur sempre tale.
Da uomo-anima rinascerai Dio. L'uno aspetto è collegato all'altro.
Orfeo predica l'identità dell'Anima umana con quella divina, e questa verità, occorre notarlo, viene
espressa soprattutto dalle Upanisad. Tutte le varie forme religiose occidentali post orfiche si
esprimono non in termini di Identità, ma di dualità: Creatore, creatura. Si può ben dire che la
Tradizione orfica è la sola autenticamente monista e metafisica; anzi, si può persino credere che sia
non duale (in sanscrito: advaita), dal momento che intende reale assoluto solo l'Essere di cui
Dioniso è una rappresentazione universale.

E senza Orfeo, Parmenide non potrebbe concepire l'Uno assoluto (l'Orfismo si sviluppa con
notevole successo in Sicilia e nella Magna Grecia in genere), né Platone il mondo intelligibile e
l'Uno-Bene.
Proclo afferma:
«Quello che Orfeo ha insegnato per mezzo di esoteriche allegorie, Pitagora l'insegnò dopo essere
stato iniziato ai Misteri orfici e Platone mediante i Misteri orfici e gli stessi scritti dei Pitagorici».

I Misteri che potevano esistere al tempo di Orfeo non erano autenticamente tali; essi erano diretti
solo alla purificazione emotiva e all'ottenimento di qualche aspetto contingente, avendo carattere
soprattutto naturalistico; ma con Orfeo si ha uno scatto di qualità notevole sia a livello conoscitivo

44
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

che operativo. La stessa cosa accade in India con Gaudapada e Samkara i quali sviluppano dai
Veda Upanisad la più alta forma di spiritualità di contro alla religiosità ristretta e materialistica del
sacerdozio della Karma Mimamsa.

Si può ancora accennare che la stessa Genesi mosaica, per quanto consideri l'uomo creato a
immagine di Dio, per quanto gli dia il potere su tutte le creature subumane, non dice che l'uomo
Adamo, anche prima della sua caduta, è per natura un essere divino; esso è pur sempre nato dalla
polvere della terra.
Per la visione orfica, invece, l'Anima umana è divina, è un riflesso dello stesso Dioniso, è della
stessa natura di Zeus, e tale natura viene recuperata trascendendo l'elemento titanico. La caduta
dell'uomo orfico è sempre una caduta di un Dio per libera scelta.

La dottrina e l'ascesi orfiche trovano però riscontro nelle Tradizione di Ermete Trismegisto:
«E così, o Asclepio, l'uomo è un magnum miraculum, un essere degno di reverenza e di onore.
Poiché egli perviene alla natura divina come se fosse egli stesso un Dio; ha familiarità con la razza
degli Dei sapendo di condividere con essi l'origine; disprezza quella parte della sua natura che è
soltanto umana, perché ha riposto la sua speranza nella divinità dell'altra parte di sé»70.

70
Ermete Trismegisto

45
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

ASPETTI NUOVI DEI MISTERI ORFICI


Si può dire che le innovazioni che riguardano le sfere metafisica, spirituale e pratico-etica
dell'Orfismo, prodotte nella società greca del tempo, si possono sintetizzare in questi punti:

a) Il porre un campo Intelligibile oltre quello sensibile. Di ciò si avvalgono tutti i Filosofi iniziati,
da Pitagora a Parmenide, Platone, ecc.

b) Il dare l'idea di un Principio supremo monistico trascendente, di contro alla concezione


immanentistica e pluralistica della visione omerica. Di ciò si avvalgono soprattutto Parmenide,
Platone e poi lo stesso Cristianesimo. Ecco un frammento in cui si espone questa idea.
«Zeus nacque per primo, Zeus dalla fulgente folgore è l'ultimo; Zeus è la testa, Zeus è il mezzo; da
Zeus tutto è compiuto; Zeus è il fondo della Terra e del Cielo stellante; Zeus nacque maschio, Zeus
immortale fu fanciulla; Zeus è il Soffio di tutte le cose, Zeus è lo slancio del Fuoco infaticato.
Zeus è la radice del mare, Zeus è il Sole e la Luna; Zeus è il Re, Zeus dalla folgore fulgente è il
dominatore di tutte le cose: infatti, dopo aver nascosto tutti, di nuovo dal cuore sacro li sollevò alla
luce piena di gioia…»71.
Un altro frammento orfico, che riprende in parte quello sopraccitato, dice:
«Zeus è il principio, lo stato mediano e la fine del tutto».
Questi frammenti ci riportano senza dubbio alla visione upanishadica; basti menzionare solo
qualche sutra dalla Mandukya upanisad:
«Brahman è tutto questo: ciò che è passato, presente e futuro è realmente Brahman. E ciò che
oltrepassa questa triplicità temporale è sempre Brahman.
Il pranava OM (Brahman) è, in verità, l'inizio, lo stadio mediano e la fine di ogni cosa»72.

c) Il mettere in evidenza l'esistenza di un'Anima immortale nell'uomo di contro ad una mera


sopravvivenza larvale della tradizione omerica. Di ciò si avvalgono tutte le posteriori Tradizioni
iniziatiche, compreso il Cristianesimo.
L'Orfismo, come il Cristianesimo, scrive V. Cilento, vuole tutto l'uomo, lo strappa dalla sua radice
terrena e lo trasporta in un più spiritual aere.

d) L'enunciare l'idea tradizionale della caduta dell'Anima nel mondo della generazione corruttibile.
Con ciò si pone, di conseguenza, il problema del bene e del male nell'uomo e quindi la sua
responsabilità diretta di procedere ad una purificazione dell'elemento titanico incorporato nella
natura mortale.
Ancora una volta il Cristianesimo ha un debito con l'Orfismo.

e) Il dare la Conoscenza teorica, pratica e rituale sì da conseguire l'unità con l'Anima e poi col
Divino stesso. Così, l'Orfismo istituisce il processo iniziatorio non più per propiziare una qualche
deità per scopi individuali ed egoistici (si veda Karma Mimamsa induista e ritualismo egiziano), ma
per fini realizzativi e prettamente iniziatici, innalzando i Templi di Delphi, di Eleusi, di Tebe,
Olimpia, ecc. alla vera attività spirituale mediante i Grandi e Piccoli Misteri.
Le religioni occidentali post-orfiche sono più essoteriche che esoteriche.

f) Il porre l'identità Anima e Principio divino; ciò riveste un'importanza enorme nella Tradizione
iniziatica occidentale. L'uomo è Dio in potenza.

71
Kern, Riportato dal Reale
72
Mandukya Upanisad con le karika di Gaudapada e il commento di Samkara

46
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

g) L'enunciare l'idea della trasmigrazione, quindi della responsabilità individuale degli atti che si
compiono. Ciò che lega al mondo delle morti e delle rinascite (samsara per il Vedanta) è il karma-
azione non conforme al Principio (rappresenta l'evangelico: ciò che si semina, si raccoglie).

h) Il dare un codice di etica iniziatica non fine a se stesso, ma come mezzo per attuare una catarsi e
la trasfigurazione della propria natura titanica.
Con ciò si gettano le basi di un nuovo tipo di areté in contrasto con quello tradizionale omerico.
Questa etica influisce particolarmente sulla scuola pitagorica e su quella platonica.

i) Di conseguenza, l'areté orfica contribuisce a modificare la stessa società con un nuovo modo di
volere, pensare e agire.

l) Infine, con Orfeo si àncora in Europa, e quindi in Occidente, la Tradizione misterica iniziatica al
pari di quella orientale e dell'Egitto; ma con Orfeo prevale l'aspetto trascendente, più che quello
fisico sensibile. In India si deve a Gaudapada e a Samkara l'instaurazione di un'autentica metafisica
realizzativa con l'asparsa vada e l'advaita Vedanta, con i quali l'Orfismo presenta la stessa veduta
di fondo.

Che Orfeo, oltre ad essere Sacerdote dei Misteri, sia anche un filosofo tradizionale, viene
confermato e in antico e ai nostri giorni. Così si può leggere questa citazione del Colli perché di
estrema importanza:
«Il sospetto che Orfeo fosse anche un filosofo viene poi confermato quando a proposito dei primi
princìpi di un'altra teogonia, quella secondo Ieronimo ed Ellanico, leggiamo:…si chiamava Tempo
senza vecchiaia… e a lui era congiunta Ananke, identica per natura ad Adrastea, incorporea e con
le braccia allargate su tutto il mondo, sino a toccarne i confini. Tempo e Necessità: una coppia
decisiva di categorie. Qui la sapienza antichissima può addirittura ribaltarsi in una filosofia
modernissima: difatti il nesso delle rappresentazioni sensibili, cioè il loro principio, può davvero
pretendere di chiamarsi tempo, come il nesso delle rappresentazioni astratte, cioè il loro principio,
può pretendere di chiamarsi necessità.
E non si può negare che le rappresentazioni astratte siano congiunte a quelle sensibili. Ma per
tornare ad Orfeo, se anche la Necessità, cioè Ananke, è un principio dell'apparenza, quale Dea le si
contrappone, al di là dell'apparenza, nel luogo misterico? Forse la casualità, la fortuna, cioè Tyche?
Tracce in questo senso esistono, anche se esili.
Tuttavia, anche se rimane avvolto nel buio della Tradizione l'eventuale discorso di Orfeo sul caso,
emerge però in cambio chiaramente il tema affine del gioco. (Questa immagine di Dioniso che
gioca è uguale al lila, gioco divino del Vedanta). È nel tema della filosofia orfica, nel mito di
Dioniso, che ciò avviene, e anzitutto nella raffigurazione di Dioniso fanciullo. Il culto orgiastico,
almeno nelle Baccanti, immagina Dioniso come giovinetto effeminato, Orfeo lo presenta invece
come fanciullo, e in greco fanciullo e gioco anche linguisticamente sono affini. E gli attributi di
Dioniso, i simboli del suo culto e del suo mistero, nella poesia orfica sono appunto giocattoli.
…Secondo Orfeo, Dioniso non appartiene all'apparenza, e la sua forma di vita, il gioco, è di un
altro mondo. Il mito orfico dello sbranamento di Dioniso per opera dei Titani è un'allusione
essoterica alla separazione del nostro mondo da quello di Dioniso, e al vincolo che tuttavia ci lega
al Dio.
Esoterica per contro è l'allusione allo specchio di Dioniso, uno degli attributi del Dio che
compaiono nel rituale misterico, simbolo sapienziale che il mito orfico fa intervenire nell'attimo
culminante della passione del Dio: “Con spada orrenda i Titani violarono Dioniso che guardava
fissamente l'immagine mendace nello specchio straniante”».

47
Raphael ORFISMO E TRADIZIONE INIZIATICA

Infatti Proclo scrive:


«E anticamente lo specchio è stato tramandato anche dai teologi come simbolo dell'adeguatezza
della perfezione intuitiva dell'universo. Perciò dicono altresì che Efesto fece uno specchio per
Dioniso, e che il Dio, guardandovi dentro e contemplando la propria immagine, si gettò a creare la
molteplicità»73.

«Lo specchio – continua il Colli – è simbolo dell'illusione, perché quello che vediamo nello
specchio non esiste nella realtà, è soltanto un riflesso. (Questo simbolo appartiene ugualmente alla
Tradizione orientale Vedanta e Buddhista). Ma lo specchio è anche simbolo della conoscenza,
perché guardandomi nello specchio io mi conosco. E lo è pure in un senso raffinato, perché tutto il
conoscere è portare il mondo dentro uno specchio, ridurlo a un riflesso che io possiedo. E ora ecco
la folgorazione dell'immagine orfica: Dioniso si guarda allo specchio, e vede il mondo! Il tema
dell'inganno e quello della conoscenza sono congiunti, ma soltanto così vengono risolti. Il Dio è
attratto dallo specchio, da questo giocattolo dove si mostrano immagini sconosciute e variopinte, la
visione lo inchioda ignaro del pericolo, non sa di contemplare se stesso. Eppure quello che vede è il
riflesso di un Dio, il modo in cui un Dio si esprime nell'apparenza.
Specchiarsi, manifestarsi, esprimersi: nient'altro è il conoscere. Ma questa conoscenza del Dio è
proprio il mondo che ci circonda, siamo noi. La nostra corporeità, il pulsare del nostro sangue,
ecco, è questo il riflesso del Dio.
Non c'è un mondo che si rifletta in uno specchio e diventi la conoscenza del mondo: quel mondo,
inclusi noi che lo conosciamo, è lui, già un'immagine, un riflesso, una conoscenza. E il conoscersi
di Dioniso non ha altra realtà se non quella di Dioniso, ma è anche un inganno, soltanto un riflesso,
che neppure assomiglia al Dio nella figura. L'antitesi tra apparenza e divinità (realtà), tra necessità e
giuoco, viene qui risolta in una sola immagine, dove tutto si diparte e si congiunge, dove la visione
illumina quello che il pensiero intorbida. Solo Dioniso esiste: noi e il nostro mondo siamo la sua
parvenza mendace, quello che lui vede ponendosi dinanzi lo specchio.
Così Dioniso sta alle spalle della sapienza. Il conoscere come essenza della vita e come culmine
della vita: tale è l'indicazione di Orfeo (E tale è l'indicazione della metafisica dell'Advaita Vedanta:
le due Tradizioni coincidono perfettamente, a volte anche nei termini). E allora la conoscenza
diventa anche una norma di condotta: teoria e prassi coincidono.
Difatti c'è un discorso orfico antico che parla delle strade, quelle da seguire e quelle da evitare,
quelle degli Iniziati e quelle dei mondani. La via, il sentiero è un'immagine, un'allusione che ritorna
nell'età dei sapienti, in Eraclito, in Parmenide, in Empedocle».

Possiamo concludere questo breve lavoro, che può servire al lettore da stimolo per ulteriori
approfondimenti, con un passo del divino Platone:
«E certamente non furono degli sciocchi coloro che istituirono i Misteri: e in verità già dai tempi
antichi ci hanno velatamente rivelato che colui il quale arriva all'Ade senza essersi iniziato e senza
essersi purificato, giacerà in mezzo al fango; invece, colui che si è iniziato e si è purificato,
giungendo colà, abiterà con gli Dei. Infatti, gli interpreti dei Misteri dicono che i portatori di ferule
sono molti, ma i Bacchi sono pochi. E questi, io penso, non sono se non coloro che praticarono
rettamente filosofia»74.

FINE

73
Proclo, Commento al Timeo di Platone
74
Platone, Fedone

48

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