Corso Potatura Dispensa
Corso Potatura Dispensa
Paolo CROCI
A cura del prof. Paolo CROCI Pagina 2
A cura del prof. Paolo CROCI Pagina 3
Scheletro: è costituito dal tronco e dai rami principali (branche).
Tronco: fusto lignificato, compreso tra il colletto, punto in cui sono inserite le radici, e la biforcazione dei
rami; è detto anche asse centrale.
Pedale o piede: porzione del tronco prossima al colletto, cioè appena sopra il livello del terreno.
Branche terziarie: rami inseriti sulle branche secondarie. A seconda della distanza dall'inserzione di quella
portante, le varie branche vengono dette di 1 °, di 2° o di 3° ordine, e così via.
Branchette fruttifere o di sfruttamento: rametti giovani, inseriti sulle varie branche (vengono rinnovati con
la potatura ai fini produttivi).
Freccia: prolungamento di un ramo oppure dell'asse centrale, particolarmente evidente alla ripresa
vegetativa, per l'evoluzione della gemma apicale.
L'impalcatura viene detta: bassa: inserzione del primo palco a 30-60 cm dal suolo;
RADICE
• Produzione di ormoni
• l'epidermide, che è lo strato più esterno, che presenta una zona apicale liscia e glabra rivestita da
una sottile guaina protettiva detta pileoriza o cuffia che con l'accrescimento della radice si sfalda e
libera una sostanza lubrificante che favorisce la sua penetrazione nel terreno.
Al disotto ed internamente alla cuffia si trova l'apice radicale che è costituito da cellule
meristematiche, capaci cioè di moltiplicarsi ed originare tutti i tessuti dell'organo, immediatamente
sotto l'apice si trova una zona glabra detta zona di differenziazione o zona liscia.
Alla zona liscia segue una provvista di peli radicali alla quale si dà perciò il nome di zona pilifera o di
assorbimento.
• la corteccia, che si trova al di sotto dell'epidermide, dove avviene la diffusione delle sostanze
assorbite che possono così raggiungere i vasi
• il cilindro vascolare, che costituisce il cuore della radice, dove sono localizzati i vasi (xilema e
floema) per il trasporto delle sostanze lungo il corpo della pianta.
• la cuffia o caliptra, struttura molto importante, formata da cellule particolari gelatinose che con la
loro lubrificazione e continua rinnovazione permettono la penetrazione anche in terreni molto
compatti e rocciosi.
• IL FUSTO
• Il fusto, parte assile del cormo che si sviluppa fuori terra in direzione centrifuga, è collegato
all'apparato radicale tramite il colletto ed è provvisto di gemme da cui si originano le ramificazioni e
le appendici fogliari. Ha funzione di sostegno di parte dello scheletro e della chioma, di trasporto
delle sostanze nutritive dall'apparato radicale alle branche, nonché di riserva. Nella moderna
frutticoltura ha un'altezza contenuta per anticipare l'entrata in produzione, ridurre i costi di
produzione e realizzare una maggiore densità di investimento.
• LE BRANCHE
• Le branche sono organi assili lignificati di età superiore all'anno; sono dette
• In base alla loro posizione sul fusto o su quelle di ordine superiore, si possono distinguere:
• I RAMI
• I rami, che sono la parte dello scheletro che fornisce la produzione, sono completamente lignificati
e provvisti di gemme disposte secondo una fillotassi tipica; sono distinti in:
• rami a legno: sono provvisti di sole gemme a legno e si trovano in particolare sulle giovani piante o
su quelle vigorose;
• rami anticipati o femminelle: si sviluppano nello stesso anno di formazione della gemma. Sono
comuni nella vite, nel pesco, sulle piante giovani e vigorose; nel caso del pesco possono portare
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gemme a fiore e dare, in alcune varietà, una buona fruttificazione, mentre in altre i fiori non
allegano;
• polloni: provengono dalle radici o dalla ceppaia e possono essere usati nell'innesto di
rinvigorimento;
• succhioni: derivano da gemme latenti o avventizie delle branche o del tronco; sono molto vigorosi,
robusti, eretti; hanno internodi lunghi e sono comuni sulle piante giovani, poco produttive o troppo
potate. Di norma si asportano con la potatura, ma si possono usare per la sostituzione di branche
mancanti.
• FIORI
• In genere i fiori sono bisessuali o ermafroditi, cioè provvisti di organi maschili e femminili; non
mancano, però, casi di fiori unisessuali e allora potremo avere piante monoiche, quando sulla stessa
pianta, separati o insieme, esistono organi maschili e femminili (es. castagno, nocciolo, noce, ecc.) e
piante dioiche, quando gli organi sessuali si trovano su piante distinte (es. actinidia, pioppo, ecc.). In
altre specie sulla stessa pianta, accanto ai fiori ermafroditi vi sono anche fiori unisessuali, nel qual
caso avremo piante andromonoiche, quando si hanno fiori ermafroditi e maschili, e piante
ginomonoiche, quando si hanno fiori ermafroditi e femminili. I fiori, a loro volta, possono essere
isolati o raggruppati in infiorescenze più o meno complesse ed essere provvisti o meno di
peduncolo
• IL FRUTTO
• Il frutto è l' organo vegetale in cui si trovano racchiusi i semi, presente nelle spermatofite, ossia
nelle piante produttrici di semi (gimnosperme e angiosperme). In tal senso, si possono considerare
frutti anche le pigne delle conifere.
Da un punto di vista strettamente botanico, si definisce frutto la struttura che deriva
dall'accrescimento e dalla trasformazione dell'ovario (nel caso dei cosiddetti frutti veri) ed
eventualmente di altre parti del fiore, come il ricettacolo (nei frutti falsi): in tal senso, il frutto è
tipico delle sole angiosperme, cioè delle piante con fiori.
Frutti carnosi: si dicono "drupe" i frutti che hanno il seme (a) o la mandorla (b) inserito nell'endocarpo (o
nocciolo). Quest'ultimo è immerso nella polpa (mesocarpo). La buccia che avvolge il frutto viene detta
epicarpo.
(c): talora l'endocarpo o nocciolo può avere spessore notevole (es.: pesca)
I SEMI
I semi, che derivano dalla fecondazione degli ovuli, sono contenuti all'interno dei frutti in numero variabile
da uno (es. nella drupa), ad alcuni (es. nella bacca, nel pomo ), a numerosi (in alcune bacche e nella drupa
composta).
LA FOGLIA
La foglia è costituita da più parti, una espansa detta Lembo, da un peduncolo, detto picciolo, che si inserisce
sul ramo allargandosi nella guaina, da nervature principali e secondarie ecc.
La temperatura dell’aria è indubbiamente il più importante dei fattori climatici poiché da esso dipende la
localizzazione ed estensione delle aree di coltura delle specie vegetali. Ai nostri fini è indispensabile la
conoscenza, a livello del suolo, dei valori di temperatura massima e minima. Non essendo possibile
modificare la temperatura dell’aria, si possono adottare, tuttavia, degli accorgimenti quali, ad esempio la
scelta opportuna della specie e della varietà, l’irrigazione.La temperatura del terreno è in rapporto sia con
la natura del suolo che con il suo contenuto in umidità. È certamente un parametro di grande importanza in
quanto le piante, vivendo con l’apparato radicale in tale ambiente, ne sono condizionate nell’espletamento
di importanti funzioni fisiologiche. La conoscenza di tale parametro è utile anche per il ruolo che lo stesso
esercita sull’attività microbica e su tutti i processi chimici del suolo. La temperatura del terreno può essere
modificata adottando alcuni accorgimenti, quali la pacciamatura, l’inerbimento, il rapido sgrondo delle
acque, ecc.
Cresce bene nei Non ha particolari Si adatta bene ai Sopporta bene Molto esigente,
climi meridionali. esigenze climatiche climi freddi e qualsiasi clima non si adatta ai
Al nord va se non una buona umidi. E’ sensibile anche se predilige climi freddi e
coltivato in esposizione alla luce alle brinate e al climi temperati con vuole terreni ben
terreni collinari, freddo primaverile inverni freddi soleggiati
soleggiati e
riparati dai venti
Il primo strato del terreno agrario è quello superficiale, che si presenta scuro e dello spessore di 20-30
centimetri, ricco di sostanza organica e frequentato da microorganismi di piccoli animali ed interessato da
processi fermentativi. Questo strato si definisce strato attivo: è in questo spazio che le radici esplorano il
terreno alla ricerca delle sostanze minerali indispensabili alla vita delle piante.
Il secondo strato del terreno agrario è lo strato inerte. Si trova appena al di sotto dello strato attivo ed è
facilmente distinguibile per il colore più chiaro, povero di sostanza organica ed interessato solo da qualche
radice. Si per sè questo strato è sterile e può essere messo a coltura con una lavorazione profonda che lo
riporti in superficie onde esporlo ai fenomeni di ossidazione, alle concimazioni, alle lavorazioni, all’ opera
della microfauna, finché si caricherà di fertilità assumendo il caratteristico colore scuro tipico dello strato
attivo.
L’ ultimo strato del terreno agrario è il sottosuolo, quello più profondo, che non interessa direttamente le
nostre colture in quanto non viene mai toccato nè con lavorazioni ordinarie, nè con quelle straordinarie.
Stabilire la tessitura del proprio terreno è molto importante per far vivere bene le nostre piante. Niente è
più difficile della coltivazione di una specie in un contesto non consono ai suoi bisogni.
Il metodo più semplice per questa classificazione, è la prova in pieno campo ed è un piccolo test, possibile a
tutti e privo di costi.
Durante questa operazione dovete cercare di percepire le tre sensazioni di base: adesività, saponosità, il
grattare o smerigliare.
Lavorate il campione con la mano fino a farlo asciugare e cercate, mentre lo fate, soprattutto di cogliere la
LE SENSAZIONI PERCEPITE
- La sensazione del graffiare vi dirà che nel vostro terreno, è contenuta sabbia grossa, mentre lo smeriglio,
di sabbia fine.
- La sensazione della saponosità, che nell'asciugarsi assomiglierà al talco, rivelerà la presenza di limo. In
questo caso, il cilindretto di terra che si sarà formato, non aderirà alle dita e si staccherà facilmente.
- La sensazione di adesività e di appiccicoso, rivelerà la presenza di argilla e noterete che si stacca con
difficoltà dalle dita.
TERRENO SABBIOSO: in genere di colore chiaro, può essere anche rossastro. Granuloso al tatto, si sbriciola
facilmente, molto poroso e quindi permeabile all' acqua. Si libera velocemente dall' acqua assorbita, si
riscalda facilmente, è poco fertile .E' adatto a piante con esteso apparato radicale. Vi crescono abbastanza
bene anche patate, carote e piante grasse (le quali immagazzinano l' acqua nel fusto).
TERRENO CALCAREO: contiene più del 20% di carbonato di calcio e/o di magnesio. A contatto con sostanze
acide dà luogo ad effervescenza perchè libera anidride carbonica .E’ spesso protagonista di caratteristici
fenomeni di erosione (grotte etc...).Il colore è bianco giallastro .E permeabile all' acqua. In genere è poco
fertile .Vi crescono bene solo alcune piante come l'olivo e la vite.
TERRENO HUMIFERO.molto ricco di sostanza organica, assorbe bene l'acqua e il calore (colore bruno nero),
e poroso, soffice,facile da lavorare. E'molto ricco di organismi viventi . L'humus è un composto organico
formato dalla decomposizione di organismi, dei quali non si riconosce più la struttura iniziale. E' lentamente
degradabile, tende ad assumere una struttura a grumi, che determina un aumento della porosità e sofficità,
dell' assorbimento dell'acqua, della penetrabilità delle radici. Tende a fissare sulla superficie dei grumi i sali
minerali del terreno (=adsorbire i sali) che cede poi lentamente.
Inoltre l'humus trattiene molte sostanze nocive come i metalli pesanti, evitando la loro percolazione nelle
falde acquifere e la loro assunzione da parte degli ortaggi. Ha anche un'azione stimolante nei confronti di
molti batteri del suolo.
TERRENO AGRARIO. è il tipo ideale di terreno, cioè quello più fertile. Ha una composizione variabile di
sabbia, argilla, limo, humus, calcare... Un esempio di terreno agrario è il terreno a medio impasto: 50%-60%
di sabbia, 20% di argilla,15 – 20% di limo, 3 -4 % di calcare, 5-8% di humus. Esso si riscalda facilmente, e
bene areato, è sciolto, è abbastanza permeabile all'acqua, che trattiene in quantità conveniente. La sua
fertilità dipende anche dal fatto che i sali minerali, contenuti in esso, non vengono facilmente asportati
dall'acqua piovana.
ASPERSIONE O PIOGGIA
Questo metodo ha innegabili vantaggi, e in particolare offre la possibilità di irrigare anche nei terreni
irregolari e con pendenze notevoli, o comunque non sottoposti a particolari sistemazioni, di risparmiare
acqua e manodopera, di ridurre le tare improduttive e di facilitare la circolazione delle macchine negli
impianti stessi, di controllare i volumi di adacquamento in base alla natura del terreno, nonché alle
esigenze della coltura. Nel contempo questo metodo ha anche dei difetti, quali un elevato costo
dell'attrezzatura e di installazione, una certa difficoltà di impiego in zone ventose per la non uniforme
somministrazione dell'acqua.
IRRIGAZIONE A GOCCIA
Tra i vantaggi più rilevanti di questo sistema ricordiamo un minor consumo di acqua del 20-40%, la
possibilità di somministrare l'acqua e gli elementi nutritivi nelle zone maggiormente esplorate dalle radici
delle piante, la riduzione al minimo degli eccessi idrici del terreno con conseguente miglior accrescimento
dei frutti, che si manifesta con un aumento della pezzatura e quindi della resa, l'eliminazione della
cosiddetta crosta superficiale del terreno, la mancata bagnatura della parte aerea della pianta con risvolti
positivi per la difesa fitosanitaria, la possibilità di eseguire le pratiche colturali in qualsiasi momento, il
risparmio di manodopera.
1. MACROELEMENTI PRINCIPALI:
2) – MACROELEMENTI SECONDARI:
3) – MICROELEMENTI:
AZOTO (Simbolo N)
È la sostanza che serve per l’accrescimento delle piante; viene assimilata dal terreno in svariati modi:
attraverso la pioggia, mediante la decomposizione organica di parti vegetali presenti sul terreno, con la
concimazione sia organica sia minerale fatta dall’uomo.
La presenza equilibrata di azoto mostra piante di un bel colore verde intenso; quando, invece, l’azoto è
carente le foglie hanno apici e nervature giallastre.
Una quantità troppo elevata di azoto può stimolare eccessivamente la crescita e lo sviluppo di una pianta
rendendola meno resistente alle malattie.
FOSFORO (Simbolo P)
È la sostanza che agevola la fioritura e l’accrescimento e relativa maturazione dei frutti oltre che un miglior
sviluppo dell’apparato radicale.
POTASSIO (Simbolo K)
È la sostanza che favorisce e migliora il sapore, il colore e la consistenza dei frutti; aiuta le piante a resistere
al freddo, alla siccità e all’attacco dei parassiti.
La carenza di potassio procura ingiallimento e necrotizzazione fogliare oltre che peggioramento nella
qualità dei frutti che perdono di colore e di sapore.
E’ la sostanza che rinforza le piante ma occorre prestare attenzione alle specie di piante che ne hanno
effettivamente necessità in quanto esistono, in natura, piante calciofile, come le leguminose che hanno
esigenze di calcio superiori alle piante calcifughe, come le acidofile (azalee, rododendri, camelie, gardenie,
eriche, …).
La carenza di calcio procura ingiallimento, curvatura e appassimento fogliare; nelle piante acidofile, un
eccesso di calcio procura ingiallimento delle foglie.
È la sostanza che insieme al magnesio rappresenta un componente principale della molecola della clorofilla;
insieme a vari enzimi regola i processi vitali di una pianta.
La clorosi (carenza di ferro) si manifesta con la colorazione gialla delle foglie a partire da quelle più giovani.
La carenza di ferro può essere curata con la somministrazione di appositi prodotti ed è reversibile, vale a
dire che le foglie da gialle ritornano a colorarsi di verde.
È la sostanza che insieme al ferro rappresenta un elemento essenziale della molecola della clorofilla, molto
importante per la fotosintesi clorofilliana (processo di nutrizione delle piante).
La carenza di magnesio si manifesta sulle foglie più vecchie (di solito le basali) che presentano aree
decolorate in bianco o in giallo.
La carenza di magnesio può essere curata con una opportuna concimazione ma la decolorazione delle foglie
è irreversibile vale a dire che le foglie (basali impallidite o ingiallite)non diventeranno più verdi.
ZOLFO (Simbolo S)
È uno dei componenti degli aminoacidi e delle proteine; è la sostanza che concorre al sapore di molti
ortaggi e frutti.
La carenza di zolfo si manifesta con l’ingiallimento uniforme delle foglie e con una crescita stentata della
pianta
BORO (Simbolo B)
È una sostanza che partecipa, insieme con altri elementi, alla formazione di fiori, frutti e radici.
È la sostanza che entra nella formazione della molecola della clorofilla; il suo assorbimento varia secondo la
qualità del terreno: è favorito se il terreno è acido.
La carenza di manganese si manifesta con ingiallimento per aree delle foglie più vecchie.
È una sostanza che serve allo sviluppo e alla crescita delle piante; rispetto alle sostanze precedenti è quella
che nel terreno e nelle piante è contenuta in minore quantità; solo le leguminose utilizzano una quantità
relativamente elevata di molibdeno.
La carenza di questo elemento si manifesta con piante di dimensioni ridotte, con macchie ed ingiallimenti
fogliari, prima, e con deformazioni e appassimenti, poi.
Insieme al ferro partecipa alla produzione della clorofilla oltre che essere un costituente di molti enzimi
necessari alla regolazione dei processi vitali della pianta.
La carenza di zinco si manifesta, sulle piante da frutto, con modificazioni fogliari come ampie zone giallastre
(agrumi) o raggruppamenti a rosetta delle foglie (pesco).
Per quanto riguarda la quantità di elementi nutritivi da distribuire è necessario considerare diversi aspetti
quali:
• Le perdite
• Le restituzioni
LE PERDITE
• Il dilavamento riferito principalmente all’azoto dipende infatti dalla piovosità, dal sistema di
irrigazione e dalla natura del terreno.
2. Un sistema di irrigazione a grandi portate d’acqua provoca maggior dilavamento che con un
sistema a microirrigazione.
LE RESTITUZIONI
MELO 49 19 3 8,5
PERO 57 28 3,5 13
PESCO 44 26 3 10,5
Il concime organico più conosciuto è il letame, costituito dalle deiezioni solide e liquide di animali
bovini ed equini, mescolati alla paglia della lettiera.
Il letame non è subito adatto per l’uso, ma deve "maturare" per circa 6 mesi in concimaia. In
media, si può calcolare che un bovino del peso di 6-7 quintali produce, in un anno, 110/120 quintali
di letame maturo.
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Il letame equino poco acquoso, è difficile da rinvenire.
Quello bovino presenta qualità più che sufficienti per garantire una buona fertilizzazione organica.
Una perfetta stagionatura si denota dal colore scuro e dall’uniformità della massa, ma deve
presentarsi omogenea e untuosa al tatto.
Il letame rappresenta tuttora la base fondamentale della concimazione.
Il vantaggio di questi concimi è rappresentato dal fatto che possiamo sceglier noi la quantità di azoto,
fosforo e potassio che possiamo dare alle nostre piante.
Esistono in commercio diversi tipi di concimi minerali e vengono classificati in base a quanti elementi
contengono
TITOLO
Per titolo di un fertilizzante si intende la percentuale in peso dell'elemento o degli elementi fertilizzanti
contenuti nel prodotto, dichiarati dal produttore, dal venditore o da chi, comunque, commercializza la
merce, riferita al "tal quale", cioè al peso del prodotto così come viene commercializzato, Pertanto dire
che un concime ha un titolo in azoto di 16 indica che per ogni 100 Kg di prodotto vi sono 16 Kg di azoto.
Si ricorda che l'espressione "unità fertilizzante" indica i Kg di azoto, anidride fosforica, ossido di potassio,
ecc.
La concimazione di fondo ha carattere di straordinarietà e in generale si esegue una sola volta prima della
messa a coltura di un terreno destinato alle coltivazioni erbacee oppure prima dell'impianto di una
piantagione legnosa (vigneto, frutteto, oliveto, ecc.). Lo scopo della concimazione di fondo è quello di
elevare lo stato di fertilità chimica del terreno apportando considerevoli quantitativi degli elementi
nutritivi carenti in modo da portare la dotazione su livelli medio alti nello strato prevalentemente
esplorato dalle radici (in media i primi 40 cm). Con le stesse finalità si effettua la concimazione di
arricchimento quando si vuole elevare lo stato di fertilità di un terreno già in coltivazione. Questo caso si
presenta quando non è mai stata effettuata una concimazione di fondo oppure si sono applicati piani di
concimazione errati, che a causa di uno sfruttamento pluriennale del terreno ne hanno determinato
l'impoverimento
Ha lo scopo di mantenere stabile nel tempo la dotazione di elementi nutritivi del terreno, prevenendo
perciò il progressivo impoverimento causato in parte dall'asportazione del raccolto e in parte dai fattori
naturali d'impoverimento (dilavamento, volatilizzazione, insolubilizzazione, erosione, ecc.). La
concimazione di mantenimento si pratica applicando due principi alternativi:
Nella concimazione di impianto si eleva la fertilità del terreno somministrando soprattutto elementi non
dilavabili come fosforo e potassio e con l’apporto di letame per migliorare il terreno anche dal punto di
vista fisico.
La concimazione di produzione è specifica per ogni coltura. In ogni caso si possono fissare alcune regole
generali:
• Azoto 60 – 100 Kg/ha – Anidride fosforica 40 – 60 Kg/ha – Ossido di potassio 100 – 150 Kg/ha
La potatura secca si può eseguire dalla caduta delle foglie a poco prima della ripresa vegetativa. Se
effettuata troppo presto, cioè tra la raccolta dei frutti e la caduta delle foglie, può, specie nelle pomacee,
compromettere la produzione successiva; in ogni caso determina un anticipo della ripresa vegetativa nella
primavera seguente con possibili conseguenze negative in caso di gelate tardive. Altrettanto negativo è un
intervento troppo tardivo, cioè all'inizio della ripresa vegetativa; tale intervento è più dannoso nelle
pomacee, in cui può provocare un arresto vegetativo anche di due settimane. Il periodo migliore risulta
essere dopo gli ultimi geli invernali (febbraio-marzo).
È una pratica che trova particolare interesse per le specie molto vigorose, quali l'actinidia, il melo, il pero
e il pesco . Gli interventi mirano a rimuovere la vegetazione eccedente per favorire la lignificazione della
rimanente e migliorare qualitativamente la produzione e la differenziazione delle gemme. I tagli, però,
non devono essere eccessivi ed eseguiti in epoche corrette. Potature verdi troppo anticipate fanno
sviluppare numerosi rami anticipati, che spesso non lignificano bene prima dell'entrata in riposo
vegetativo e quindi risultano molto sensibili ai freddi invernali. Interventi tardivi non sono di alcuna utilità,
anzi possono provocare i danni descritti a proposito della potatura invernale anticipata.
LE VARIE PARTI DELA PIANTA SONO IN COMPETIZIONE FRA LORO IN PARTICOLAR MODO L’APARATO
RADICALE E L’APPARATO AEREO.
ED INFINE ABBIAMO UN PERIODO DOVE LE RADICI NON RIESCONO PIU’ A SODDISFARE LE ESIGENZE
DELLA PIANTA (PRODUTTIVITA’ DECRESCENTE).
LA POTATURA DOVREBBE, OLTRE A CONSENTIRE UNA FORMA ARMONICA, A RENDERE PIU’ LUNGO
POSSIBILE IL PERIODO DELA PRODUTTIVITA’. ECCO PERCHE’ E’ NECESSARIO CONOSCERE ALCUNI “
COMPORTAMENTI” DELLA PIANTA
Sui germogli di nuova formazione sono presenti inizialmente gemme neutre che in seguito, quando il
rametto ha raggiunto una lunghezza di circa 20 cm, si evolvono, trasformandosi alcune in gemme a legno,
altre in gemme a fiore o miste.
Ramo di un anno, lungo 0.5 – 1 cm composto da una gemma a legno contornata da una rosetta di 5 – 7
foglie. Evolve l’anno successivo in lamburda
LAMBURDA
RAMO MISTO
BRINDILLO
Ramo di una anno,lungo fino a 30 cm. Gemma apicale mista e lungo l’asse gemme a legno. Viene eliminato
dopo la fruttificazione
BORSA
Ramo di tre anni lungo 2 – 3 cm dove sono evidenti le cicatrici dei peduncoli dei
frutti
ZAMPA DI POLLO
Rametto di 1 o più anni, con gemma apicale a legno contornata da gemme a fiore
RAMO MISTO
Piegatura ad arco
Taglio del ramo sopra gemma a legno per far affluire più linfa alle gemme sottostanti
L’impalcatura ovvero l’inserzione del primo palco viene detta bassa se è a 30 – 60 cm dal suolo o alta se
oltre 60 cm
La struttura della pianta è costituita da un tronco alto 70 cm e da tre branche principali leggermente
inclinate verso l’alto. E’ una forma di allevamento rimasta soprattutto a livello amatoriale in quanto
scarsamente meccanizzabile e con un notevole ingombro. Diffusa ancora nel pesco
Formata da un astone centrale alto fino a 150 cm e rami inclinati dal basso verso l’alto con lunghezza
decrescente
SPINDELBUSH
PALMETTA
Costituita da un fusto alto 3 – 4 m e da palchi costituiti da branche inclinate di circa 50° inserite sul tronco
simmetricamente. Il tutto per avere una forma appiattita disposta su filari
La recisione di un ramo va eseguita con tecnica corretta; le superfici di taglio con diametro superiore ai 2-3
cm vanno protette con l'apposito mastice; le specie resinose non richiedono alcuna applicazione, mentre le
drupacee producono spesso, in corrispondenza dei tessuti incisi, della "gommosi" sulla quale si insediano
muffe e batteri.
Si deve recidere in modo da ottenere lo sviluppo del nuovo germoglio nella direzione desiderata, scegliendo
opportunamente la posizione della gemma. Si taglia secondo una superficie inclinata, in direzione opposta
al punto di inserzione della gemma, immediatamente sopra questa, ma non troppo vicino, per non
provocare lesioni al tessuto di cui fa parte, alle quali fa seguito lo sviluppo di germogli e di rami deformi.
Eliminare i succhioni
La potatura di produzione dell'albicocco si basa solo su interventi al secco consistenti nel diradamento dei
rami misti; solo nelle piante poco vigorose o molto ricche di formazioni fruttifere si esegue un
raccorciamento dei rami misti e alla potatura secca seguente le branche originatesi da questi ultimi
FOGLIE E GERMOGLI
Sulla pagina inferiore della foglia compaiono macchie scure, mentre in quella superiore le macchie si
presentano più chiare e con i contorni irregolari. Alla fine del ciclo si ricoprono di una muffetta, di aspetto
vellutato e polverulento . Alla fine si ha un disseccamento del lembo fogliare.
FRUTTI
L’attacco della ticchiolatura sui frutticini si manifesta con tacche o pustole, spesso confluenti tra loro, di
colore bruno nerastro.. In seguito i tessuti colpiti (le tacche) necrotizzano in superficie e vengono isolati,
mediante la formazione di uno strato suberoso che impedisce l’accrescimento per distensione; pertanto
all’interno del frutticino avvengono delle lacerazioni, delle lesioni, e l’aspetto esterno si presenta deforme,
con evidenti alterazioni della simmetria del frutto stesso.
OIDIO
FOGLIE E GERMOGLI
Sulle foglie si manifesta nel periodo primaverile estivo con le lamine fogliari deformate e macchie
clorotiche.
Si manifesta una patina bianca sulla pagina inferiore con comparsa di muffa bianca e deformazione.
Anche questo si presenta ricoperto da una muffa biancastre presenta una crescita stentata e deformata.
Può portare alla necrosi.
FRUTTI
CURE
MONILIA
La monilia del frutto è tipica delle mele e si manifesta, in modo particolare, durante la conservazione, anche
se l’infezione avviene in campo, sui frutti ancora sulla pianta.
Questa infezione rimane latente fino a quando il frutto non raggiunge particolari condizioni morfo-
fisiologiche e di maturazione, necessarie per scatenare il processo infettivo.
Il marciume inizia, in genere, su di una lenticella e si presenta come un’area più o meno tondeggiante,
leggermente infossata, di colore nocciola-ocraceo; il mesocarpo (polpa) sottostante, anch’esso brunastro,
assume una consistenza molliccia.
Fungicidi benzimidazolici
Le giovani piante presentano imbrunimenti e marcescenze a livello del colletto. La pianta dapprima
ingiallisce, poi si secca rapidamente.
CURE
AFIDE GRIGIO
Vivono in colonie sui germogli e sotto le foglie; le loro punture provocano gravi e irreparabili
accartocciamenti fogliari; nei germogli si manifestano deformazioni ed arresto di sviluppo, con conseguente
perdita della cima.
L’afide grigio punge anche i fiori ed i frutticini in fase di allegagione. Sui fiori determina aborti fiorali e
colatura; sui frutticini si evidenziano gravi malformazioni ed inoltre questi rimangono piccoliCURE
Questi afidi attaccano le foglie e le loro punture provocano tipici accartocciamenti longitudinali, lungo il
margine fogliare, in corrispondenza dei quali i tessuti si irrigidiscono, assumono farttura vitrea e subiscono
alterazioni cromatiche rossastre.
AFIDE VERDE
Il danno è determinato dalle punture nutrizionali che provocano un parziale accartocciamento delle foglie
ed una lieve interferenza nello sviluppo dei germogli, che possono deformarsi;
CURE
La lotta contro l’afide verde, molto meno pericoloso di quello grigio, si effettua con trattamenti chimici e
tenendo conto anche dei nemici naturali che sono quelli descritti per gli afidi in genere. In genere i
trattamenti primaverili (prefioritura e fine fioritura) effettuati contro
Il danno provocato dalle sue punture consiste nella comparsa, specie sui giovani rami e sugli organi legnosi
più teneri, di tumori o nodosità dovute ad un’ipertrofia ed iperplasia delle cellule vegetali.
CURE
La lotta contro l’afide lanigero del melo può essere fatta sia applicando pratiche di lotta biologica sia
trattamenti chimici specifici, con la tecnica della lotta guidata.
COCCINIGLIA
CURE
CYDIA O CARPOCAPSA
Nelle ultime generazioni spesso la larva attacca direttamente molti frutti, scavando subito gallerie dirette al
centro ed uscendo immediatamente per attaccare altri frutti; dopo averne attaccati alcuni, si incrisalida.
CURE
Si basano ormai sulla lotta guidata attraverso l’utilizzo di trappole con fitormoni per capire il periodo di
intervento
FOGLIE
Sulle foglie, che sono colpite con minor frequenza rispetto al melo, compaiono delle tacche bruno-nerastre
evidenti su entrambe le pagine fogliari; su queste tacche, a fino ciclo, si forma la tipica polverina brunastra.
FRUTTI
Sul frutto i sintomi si manifestano con maggiore frequenza e con caratteristiche molto tipiche che variano a
seconda del momento fenologico dell’attacco del fungo, e cioè:
frutto all’inizio-fine allegagione: si manifesta una tacca necrotica brunastra che può essere
centrata sul peduncolo o sul frutticino in formazione;
CURE
MACULATURA
FOGLIE
Sulle foglie i sintomi, che non sempre compaiono, si manifestano con macchie irregolari di colore
brunastro; queste necrotizzano e tendono, poi, ad allargarsi sulla lamina fino a provocare un parziale o
totale disseccamento della foglia stessa.
Sui frutti il sintomo, tipico, si manifesta, all’inizio, con tacche brunastre, a volte leggermente infossate.
Queste tacche hanno una forma tendenzialmente rotonda che tende ad allargarsi fino ad interessare ampie
aree del frutto; ai margini delle tacche compare un tipico alone di colore arancio-rossiccio. Il frutto, in
seguito all’attacco, può cadere oppure iniziare un processo di marcescenza completa.
CURE
COCCINIGLIA
CURE
• effettuare spazzolature del tronco e delle grosse branche in caso di presenza su di essi di scudetti
della cocciniglia.
RAGNETTO ROSSO
I danni provocati dal Ragnetto rosso si manifestano con sintomi ben eloquenti: foglie bucate; intensa
decolorazione con ingiallimento del fogliame ; comparsa di tinte anomale la cosidetta “bronzatura“;
disseccamento delle foglie; formazione macchie biancastre purulente sulle pagini inferiori e fitte ragnatele
sulle e tra le foglie.
CURE
Provocano erosioni superficiali su foglie e frutticini fino a provocarne la cascola di questi ultimi
CURE
Solitamente si attua una lotta guidata utilizzando trappole per monitorare l’entità dell’attacco e poi si attua
la lotta con Bacillus thuringiensis
BOLLA
Questa malattia attacca soprattutto le foglie, ma può colpire anche fiori, frutti, germogli e rametti. I primi
sintomi della bolla si possono osservare sulle foglioline appena schiuse, che presentano delle bollosità,
localizzate di preferenza vicino alla nervatura centrale che aumentano di volume e tendono a confluire,
mentre i tessuti colpiti assumono una consistenza carnosa ed uno spessore superiore a quello delle foglie
normali. Si verifica anche un cambiamento del colore dei tessuti i quali assumono inizialmente una
colorazione giallo clorotica che diviene, in seguito, rossastra.
Nel caso di attacchi precoci, subito dopo l’allegagione, il frutticino si atrofizza e cade. Sui fiori la bolla
provoca delle vistose deformazioni con successivo aborto.
CURE
La difesa del pesco dalla bolla, condotta congiuntamente alla lotta contro corineo , costituisce la base della
protezione anticrittogamica di questa coltura.
Essa si basa sostanzialmente su due interventi chimici estintivi da eseguirsi il primo in novembre, subito
dopo la caduta delle foglie, ed il secondo durante il mese di febbraio, appena la temperatura tende ad
A cura del prof. Paolo CROCI Pagina 50
innalzarsi..
I prodotti solitamente usati contro la bolla sono i dimetilditiocarbammati (ziram)
CORINEO
I sintomi della malattia compaiono su foglie, rami e frutti e possono essere confusi anche con altre
alterazioni, in quanto si tratta di manifestazioni aspecifiche, per reazione della pianta ospite all’aggressione
del patogeno.
Sulle foglie compaiono inizialmente piccole tacche rosso-violacee circondate da un alone clorotico che,
successivamente assume un colore rossastro.
Con il progredire della malattia le aree colpite si allargano, fino a raggiungere la dimensione di alcuni
millimetri. Le parti di lembo fogliare ammalate tendono a distaccarsi, lasciando in tal modo la foglia
bucherellata.
CURE
La lotta contro il corineo, valida anche per combattere altre avversità provocate da microrganismi fungini,
prevede per il pesco due interventi da eseguirsi rispettivamente, in autunno (subito dopo la caduta delle
foglie) e durante l’inverno (solitamente nel mese di febbraio appena la temperatura tende ad innalzarsi).
I prodotti più frequentemente usati a questo scopo sono i dimetilditiocarbammati (esempio: tiram 50 allo
0,6-0,7W0 o ziram 80 allo 0,5-0,6%).
Per il trattamento autunnale si può anche far ricorso ai prodotto rameici (esempio: poltiglia bordolese all’
1-2%,
I sintomi di questa grave malattia, segnalata in Italia su pesco e mandorlo fin dall’inizio del secolo, appaiono
di solito durante i mesi primaverili ed autunnali e si presentano sotto forma di lesioni ellittiche, di colore
bruno-nocciola, leggermente depresse e centrate solitamente in corrispondenza della gemma
(imbrunimento perigemmale).
Quando tale area imbrunita si estende a tutta la circonferenza del ramo si verifica poi l’avvizzimento delle
foglie e dei rametti situati nella parte distale del ramo stesso
Nei pescheti colpiti da questa grave affezione sarà pertanto opportuno iniziare i trattamenti nel momento
in cui cominciano a cadere le prime foglie (a volte già nel mese di settembre), per poi ripeterli una o due
volte, in relazione all’andamento stagionale, fino a completa caduta delle foglie (metà novembre), in modo
tale da costituire una sorta di barriera chimica all’ingresso del germe patogeno.
Gli interventi chimici andranno ripresi in primavera all’ingrossamento delle gemme, dopo la fioritura e
durante la prima fase di sviluppo dei germogli erbacei.
Oltre ai trattamenti chimici su indicati, un razionale programma di difesa contro il fusicocco dovrà
prevedere l’attuazione di opportuni interventi agronomici. In particolare si raccomanda di:
- asportare e distruggere tutti i rami secchi o che presentino i caratteristici cancri perigemmali
(assolutamente da evitare che rimangano i residui della potatura nel pescheto, anche se interrati);
OIDIO
Sui frutti i sintomi dell’infezione appaiono sotto forma di chiazze biancastre, rotondeggianti, leggermente in
rilievo rispetto alle zone circostanti. Dopo qualche tempo dalla loro comparsa, le macchie assumono un
colore ocraceo . I frutti colpiti precocemente tendono a cadere oppure rimangono deformati.
CURE
I fiori colpiti solitamente lungo lo stilo avvizziscono ed imbruniscono rapidamente e, in breve volgere di
tempo, disseccano totalmente rimanendo attaccati al ramo; nel caso che la stagione decorra umida si
possono anche ricoprire di un’abbondante muffa grigiastra.
Sui rametti ammalati si notano delle tacche depresse che, in seguito, possono rimanere circoscritte oppure
fessurarsi longitudinalmente mettendo a nudo il cilindro centrale. La parte distale del ramo colpito è
solitamente destinata a morte mentre le foglie ed i brindilli inseriti in tale porzione avvizziscono e
rimangono penduli sul rametto disseccato.
Anche le foglie e i giovani germogli erbacei possono venire colpiti direttamente, manifestando allora aree di
marciume, più o meno ampie, di colore brunastro..
Sui frutti l’infezione può manifestarsi fin dalle prime fasi della loro differenziazione; in questo caso i
frutticini marciscono e si ricoprono di una muffa grigia.
CURE
La lotta contro questa malattia si basa sia su interventi chimici specifici durante la vegetazione, sia
sull’adozione di misure indirette, tendenti a ridurre il potenziale d’inoculo e a rendere le piante meno
recettive all’aggressione.
Relativamente a queste ultime norme, si ricorda che le concimazioni azotate, le potature mal eseguite e le
irrigazioni prolungate soprattutto sopra-chioma, favoriscono l’infezione.
CURE
Le infestazioni iniziali possono essere mantenute sotto controllo trattando con polisolfuro di bario iella fase
dei « bottoni rosa». È inoltre buona norma ricorrere alla spazzolatura dei rami maggiormente infestati
durante e operazioni di potatura per rimuovere le incrostazioni del diaspino.
AFIDE VERDE
Sul pesco e sugli altri fruttiferi le colonie dell’afide infestano la pagina inferiore delle foglie provocando
l’accartocciamento trasversale del lembo.
Le foglie colpite ingialliscono, disseccano e cadono con conseguenti ripercussioni sullo sviluppo vegetativo
delle piante e sull’accrescimento dei germogli. Sulle cultivar di «nettarine» infesta i fiori, che sotto l’effetto
delle punture abortiscono, e i giovani frutti che crescono irregolarmente.
CURE
L’afide viene ostacolato in natura da svariati predatori e parassiti (adulti e larve di coccinellidi, larve dì
neurotteri, ecc.).
Attacca il pesco infestando la pagina inferiore delle foglie. Le sue punture provocano l'accartocciamento
longitudinale a mò di doppio sigaro delle due metà del lembo verso la pagina inferiore, in caso di forte
infestazione l’attacco finisce per interessare l'intero apparato fogliare.
CURE
L'afide, come tutti gli altri fitomizi, ha un complesso di nemici (predatori e parassiti), attivi soprattutto in
primavera avanzata, ma la loro utile azione si dimostra insufficiente allorquando la popolazione afidica
consistente e in rapido accrescimento.
Contro l'afide è efficace l’intervento con alcuni principi attivi (acefate, metomil, metamidofos ecc.)
Colonizza la pagina inferiore delle foglie che in seguito alle sue punture si accartocciano ed infine
disseccano con ripercussioni sull’accrescimento dei germogli e sul processo di differenziazione gemmaria
con conseguenti riflessi negativi sulla produzione dell’annata successiva.
In seguito le sue colonie si localizzano alla base dei peduncoli dove la copiosa melata prodotta finisce per
imbrattare le drupe e sulla quale sì sviluppa un’abbondante fumaggine.
CURE
La lotta contro l’afide si rende necessaria sulle giovani piante, per far sì che non siano ostacolate
nell’accrescimento, ma anche su quelle già sviluppate per evitare danni alla produzione e il fastidioso
inconveniente derivante dalla presenza di melata che imbrattando i frutti permette lo sviluppo della
fumaggine.
Infesta i rami, i tralci, il rachide dei grappoli della vite, nonché la pagina inferiore delle foglie e ricopre talora
interamente i rami e i germogli provocando deperimenti vegetativi accentuati che nei casi di maggiore
gravità portano alla morte di parti o dell’intera pinta.
Le infestazioni sono accompagniate da melata, prodotta soprattutto dalle neanidi, che imbratta la
vegetazione e i frutti e consente lo sviluppo della fumaggine.
CURE
La lotta è giustificata solo quando le infestazioni del lecanide raggiungono livelli elevati.
Svernando come neanide di seconda età l’insetto può essere combattuto in autunno alla caduta delle foglie
con metidation o fentoato o, prima della ripresa vegetativa con metidation o polisolfuro, evitando cosi dì
intervenire durante il periodo vegetativo contro le neanidi, quando sono presenti predatori o parassiti.
OIDIO
Circa un mese dopo la fioritura compaiono i primi sintomi sulla superficie dei frutti, solitamente in
concomitanza dell’innalzamento della temperatura, e si notano sotto forma di chiazze biancastre,
tendenzialmente isodiametriche ed isolate, costituite dagli elementi vegetativo-riproduttivi del parassita.
Dopo qualche tempo, in corrispondenza di tali aree, si osservano delle tacche necrotiche reticolari di 1 o 2
millimetri che tendono rapidamente ad allargarsi fino ad interessare gran parte dell’epidermide. In
particolare queste tacche assumono una colorazione rosso-brunastra nel caso si trovino nella parte del
frutto esposta alla luce e verdastra se interessano la zona ombreggiata.
CURE
Il ricorso ad interventi chimici contro questa malattia è giustificato solamente in quei frutteti in cui gli
attacchi si presentano regolarmente tutti gli anni con particolare virulenza.
ANARSIA
Le larve attaccano i fiori, poi scavano una galleria alla base delle rosette fogliari provocandone
l'avvizzimento. Nella tarda primavera- estate attaccano i germogli apicali scavando gallerie e provocandone
l'avvizzimento (i germogli appaiono privi di foglie e con l'apice ripiegato). Nei frutti le larve scavano una
galleria inizialmente sottoepidermica presso il peduncolo e poi si approfondiscono nella polpa fino al
nocciolo, provocando gommosi e cascola.
CURE
Bacillus thuringiensis var. kurstaki (ceppo EG 2371) e var tenebrionis (d) • rotenone (a) + olio di paraffina
Le sue infestazioni sono comuni su tutte le drupacee (pesco, susino, albicocco, ciliegio, e mandorlo);
Infesta i rami, nonché la pagina inferiore delle foglie e ricopre talora interamente i rami e i germogli
provocando deperimenti vegetativi accentuati che nei casi di maggiore gravità portano alla morte di parti o
dell’intera pinta.
Le infestazioni sono accompagniate da melata, prodotta soprattutto dalle neanidi, che imbratta la
vegetazione e i frutti e consente lo sviluppo della fumaggine.
CURE
l’insetto può essere combattuto in autunno alla caduta delle foglie con metidation o fentoato o, prima della
ripresa vegetativa con metidation o polisolfuro,
Forma incrostazioni ben evidenti su tronchi e rami. Le punture provocano sui tronchi alterazioni rossastre
evidenziabili asportando la corteccia. Sui frutti nei punti d'insediamento si forma un alone rossastro.
CURE
• effettuare spazzolature del tronco e delle grosse branche in caso di presenza su di essi di scudetti
della cocciniglia;
• preferire l'inerbimento controllato permanente nell’interfilare del frutteto per favorire la biocenosi
degli insetti utili.
Il fusto o ceppo o tronco è l'asse portante della pianta e si presenta contorto ed avvolto dal ritidoma, che si
sfalda longitudinalmente offrendo riparo a numerosi parassiti. Sul fusto, che è verticale, ma può proseguire
con un certo angolo di inclinazione o anche orizzontal-mente a seconda della forma di allevamento, sono
inserite delle ramificazioni che assumono denominazioni diverse in base al grado di lignificazione o al luogo
di origine; infatti sono dette germogli o pampini quando sono ancora allo stadio erbaceo, tralci quando
sono lignificate e sarmenti dopo il distacco dalla pianta a seguito della potatura invernale, mentre in base
all'età del ramo da cui si sono originate sono dette cacchi se hanno un anno, o polloni se derivano da legno
vecchio. I tralci sono costituiti da nodi e internodi o meritalli, di numero e lunghezza variabile da alcuni cm a
10-15 cm nella vite europea ad oltre 25 cm nel caso del portin-nesto <<225 Ruggeri>>, e raggiungono una
lunghezza media di 1,5-3,5 m, con punte ben oltre i 10 m nelle piante allevate a tendone
Le foglie della vite sono semplici, distiche e alterne. Sono formate da un picciolo di diversa lunghezza e da
una lamina palmato-lobata con cinque nervature primarie che possono originare altrettanti lobi separati da
insenature dette seni (foglie a forma intera, trilobata o pentalobata). Le foglie sono inoltre asimmetriche ed
eterofille (cioè sullo stesso tralcio si hanno foglie di forma diversa). La foglia può essere ricoperta di peli.
IL FIORE
I fiori nella vite non sono singoli, ma riuniti in un'infiorescenza, detta grappolo composto o, più
correttamente, racemo composto o pannocchia, inserita sul tralcio in posizione opposta alla foglia. Tale
infiorescenza consta di un asse principale, detto rachide, su cui sono inseriti i racimoli, che si dividono in
rami di vario ordine, l'ultimo dei quali, detto pedicello, porta il fiore; un fiore è posto anche sulla
terminazione dell'asse principale. I grappoli, in numero di 1-3, raramente di più, sono inseriti sul tralcio a
partire dal 2°-3° nodo a seconda della varietà e sono disposti nel modo seguente: il primo sul 2°-3° nodo, il
secondo, opposto al precedente, sul nodo seguente, il terzo due nodi dopo, e perciò sul medesimo lato del
secondo. Il numero dei fiori su ogni grappolo è molto variabile potendo andare da circa 100 nella cultivar
<<Italia>> a quasi 1900 nella cultivar <<Black Rose>>.
I cirri o viticci sono degli organi volubili, con funzione di sostegno, aventi sul tralcio la stessa origine e
posizione dei grappoli (ciò è dimostrato dal fatto che, in particolari condizioni, il grappolo, perdendo i fiori,
si può trasformare in cirro); come i tralci, sono erbacei in estate e lignificano alla fine del ciclo vegetativo. A
seconda che presentino uno o più assi, sono detti semplici, bifidi, trifidi. In base, poi, della regolarità di
successione lungo il tralcio, possono essere continui (un cirro per ogni nodo, come per la V. labrusca L.),
discontinui (in genere si hanno due nodi con cirro e uno senza, come per la V. vinifera L.) o intermittenti
(non seguono nessuna regola).
IL FRUTTO
Il frutto della vite è una bacca, comunemente chiamata acino, costituita da:
epicarpo. o buccia: è uno strato ricco di sostanze di varia natura quali quelle coloranti
(antociani o flavoni), tanniche o aromatiche (in uve particolari quali i <<Moscati>>).
Dall'interno all'esterno è formato da uno strato di cellule piccole e a parete spessa,
dall'epidermide, dalla cuticola, e infine da uno strato biancastro, cioè dalla pruina;
Gli acini sono posti sui pedicelli, i quali, assieme alle varie ramificazioni del grappolo, formano il raspo o
graspo. Hanno forma, dimensione e sapore (semplice o aromatico) caratteristici a seconda della varietà.
Nelle zone a bassa piovosità primaverile-estiva è necessaria un'oculata regimazione idrica in modo da
conservare nel terreno l'acqua caduta durante l'inverno. La pianta di vite richiede quantitativi diversi di
acqua disponibile nelle differenti fasi vegetative. Una scarsa piovosità durante l'inverno induce il risveglio
vegetativo, ma i germogli, dopo l'allegagione, in genere cessano di crescere e l'uva, specialmente quella dei
vitigni più vigorosi, non arriva a maturazione. Danni più o meno simili si hanno anche a causa della siccità
estiva, in quanto viene a mancare la disponibilità idrica proprio nel momento in cui la pianta è
particolarmente esigente. Altrettanto dannose sono le piogge eccessive durante l'estate o l'autunno. Nel
primo caso si determina la formazione di un prodotto molto acquoso, con basso contenuto di zuccheri e
elevato di acidi, mentre nel secondo caso vengono particolarmente favoriti gli attacchi di muffa grigia con
conseguenze dannose sul vino.
Possiamo fissare le seguenti quantità di pioggia per la vite coltivata al centro – nord:
• Durante il germogliamento 15 mm
• Durante la fioritura 10 mm
• I terreni calcarei necessitano di adatti portainnesti e comunque danno vini con buon grado
zuccherino ma scarsa acidità
• I terreni argillosi danno buona qualità se viene controllato il problema del ristagno idrico
Fino a poco più di un secolo fa la vite europea era tutta franca di piede, cioè forniva sia l'apparato aereo
che quello radicale grazie alla sua capacità di autoradi-cazione. Fu, infatti, nel 1863 che a Hammersmith, nei
pressi di Londra, comparve la fillossera, proveniente dall'America. Nell'Europa continentale i primi danni
sono databili al 1865 in Francia e al 1879 in Italia; furono riscontrati inizialmente in Valmadrera, in provincia
di Como, ad Agrate, in provincia di Milano, e nell'anno successivo in provincia di Caltanisetta e Messina. A
nulla valse la lotta con il solfuro di carbonio, prima, e con l'irrigazione per sommersione, poi, metodi già
sperimentati in Francia. Alla fine degli anni '60, riscontrata la resistenza alla fillossera delle viti americane,
se ne iniziò la coltivazione in sostituzione della V. vinifera L., ottenendo però vini molto diversi. Tra la fine
degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 in Francia, e poco dopo anche in Italia, iniziarono prima le ricerche di
ibridi euro-americani per produrre uva di qualità e poi le prove di innesto di vite europea su piede
americano. La comparsa della fillossera, almeno in Italia, non fu l'unica causa a determinare una certa
evoluzione nella viticoltura: nel 1850, infatti, era comparso l'oidio e sempre nel 1879, nell'Oltrepo Pavese,
veniva segnalata, per la prima volta, la peronospora.
AZOTO 60 – 80
ANIDRIDE FOSFORICA 30 – 50
OSSIDO DI MAGNESIO 20 - 30
La vite è una pianta resistente alla siccità, ma una carenza idrica puo’ provocare disseccamenti, caduta di
foglie e appassimenti. Al contrario un eccesso idrico provoca vegetazione eccessiva con scarsità di grado
zuccherino e problemi fitosanitari.
Albana
Bombino bianco
Cataratto
Chardonnay
Confuso per molto tempo con il <<Pinot bianco>>, non deriva da mutazione di <<Pinot nero>> e
deriverebbe il suo nome da un quasi omonimo villaggio della Borgogna. È molto diffuso in Trentino-Alto
Adige, Friuli, Veneto, Lombardia, Puglia,
Inzolia Bianca
È coltivata non solo in Sicilia (dove rappresenta il secondo vitigno in ordine di importanza), ma anche in
Toscana;
Malvasie
È un gruppo eterogeneo che comprende sia vitigni dal caratteristico sapore moscato che a sapore semplice.
Si distinguono due gruppi: <<Malvasie ad acino bianco>> e <<Malvasie ad acino nero>>.
Moscati
È un gruppo costituito da numerosi vitigni dal tipico sapore moscato, di colore sia bianco che nero
Pinots
Sono un gruppo numeroso, di cui fanno parte il <<Pinot Bianco>> e il <<Pinot Grigio>>, di origine francese,
mol-to diffusi al Nord (Piemonte, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia).
Prosecco
È diffuso nella zona collinare della provincia di Treviso (è il vitigno più importante) ed anche in zone
limitrofe.
Rieslings
Tocai Friulano
Diffuso nel Veneto e nel Friuli-Venezia Giulia (Udine e Venezia in particolar modo).
Trebbiani
È un gruppo di vitigni coltivati nell’Italia centrale e settentrionale, oltre che in Francia. Tra questi vengono
ricordati il <<T. Toscano o del Chianti>> (entra nella costituzione del <<Chianti DOC>> nella proporzione del
10-30% e con le <<Malvasie>> origina i <<Vini santi>>), il <<T. di Romagna>> (dà vini da pasto e serve come
<<base>> per spumanti), il <<T. di Soave o Veronese>> (dà i vini <<Soave>> DOC), il <<T. di Lugana>> (sul
lago di Garda dà il <<Lugana>> DOC), il <<T. Giallo o di Velletri>> (diffuso nella zona dei Castelli romani)
Vernacce
Sono costituite da numerosi vitigni locali, di cui i più importanti possono essere considerati la <<V. di S.
Gemignano>> (coltivata in Toscana e Umbria), la <<V. di Oristano>> (coltivata in Sardegna) e la <<V. Nera>>
(coltivata in Umbria e nelle Marche). La <<V. di S. Gemignano>>
Aglianico
Barbera
È uno dei vitigni a più larga diffusione (è presente in circa 35 province), anche se la sua patria si può
considerare il Piemonte.
Cabernets
Sono vitigni tipicamente francesi (Bordeaux) e vengono distinti in due popolazioni: il <<Cabernet Franc>> e
il <<Cabernet Sauvignon>>.
Canaiolo
Cannonau
Dolcetto
Sono coltivati per lo più in Emilia (Reggio e Modena), ma anche in Lombardia (Mantova) e in Puglia
Marzemino
Merlot
Di origine francese, è uno dei vitigni più diffusi in Italia (è presente in circa 35 province).
Pinot Nero
È originario della Francia ed è coltivato in Trentino-Alto Adige (con il nome di <<Blauburgunder>>), nel
Veneto e in Friuli-Venezia Giulia.
Sangiovese
Groppello
Questo vitigno sembra originario della zona del Lago di Garda. Ne avevano parlato molti autori latini tra cui
Virgilio e Plinio. Ci sono due sottovarietà di Groppello. Il Groppello Gentile domina nella composizione dei
rosé, mentre il Groppello di Mocasina produce vini più intensi e corposi.
2. GIACITURA ED ESPOSIZIONE
3. ALTITUDINE
4. VARIETA’ DI UVA
I sesti d’impianto sono rappresentati dalle distanze tra una vite e l’altra e tra un filare e l’altro.
Il periodo migliore per effettuare questa operazione è subito dopo la potatura facendo attenzione ad
alcune regole:
• evitare l'impianto del vigneto in zone con ristagni di umidità o poco luminose e preferire quindi
zone sufficientemente ventilate;
• controllare la sanità delle barbatelle ed acquistare sempre materiale certificato ai sensi della
normativa vigente;
• eliminare i polloni;
• eseguire un'accurata potatura verde, curando la sfogliatura alla base dei tralci e nella zona dei
grappoli, al fine di favorire sia la circolazione dell'aria che la buona penetrazione di eventuali
trattamenti fitoiatrici.
effettuare il primo trattamento due o tre giorni prima dello scadere del periodo di incubazione, calcolato
sulla base della regola dei “tre dieci”, con prodotti di copertura o citotropici;
utilizzare anche prodotti rameici
OIDIO
Sulle foglie si possono avere increspature del
lembo, aree decolorate e, infine, sintomo
inconfondibile, una tenue efflorescenza
biancastra distribuita a chiazze sulla pagina
superiore. Sui tralci significati si formano lesioni
reticolate; nel caso di infezioni precoci primaverili
i tralci crescono corti e deboli. I danni maggiori si
hanno però sugli acini che rimangono più piccoli e
meno zuccherini del normale. Sugli acini compare
la classica muffetta sotto la quale ci sono le
macchie necrotiche reticolari che, non essendo
più elastiche, tendono a spaccarsi; su queste
ferite si insediano altri funghi quali quelli della
Muffa grigia o altri batteri e funghi che portano il
marciume degli acini.
DIFESA
• eseguire un'adeguata potatura verde per evitare che si crei un microclima saturo di umidità nella
zona dei grappoli.
iniziare i trattamenti a partire dalla fase di germogliamento, solo dopo aver accertato la presenza di
infezioni,
MUFFA GRIGIA
DIFESA
• adottare tutte le misure agronomiche che possano favorire l'ispessimento della cuticola dell'acino
ed evitare un eccessivo rigoglio vegetativo, ricorrendo in particolare a: concimazioni azotate
equilibrate, impiego di rame per la difesa dalla peronospora fin dalla pre-fioritura, irrigazioni
contenute, ecc.
DIFESA
• effettuare interventi cesori che rispettino l'equilibrio della pianta ed evitare di eseguire tagli di
grosse dimensioni sul legno vecchio;
• se l'infezione non ha raggiunto il ceppo, asportare e bruciare le parti compromesse ed allevare dal
legno sano un nuovo germoglio.
DIFESA
La sua trasmissione viene effettuata dalla cicalina Scaphoideus titanus (agente vettore); nutrendosi su
piante infette essa assume il fitoplasma, quindi, alimentandosi successivamente su piante sane, ve lo
inietta, diffondendo così la malattia.
CICALINA VERDE
DIFESA
• azadiractina
• azadiractina
RAGNETTO GIALLO
Nel caso di attacchi precoci sulle gemme appena schiuse si possono avere gravi deformazioni delle
foglioline. In caso di forti attacchi tardivi si può verificare la caduta precoce delle foglie.
DIFESA
• razionalizzare le pratiche colturali, evitando tutto ciò che predispone ad un eccessivo rigoglio
vegetativo;
• lavare abbondantemente il fogliame con acqua nel periodo estivo, se si nota un suo eccessivo
impolveramento.
RAGNETTO ROSSO
ingiallimento delle foglie e successiva
DIFESA
defogliazione. Riduzione dell'attività
fotosintetica. Trattamenti con zolfo ventilato