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Riassunto Biologia Alphatest Medicina

Il documento tratta di biologia e descrive le caratteristiche fondamentali dei viventi, le biomolecole principali, le cellule eucariotiche e procariotiche. Viene spiegata la teoria cellulare secondo cui tutti gli organismi sono composti da cellule che sono l'unità fondamentale della vita.
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Riassunto Biologia Alphatest Medicina

Il documento tratta di biologia e descrive le caratteristiche fondamentali dei viventi, le biomolecole principali, le cellule eucariotiche e procariotiche. Viene spiegata la teoria cellulare secondo cui tutti gli organismi sono composti da cellule che sono l'unità fondamentale della vita.
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Riassunto Biologia (AlphaTest

- Medicina)
Biologia
Università degli Studi di Milano-Bicocca
36 pag.

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Biologia
Introduzione alla biologia
Ciò che distingue un organismo vivente da un oggetto inanimato è la capacità di riprodursi generando altri
organismi dotati delle stesse caratteristiche fondamentali, controllare da un programma genetico.
1. Caratteristiche dei viventi
Gli organismi, ad esclusione dei virus, sono formati da cellule: unicellulari o pluricellulari.
Gli organismi crescono (aumento di dimensioni) e si sviluppano (cambiamenti strutturali e fisiologici).
Gli organismi si riproducono, garantendo così la perpetuazione della specie a cui appartengono.
Gli organismi regolano il proprio metabolismo: reazioni chimiche che garantiscono l’omeostasi.
Gli organismi rispondono agli stimoli: percepiscono i cambiamenti e mettono in atto processi in risposta.
Gli organismi possiedono informazione genica: le informazioni sono contenute nei geni formati da DNA.
Le popolazioni di viventi sono soggette a evoluzione: le caratteristiche cambiano nel tempo, adattandosi.
2. Bioelementi
Dei 92 elementi chimici presenti in natura, solo una ventina entra nella composizione della materia vivente e,
tra questi, quelli quantitativamente più importanti sono: ossigeno, carbonio, idrogeno e azoto. Questi 4,
insieme a fosforo e zolfo, costituiscono oltre il 99% della sostanza vivente. Altri elementi essenziali sono: calcio,
cloro, potassio, sodio, magnesio, iodio e ferro. I rimanenti sono presenti in piccolissime quantità.
3. Biomolecole
Le biomolecole sono composti organici, di elevato peso molecolare, appartenenti a quattro gruppi principali:
- Carboidrati: composti ternati contenenti carbonio, ossigeno e idrogeno.
In base alla struttura sono divisi in:
o Monosaccaridi: glucosio, fruttosio, galattosio
o Disaccaridi: saccarosio, lattosio, maltosio, cellobiosio
o Polisaccaridi:
▪ Di riserva: amido (vegetali) e glicogeno (animali)
▪ Strutturali: cellulosa, chitina, glicosamminoglicani (GAG)
- Proteine: polimeri biologici risultati dall’unione di 20 diversi amminoacidi, uniti tra loro dal legame
peptidico, a formare catene. La loro sintesi è controllata dal DNA. Possono avere un ruolo strutturale
oppure funzione catalitica. Dei 20 amminoacidi che compongono le proteine, 9 non possono essere
sintetizzati e per questo detti amminoacidi essenziali e devono essere introdotti con l’alimentazione.
Si parla di proteina, invece che di peptide, quando la catena è formata da almeno 100 amminoacidi.
Una proteina può presentare quattro livelli di struttura:
o Primaria: sequenza di amminoacidi
o Secondaria: disposizione nello spazio degli amminoacidi
o Terziaria: struttura tridimensionale
o Quaternaria: è data dalla presenza di due o più subunità peptidiche
- Lipidi: classe di sostanze diversificate dal punto di vista chimico e accomunate dal fatto di essere
insolubili in acqua. Possono avere sia una funzione strutturale, sia di riserva energetica che di
messaggeri chimici. I principali lipidi sono:
o Trigliceridi: funzione di riserva energetica
o Fosfolipidi: funzione struttura; costituenti delle membrane cellulari
o Steroidi: comprendono ormoni sessuali, ormoni corticali, vitamina D, acidi biliari, colesterolo
- Acidi nucleici: polimeri lineari di nucleotidi. Sono responsabili di funzioni fondamentali nell’ereditarietà
e nella sintesi proteica. Sono il DNA (acido desossiribonucleico) e RNA (acido ribonucleico).

4. Le interazioni deboli nella biologia


Le molecole organiche sono in grado di interagire tra loro tramite forze deboli non covalenti e legami ionici. Le
interazioni di importanza biologica sono: legami a idrogeno, forze di Van der Waals, interazioni dipolo-dipolo,
forza idrofobe. Questi legami sono importanti perché impartiscono alle macromolecole come DNA e proteine la
loro forma e struttura.

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5. Cenni di microscopia
Il potere risolutivo è la distanza minima al di sotto della quale non siamo più in grado di vedere due punti come
distinti tra loro. Quello dell’occhio umano è di circa 1/10 di millimetro. Per poter individuare oggetti le cui
dimensioni sono inferiori a 0,1mm sono state utilizzate prima le lenti di ingrandimento e poi i microscopi.
Il microscopio ottico è dotato di due sistemi di tenti: obiettivo e oculare. L’obiettivo è rivolto verso il tavolino
portaoggetti sul quale viene deposto il campione da esaminare; uno specchio dirige un fascio di luce attraverso
il preparato e l’obiettivo ne proietta un’immagine ingrandita verso l’oculare, che la ingrandisce a sua volta.
Questo consente di ingrandire l’immagine di un oggetto fino a circa 2000 volte, quindi permette di vedere le
principali strutture cellulari: nucleo, mitocondri, cromosomi durante la mitosi e anche batteri.
Negli anni Trenta è stato sviluppato il microscopio elettronico, basato sull’utilizzo, al posto della luce visibile, di
un fascio di elettroni. Questo rende possibile l’osservazione delle strutture subcellulari (membrane).
Nel microscopio elettronico a trasmissione (TEM) un fascio di elettroni, dopo aver attraversato l’oggetto da
ingrandire, colpisce uno schermo fluorescente sul quale si forma l’immagine. Questo è lo strumento dotato del
maggior potere risolutivo, pari circa a 0,2nm, e permette di evidenziare la struttura fine delle cellule.
Nel microscopio elettronico a scansione (SEM) un raggio di elettroni esplora l’oggetto; gli elettroni non
attraversano il campione, ma sono riflessi dalla sua superficie, formando in questo modo un’immagine
tridimensionale. È dotato di un potere risolutivo pari a circa 10nm.

Biologia cellulare
1. La teoria cellulare
Il termine cellula fu introdotto per la prima volta nel 1665 da Robert Hooke. Da questo momento la struttura
della cellula è stata studiata e oggi è riconosciuta una teoria unificate sulla natura degli organismi viventi, nota
come teoria cellulare, formulata intorno al 1850 da Schleiden, Schwann e Virchow.
Una cellula è un elemento di piccole dimensioni, delimitato da una membrana, pieno di una soluzione
concentrata di sostanze chimiche in acqua e dotato della capacità di produrre copie di sé stesso, crescendo e
dividendosi in due. Elementi chiave della teoria cellulare:
- Tutti gli organismi viventi sono composti da cellule
- La cellula è l’unità fondamentale
- Ogni cellula deriva da un’altra cellula preesistente
- Nelle cellule l’informazione genica risiede nel DNA e viene trasmessa durante la divisione cellulare
2. Tipi cellulari
Ogni cellula è circondata da una membrana cellulare che divide l’ambiente interno da quello interno e che
regola l’ingresso e l’uscita dei materiali. All’interno si trova il citoplasma, una soluzione acquosa in cui sono
immersi i costituenti cellulari e in cui si svolgono le funzioni cellulari. Queste funzioni sono svolte dagli organelli
citoplasmatici. In base alla presenza o meno di un nucleo, le cellule vengono divise in due gruppi:
- Cellule procariotiche (batteri):
Sono le più semplici e le più piccole cellule esistenti (0,5 – 5 µm). Sono prive di
organelli citoplasmatici delimitati da membrana e non possiedono un vero nucleo:
il materiale genetico consiste di una sola molecola di DNA circolare, localizzata in
una regione della cellula detta nucleoide. Oltre alla molecola di DNA principale
possono essere presenti plasmidi. Nel citoplasma sono presenti i ribosomi,
organuli che permettono la sintesi proteica, ma sono più piccoli di quelli
posseduti dagli eucarioti. La membrana plasmatica forma delle invaginazioni
dette mesosomi. Le cellule procariotiche sono circondate da una parete cellulare
esterna alla membrana cellulare, costituita di peptidoglicani (no archebatteri). Un peptidoglicano è formato da
lunghe catene polisaccaridiche in cui si alternano unità di amminozuccheri (N-acetilglucosammina e acido N-
acetilmuramico) uniti da ponti trasversali di natura peptidica a formare una struttura complessa. Gli organismi
procarioti sono sempre unicellulari e si riproducono con modalità asessuata, per scissione binaria, ma possono
scambiarsi materiale genetico mediante trasformazione, coniugazione o trasduzione. In alcuni procarioti è
presente una membrana esterna (capsula), uno strato ricco di fosfolipidi e carboidrati, esterno alla parete
cellulare. Non ha funzioni protettiva, ma può contenere tossine responsabili di processi patogeni. I flagelli dei
procarioti, quando presenti, sono semplici strutture filamentose utilizzare per spostarsi nell’ambiente. Sono
tubi elicoidali formati dalla proteina flagellina, il cui movimento è alimentato da un gradiente protonico.

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- Cellule eucariotiche:
Sono più complesse e più grandi di quelle
procariotiche (10 – 100 µm). Nel citoplasma sono
presenti diversi organelli aventi struttura e
funzioni specifiche che consentono lo
svolgimento di varie attività cellulari. Il materiale
genetico è formato da diversi cromosomi,
racchiusi in un nucleo ben definito. Ogni
cromosoma è costituito da una molecola di DNA
lineare, associata a specifiche proteina. Gli
organismi eucarioti possono essere unicellulari
(protisti) o pluricellulari (piante, funghi e animali).
- Le cellule: differenze e aspetti comuni
Le cellule che formano gli esseri viventi sono diversificate sia dal punto di vista fisiologico sia da quello
strutturale. Allo stesso tempo, però, sono dotate di alcuni importanti aspetti comuni.
Le differenze:
- Dimensioni: variano da pochi micrometri (batteri) al millimetro (uovo di rana)
- Movimento: alcune possono muoversi tramite flagelli, altre sono immobili
- Rivestimento: alcune presentano un rivestimento esterno alla membrana
- Ossigeno atmosferico: alcune lo utilizzano, altre ne sono avvelenate
- Produzione di composti: alcune sono in grado di produrre ormoni, amido, grasso, pigmenti o gomma
Gli aspetti comuni:
- Composizione chimica: si basa sulle stesse 4 classi composti (proteine, carboidrati, acidi nucleici, lipidi)
- Reazioni chimiche: tutte le cellule svolgono la glicolisi
- Informazione genica: in tutte le cellule risiede nel DNA
3. Virus
Sono entità viventi, ma non sono costituiti da cellule. Sono costituiti da una molecola di acido nucleico (DNA o
RNA) contenente le informazioni genetiche, racchiusa in un involucro di natura proteica detto capside. Hanno
forma e dimensioni varie (10 – 300 nm). Sono incapaci di sintetizzare autonomamente le proteine di cui sono
formati. Per riprodursi devono infettare cellule ospiti di cui sfruttano gli enzimi e il sistema energetico; possono
quindi essere definiti parassiti endocellulari obbligati. Sono parassiti specifici: alcuni infettano solo cellule
animali, alcuni solo cellule vegetali, altri, chiamati batteriofagi, solo cellule batteriche.
4. Membrana cellulare
Sottile involucro di 7-9 nm che avvolge la cellula e regola lo scambio di
materiali con l’esterno. È costituita principalmente da fosfolipidi e
proteine, ma contiene anche colesterolo e glicolipidi.
I fosfolipidi sono molecole anfipatiche, cioè caratterizzate da una testa
polare idrofila e da due code idrofobe. Se dispersi in un mezzo acquoso,
i fosfolipidi tendono spontaneamente a formare un doppio strato nel
quale le teste sono rivolte verso l’esterno e le code idrofobe verso
l’interno. Le proteine di membrana possono attraversare parzialmente o
totalmente il doppio strato lipidici. I fosfolipidi e le proteine a essi
associate sono liberi di muoversi sul piano laterale; per questo motivo tale modello è detto modello del
mosaico fluido. Le proteine di membrana svolgono numerose funzioni: enzimi, proteine di trasporto o recettori
cellulari, cioè in grado di riconoscere e legare molecole specifiche (ormoni, neurotrasmettitori).
I significati principali della membrana cellulare sono:
- Strutturale e morfologico: definisce la forma della cellulare, separando l’interno dall’esterno
- Funzionale: regola gli scambi di ioni, sostanze nutritive e di scarto
- Di comunicazione e integrazione: le proteine della membrana fungono da recettori a cui si legano
ormoni e latri messaggeri che possono modificare il metabolismo cellulare. Svolgono ruoli importanti
nel riconoscimento e nell’adesione fra cellule, possono essere riconosciute come antigeni dal sistema
immunitario, inoltre sono responsabili dell’inibizione da contatto, il fenomeno in base al quale, quando
entrano in contatto tra loro, le cellule smettono di proliferare.

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5. Nucleo
Controlla le attività della cellula e ha un ruolo importante nella replicazione, nell’accrescimento e nel
differenziamento cellulare. È circondato da una doppia membrana che lo separa dal citoplasma, la membrana
nucleare, costellata di pori che permettono scambi selettivi con il citoplasma. Il nucleo contiene il DNA che
risulta complessato con proteine strutturali, gli istoni, a costituire la cromatina. Quando la cellula non è in
divisione i filamenti di DNA che costituiscono i diversi cromosomi sono despiralizzati e formano un ammasso
indistinto. Prima della divisione cellulare, invece, la cromatina si addensa e i singoli cromosomi assumono un
aspetto compatto. Nel nucleo sono contenuti anche uno o più nucleoli, particolari strutture in cui vengono
sintetizzati gli rRNA (RNA ribosomiali) e vengono assembrali i ribosomi.
6. Organelli citoplasmatici
Gli altri organelli citoplasmatici presenti nella cellula:
- Ribosomi: siti della sintesi proteica; assembrati nel nucleolo. Consistono di due subunità, una maggiore
e una minore, ciascuna formata da rRNA e proteine. Possono essere liberi nel citoplasma o legati alla
membrana esterna del reticolo endoplasmatico. I ribosomi degli eucarioti (80S) sono più grandi di
quelli dei procarioti (70S). S = Svedberg, unità di misura della velocità di sedimentazione.
- Reticolo endoplasmatico: sistema di membrane costituito da tubuli e sacculi. Può essere liscio (REL) o
rugoso (RER), a seconda che sia privo o rivestito di ribosomi. Il REL partecipa alla sintesi dei lipidi e alla
detossificazione da farmaci e veleni, il RER sintetizza le proteine a destinazione non citoplasmatica
(esterno, membrana cellulare). Rilasciate all’interno del RER, queste proteine vengono poi trasferite
all’apparato di Golgi mediante un flusso di vescicole.
- Apparato di Golgi: costituito da una pila di vescicole appiattite e delimitate da membrana, chiamate
cisterne. Rappresenta un centro di raccolta, rielaborazione e smistamento dei prodotti del RE: dopo
aver ricevuto le vescicole, ne modifica il contenuto, lo trasferisce all’interno di nuove vescicole e lo
indirizza ai diversi compartimenti cellulari o alla membrana plasmatica. La regione rivolta verso
l’interno e verso il RER è detta cis, quella rivolta versa la membrana cellulare è detta trans.
- Lisosomi: vescicole delimitate da membrana, paragonabili allo stomaco cellulare. Contengono enzimi
idrolitici (digestivi) in grado di demolire le sostanze e sono caratterizzate da un pH molto acido. Sono
abbondanti nelle cellule deputate alla difesa dell’organismo, come i globuli bianchi. Questi organelli
digeriscono sia le sostanze inglobate dall’esterno, sia i materiali cellulare non più utili. Sono poi
rilasciati nel citoplasma per essere riutilizzati. Una cellula può suicidarsi rompendo la membrana dei
lisosomi e riversando gli enzimi nel citoplasma. Questo processo è detto autolisi e gioca un ruolo
importante durante lo sviluppo e il rimodellando dell’osso.
- Microsomi: vescicole simili ai lisosomi, più piccole e contenenti sostanze specifiche. Sono
particolarmente importanti i perossisomi, vescicole contenenti la catalasi, enzima in grado di
decomporre il perossido di idrogeno (H2O2) altamente tossico perché danneggia le membrane. I
perossisomi delle cellule del fegato partecipano alla detossificazione, cioè alla demolizione delle
molecole danno, come per esempio l’alcol.
- Mitocondri: organelli delimitati da una membrana doppia;
quella esterna è liscia, mentre quella interna presenta
numerose pieghe, dette creste. Il contenuto interno prende il
nome di matrice. Possiedono un proprio DNA circolare,
ribosomi e si dividono per scissione binaria. I mitocondri dello
zigote provengono quasi esclusivamente dalla cellula uovo.
Secondo la teoria dell’endosimbiosi i mitocondri sarebbero i
discendenti di primitive cellule procariotiche che sarebbero
state inglobate. I mitocondri possono essere considerati le
centrali energetiche delle cellule perché sono la sede della respirazione cellulare, processo in cui le
sostanze organiche, in presenza di ossigeno, vengono demolite a CO2 e H2O, liberando energia che
viene sfruttata per sintetizzare ATP, necessario per le attività cellulari.
- Citoscheletro: è costituito da un fitto intreccio di filamenti proteici che irrobustiscono la cellula, ne
determinando la forma, controllano lo spostamento dei cromosomi e di alcune molecole all’interno,
inoltre permettono i movimenti cellulari. È formato da tre tipi di filamenti:

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o Microtubuli: costituiti da 13 filamenti di una proteina globulare chiamata tubulina, aggregati a
formare un cilindro cavo. Sono componenti essenziali dei centrioli, del fuso mitotico e delle
appendici cellulari (flagelli e ciglia).
o Filamenti intermedi: formati da diversi tipi di proteine fibrose, tra cui la cheratina, e sono
importanti per garantire alla cellula resistenza meccanica.
o Microfilamenti: filamenti di actina, una proteina coinvolta anche nella contrazione muscolare.
Permettono gli spostamenti degli organuli all’interno della cellula e la formazione di
pseudopodi, estroflessioni che consentono la fagocitosi oltre che il movimento delle amebe e
di cellule ameboidi.
- Centrioli: organelli di forma cilindrica costituiti da 9 gruppi di tre microtubuli. Le cellule vegetali ne sono
prive, mentre quelle animali ne possiedono due, disposti ad angolo retto nella regione centrale della
cellula. Svolgono un ruolo determinante nel montaggio dei microtubuli. La regione dei centrioli, centro
di organizzazione dei microtubuli cellulari, è detta centrosoma.
- Ciglia e flagelli: sono appendici cellulari dotate di movimento, formate da fasci di microtubuli disposti
in modo caratteristico (9 coppie di microtubuli appaiati disposte in cerchio e una coppia di microtubuli
separati al centro) e rivestiti dalla membrana cellulare. Le cellule libere li utilizzano per muoversi nei
liquidi, mentre quelle fisse per spostare il materiale extracellulare. I flagelli sono lunghi e poco
numerosi, mentre le ciglia sono corte e numerose.
7. La cellula vegetale
Questa, a differenza della cellula animale, possiede: la parete
cellulare, i plastidi e i vacuoli.
- Parete cellulare: involucro esterno rigido che dà forma
alla cellula, la protegge e la sostiene. È formata da fibre
di cellulosa e presenta piccoli pori che permettono il
passaggio di citoplasma e di sostanze da una cellula
all’altra: queste strutture di comunicazione tra cellule
sono chiamate plasmodesmi.
- Plastidi: comprendono i cromoplasti, contenenti
sostanze colorate (pigmenti), i leucoplasti, incolori e
contenenti sostante di riserva, e i cloroplasti, contenenti
pigmenti verdi (clorofille) e sede della fotosintesi clorofilliana. I cloroplasti sono circondati da una
membrana doppia e contengono un elaborato sistema di vescicole appiattite e interconnesse, i
tilacoidi, a cui sono associate le clorofille. I tilacoidi sono sovrapposti a formare pile dette grana. Sono
la sede della fotosintesi clorofilliana. Contengono una molecola di DNA circolare e ribosomi e si
dividono per scissione binaria.
- Vacuoli: vescicole contenenti acqua e sostanze che diventano sempre più grandi via via che la cellula
invecchia, fino a occuparne quasi tutto il suo volume. Il citoplasma è ridotto a uno strato sottile
appressato alla parete cellula, mentre gran parte dello spazio interno è occupato da un grande vacuolo
che conferisce sostengo alla cellula. I vacuoli fungono da deposito per sostanze di riserva e di rifiuto.
8. Scambio di materiali fra interno ed esterno della cellula
Le sostanze possono entrare e uscire dalla cellula in modi diversi. È
opportuna innanzitutto distinguere il trasporto passivo da quello attivo.
Il trasporto passivo avviene secondo gradiente di concentrazione, cioè
quando una sostanza si sposta da una zona in cui la sua concentrazione è
maggiore a un’altra in cui è minore. Questo processo è spontaneo e non
richiede energia. Il trasposto attivo, invece, avviene contro gradiente,
cioè quando una sostanza si sposta da una zona in cui la concentrazione
è minore a un’altra in cui è maggiore. Richiede energia, la quale viene
fornita dall’idrolisi di ATP.
Il gradiente di concentrazione è la forza che determina lo spostamento di una sostanza. Se la sostanza che si
sposta possiede una carica elettrica, cioè è uno ione, è necessario considerare non solo la sua concentrazione,
ma anche la distribuzione delle cariche ai due lati della membrana.
Il gradiente elettrochimico è la forza motrice netta che tende a spostare un soluto carico attraverso la
membrana ed è il risultato della somma del gradiente di concentrazione e del potenziale elettrico.

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- Diffusione semplice: è il movimento netto delle particelle da una zona ad alta concentrazione a una a
minore concentrazione. Avviene secondo gradiente di concentrazione ed è un processo di tipo passivo.
L’osmosi è un caso particolare di diffusione; consiste nel passaggio di acqua attraverso una membrana
semipermeabile che separa due soluzioni a diversa concentrazione. L’acqua passa spontaneamente
dalla soluzione più diluita (ipotonica) a quella più concentrata (ipertonica). La pressione che occorre
applicare alla soluzione più concentrata affinché il passaggio del solvente non avvenga è detta
pressione osmotica.
Le sostanze, come ioni e zuccheri, che non attraversano la membrana per diffusione semplice, possono essere
trasportate mediante proteine di membrana. Queste proteine operano secondo due meccanismi:
- Diffusione facilitata: consiste nel trasporto di una sostanza secondo gradiente di concentrazione
mediante una proteina di trasporto. È di tipo passivo e quindi non richiede energia.
- Trasporto attivo: consiste nel trasporto di sostanze contro gradiente di concentrazione attraverso
proteine di membrana, dette pompe. È di tipo attivo e quindi richiede energia.
Le proteine di trasporto possono essere distinte in due categorie:
- Proteine vettrici: legano la sostanza che trasportano, poi cambiano conformazione rilasciandola al lato
opposto della membrana.
- Proteine canale: formano dei pori attraverso la membrana. La loro apertura avviene in seguito a segnali
elettrici oppure al legame con una molecola specifica.
Le macromolecole e le particelle di grosse dimensioni che non possono essere attraversare la membrana per
diffusione semplice o per mezzo di proteine di trasporto, possono essere introdotte o espulse mediante
vescicole, rispettivamente mediante:
- Endocitosi: formazione di invaginazioni della membrana, che
poi si chiudono verso l’interno, formando piccole vescicole le
quali racchiudono la sostanza da trasportare. Si parla di
fagocitosi quando la cellula ingloba particelle solide e di
pinocitosi quando ingloba goccioline di liquido. Nell’endocitosi
mediata da recettore la molecola da trasportare si lega a un
recettore di membrana e il complesso molecola-recettore viene
successivamente inglobato in una vescicola.
- Esocitosi: opera in direzione opposta; le vescicole migrano fino alla membrana e si fondono con essa,
riversando il loro contenuto all’esterno.
9. Pompe proteiche e potenziale di membrana
In tutte le cellule si ha una diversa concentrazione di ioni ai due lati della membrana, che determina una
differenza di potenziale elettrico pari circa a -70mV (l’interno è negativo rispetto all’esterno). Tale differenza è
detta potenziale di membrana (o a riposo) ed è il risultato dell’attività di diverse proteine di trasporto.
- Pompa sodio-potassio: lo ione sodio (Na+) è circa
10 volte più concentrato all’esterno della cellula,
mentre lo ione potassio (K+) è circa 30 volte più
concentrato all’interno. Questo gradiente è
prodotto da una proteina intrinseca, la pompa
sodio-potassio ATPasi che trasporta i due ioni
contro gradiente, 3Na+ all’esterno e 2k+ all’interno,
utilizzando energia prodotta dall’idrolisi dell’ATP.
I gradienti di Na+ e K+ sono responsabili del potenziale di membrana, controllano il volume celllulare,
conferiscono alle cellule nervose e muscolari le loro proprietà di eccitabilità e sono coinvolti nel
trasporto di alcune sostanze nutritive come zuccheri e amminoacidi.
10. Comunicazione tra cellule
La comunicazione tra cellule distanti avviene indirettamente attraverso messaggeri chimici trasportati dal
sangue. Le cellule a stretto contatto possono comunicare direttamente, scambiandosi materiali attraverso
giunzioni di vario tipo. Le cellule vegetali comunicano attraverso i plasmodesmi, canali che attraversano le
pareti cellulari collegando direttamente il citoplasma delle cellule adiacenti. Le cellule animali presentano altri
tipi di giunzioni. Le cellule che formano un tessuto non sono mai in diretto contatto, esiste uno spazio tra loro,
ma sono unite le une alle altre in corrispondenza di regioni dette giunzioni intercellulari:

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- Desmosoma: è una giunzione ancorante; è costituito da una placca densa unita a fibre di cheratina e a
proteine. Queste ultime si estendono dalla placca densa di una cellula, attraverso la membrana
cellulare, fino alla placca densa della seconda cellula. Questa struttura garantisce la continuità del
tessuto e gli conferisce un grado notevole di resistenza.
- Giunzioni occludenti: hanno la funzione di sigillare gli spazi presenti fra le cellule, impedendo il
passaggio di materiali. Sono costituite da file di proteine di membrana che permettono l’adesione delle
due cellule adiacenti formando una sorta di cintura.
- Giunzioni comunicanti (serrate - gap junctions): caratterizzate dalla presenta di complessi proteici,
contenenti canali, inseriti nelle membrane delle cellule adiacenti. Queste proteine-canale sporgono
nello spazio interstiziale e si mettono in contatto, formando canali che permettono il transito di ioni e
piccole molecole da una cellula all’altra.

11. Metabolismo cellulare


Il metabolismo cellulare è l’insieme delle reazioni di trasformazione della materia e dell’energia che si svolgono
all’interno della cellula. L’insieme delle reazioni di degradazione delle molecole complesse in sostanze più
semplici è detto catabolismo; l’insieme delle reazioni di sintesi dei costituenti cellulari a partire da composti
semplici è detto anabolismo. Le reazioni cataboliche, reazioni esoergoniche, liberano l’energia necessaria alla
cellula per mantenere le strutture e il livello di organizzazione che la caratterizzano. Le reazioni anaboliche,
reazioni endoergoniche, richiedono energia, che è fornita loro dalle reazioni cataboliche attraverso un
trasportatore intermedio: l’ATP.
- Il trasportatore dell’energia cellulare: l’ATP
L’adenosintrifosfato (ATP) è formato dall’adenosina, un nucleoside, legato
a tre gruppi fosfato. Il legame tra il primo e il secondo fosfato e quello tra il
secondo e il terzo sono legami ad alta energia: per formarli occorre molta
energia; viceversa, la loro rottura libera energia.
L’ATP è sintetizzato attraverso una reazione di condensazione a partire da
adenosindifosfato (ADP) e un gruppo fosfato inorganico. La reazione di
sintesi è endoergonica. Quando l’ATP viene idrolizzato viene liberata la
stessa quantità di energia necessaria per la sua sintesi.
- Reazioni metaboliche e ossidoriduzioni
Le reazioni cellulari che comportano il passaggio di elettroni da una sostanza all’altra sono dette reazioni di
ossidoriduzione. L’elemento che subisce l’ossidazione perde elettroni, mentre quello che subisce la riduzione
acquista elettroni. Le due reazioni avvengono sempre contemporaneamente perché gli elettroni ceduti
dall’elemento che si ossida, chiamato riducente, vengono acquistati da quello che si riduce, detto ossidante.
- Enzimi
Le reazioni metaboliche avvengono grazie all’intervento di
proteine dette enzimi. Questi sono catalizzatori biologici:
aumentano la velocità delle reazioni senza parteciparvi
direttamente e senza essere consumati. Le sostanze che
reagiscono legandosi a un enzima sono dette substrati. Il
substrato si lega all’enzima in un punto preciso, detto sito
attivo, formando così il complesso enzima-substrato. Ogni
enzima può catalizzare una sola reazione. Molti enzimi, per funzionare, richiedono condizioni di temperatura e
pH ben precise e la presenza di determinati cofattori: ioni o piccole molecole organiche chiamate coenzimi. I
nomi degli enzimi terminano solitamente in -asi e fanno riferimento alla loro funzione, ad esempio: idrolasi
(catalizza la reazione di idrolisi), polimerasi (catalizza la reazione di polimerizzazione).

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12. Catabolismo del glucosio
La cellula ricava energia tramite l’ossidazione di sostanze organiche. La principale fonte di energia per le cellule
è la demolizione del glucosio (C6H12O6), processo che coinvolge diverse fasi e può procedere fino
all’ossidazione completa, con produzione di CO2, oppure arrestandosi a livello di composti intermedi.
La prima fase dell’ossidazione è rappresentata dalla glicolisi, una serie di reazioni attraverso le quali il glucosio
viene demolito a piruvato. A seconda poi delle capacità dell’organismo e delle condizioni ambientali il piruvato
può seguire due percorsi: in assenza di O2 viene ridotto tramite il processo di fermentazione ad acido lattico,
etanolo o altri composti, mentre in presenza di O2 viene ossidato a CO2 durante la respirazione cellulare.
- Glicolisi
Comprende 9 reazioni biochimiche che avvengono nel citoplasma, ciascuna catalizzata da un enzima specifico.
Nel corso di questa via metabolica una molecola di glucosio viene gradualmente trasformata in due molecole
di acido piruvico (C3H4O3) liberando energia. L’energia liberata viene sfruttata per produrre 2ATP e 2NADH.
Equazione glicolisi: C6H12O6 + 2Pi + 2ADP + 2NAD+ → 2C3H4O3 + 2ATP + 2NADH + 2H+
- Respirazione cellulare
In presenza di ossigeno il piruvato viene ossidato e demolito totalmente con produzione di CO2 e H2O nella
respirazione cellulare, la seconda fase della degradazione del glucosio. Questo processo ha luogo nei
mitocondri e viene diviso in 3 fasi principali:
o Decarbossilazione ossidati del piruvato: l’acido piruvico (3C) perde una molecola di CO2
trasformandosi in un gruppo acetile (2C) che si lega al coenzima A (CoA). Si formando così
acetil-coenzima A, che entra nel ciclo di Krebs, e 1 NADH.
o Ciclo di Krebs: serie ciclica di reazioni nella prima delle quali l’acetil-coenzima A si lega all’acido
ossalacetico (4C) formando acido citrico (6C). L’acido citrico subisce una serie di ossidazioni che
portano alla formazione di 2 CO2, 1 ATP, 3 NADH e 1 FADH2.
o Catena respiratoria: l’energia contenuta nel NADH e nel FADH2 viene utilizzata per produrre
ATP. L’ossidazione del NADH produce 3 ATP, quella del FADH2 produce 2 ATP.
Dall’ossidazione completa di una molecola di glucosio si ottengono 38 molecole di ATP. Di queste 2 sono
prodotte dalla glicolisi, le altre 36 dalla respirazione. Quindi il bilancio totale della demolizione del glucosio è:
C6H12O6 + 6O2 → 6CO2 + 6H2O + energia (686kcal/mole).
- Fonti alternative di energia
La cellula può ottenere energia per produrre ATP anche da molecole diverse dal glucosio: carboidrati, lipidi e
proteine. Queste sostanze vengono convertire in glucosio o in altre molecole che entrano a livelli diversi nella
glicolisi o nel ciclo di Krebs. Polisaccaridi e disaccaridi sono trasformati in monosaccaridi che vengono poi
convertiti in glucosio. Il glicerolo dei lipidi viene convertito in fosfogliceraldeide che è un intermedio della
glicolisi, mentre gli acidi grassi dei lipidi sono trasformati in acetil-CoA che entra nel ciclo di Krebs. Le proteine
sono invece idrolizzare ad amminoacidi. Questi, dopo aver perso il gruppo amminico, possono essere convertiti
in piruvato, acetil-CoA o in composti intermedi del ciclo di Krebs.
- Fermentazione
In assenza di ossigeno le cellule ricorrono alla fermentazione, processo in cui il piruvato prodotto dalla glicolisi
viene ridotto dal NADH e convertito in sostanze diverse a seconda del tipo di fermentazione:
o Fermentazione alcolica: il piruvato viene trasformato in alcol etilico e CO2.

o Fermentazione lattica: viene trasformato in acido lattico. È operata da alcuni batteri del latte
che trasformano il lattosio in acido lattico. Questa fermentazione ha luogo anche nei muscoli,
quando l’apporto di ossigeno non è sufficiente a produrre abbastanza ATP con la respirazione.

La fermentazione non comporta alcuna produzione ulteriori di ATP rispetto alla glicolisi, però permette di
riossidare il NADH, ripristinando così la scorta cellulare di NAD+ necessaria per lo svolgimento della glicolisi.

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13. Regolazione del metabolismo
Le attività che regola il metabolismo sono coordinate anche grazie alla presenza di enzimi allosterici che, oltre
a riconoscere il proprio substrato, sono in grado di legare in siti specifici, diversi dal sito attivo, molecole diverse
dai substrati, che fungono da attivatori o inibitori.
14. Fotosintesi clorofilliana
È un processo compiuto dai vegetali e da alcuni procarioti che permette di catturare l’energia solare e
convertirla in energia chimica sotto forma di glucosio. L’energia luminosa viene sfruttata per l’organicazione
del carbonio, cioè trasformare la CO2 in glucosio. Per compiere la fotosintesi, i vegetali assorbono
dall’ambiente CO2 e H2O e producono glucosio e liberano O2 nell’atmosfera. Equazione globale:
6CO2 + 6H2O + energia → C6H12O6 + 6O2.
Questa è l’esatto contrario dell’equazione della demolizione ossidativa del glucosio.
Negli eucarioti, la fotosintesi avviene nei cloroplasti; qui l’energia luminosa viene catturata dai pigmenti: la
clorofilla e i carotenoidi. I pigmenti e le altre molecole necessarie per la cattura dell’energia luminosa sono
inseriti nelle membrane dei tilacoidi del cloroplasto. Il processo fotosintetico avviene in due fasi:
- Fase luminosa: avviene nei tilacoidi e per progredire richiede luce che, catturata dalla clorofilla, viene
trasformata in energia chimica sotto forma di ATP e NADPH.
- Fase oscura: comprende una serie ciclica di reazione, detta ciclo di Calvin, che si svolge nello stroma,
indipendentemente dalla luce. Nel corso di queste reazioni l’energia dell’ATP e il potere riducente del
NADPH sono utilizzati per ridurre la CO2 e produrre glucosio.
Per fissare una molecola di CO2 sono necessarie 3 ATP e 2 NADPH, quindi per produrre una molecola di
glucosio, ottenuta mediante la fissazione di 6CO2, occorrono 18 ATP e 12 NADPH.
15. Organismi autotrofi ed eterotrofi
Gli organismi autotrofi sono in grado di produrre sostanze organiche (zuccheri) a partire da sostanze
inorganiche semplici (CO2 e H2O) prelevate dall’ambiente. Essi si dividono in:
- Fotoautotrofi (fotosintetici): sfruttano come fonte di energia per organicare la luce solare. Le piante e le
alghe utilizzano l’acqua come composto riducente, mentre altri batteri utilizzano l’H2S.
- Chemioautotrofi (chemiosintetici): sfruttano l’energia liberata da reazioni di ossidoriduzione.
Gli organismi eterotrofi non sono in grado di sintetizzare autonomamente molecole organiche partendo da
molecole inorganiche semplici e devono perciò prelevarle dall’ambiente, cibandosi di autotrofi, di altri
eterotrofi, di sostanza organica che ottengono da organismi viventi oppure di prodotti di rifiuto.

Divisione cellulare e cromosomi


La divisione cellulare è il processo che permette a una cellula di dare origine a due cellule figlie. Tutte le cellule
hanno origine dalla divisione di altre cellule. Ogni cellula contiene una gran mole di informazioni sotto forma di
geni, tratti di DNA. Prima di ogni divisione cellulare il DNA si duplica e ognuna delle due cellule che si originano
dalla divisione riceve una dotazione di informazioni identica a quella della cellula madre. Il processo di divisione
cellulare deve garantire la distribuzione equa di DNA, citoplasma e organuli cellulari. La divisione cellulare è
diversa nei procarioti e negli eucarioti. Nei procarioti, dotati di un’unica molecola di DNA, è un processo molto
semplice; negli eucarioti, forniti di diverse molecole di DNA sotto forma di cromosomi, è un processo
complesso che garantisce l’equa ripartizione del materiale genetico (mitosi) e del materiale citoplasmatico
(citodieresi). Oltre alla mitosi, che permette l’accrescimento e il rinnovamento dei tessuti, in tutti gli eucarioti
che si riproducono in via sessuata, è presente una particolare linea cellulare, quella delle cellule germinali, che
attraverso una divisione cellula di tipo diverso, la meiosi, forma le cellule riproduttive.
1. Divisione cellulare nei procarioti
Le cellule procariotiche sono fornite di un’unica molecola di DNA circolare, libera
nel citoplasma. Questa molecola di DNA si trova associata alla membrana
plasmatica in corrispondenza del mesosoma. I procarioti si dividono per semplice
scissione binaria. All’inizio del processo, la molecola di DNA circolare, attaccata
alla membrana plasmatica, si duplica, mentre la cellula si accresce.
Successivamente, a partire dal mesosoma, si forma un setto trasverso, che divide
la cellula madre in due figlie, ciascuna dotata di una molecola di DNA identica a
quella della cellula madre. Questa modalità di riproduzione asessuata è semplice,
veloce e permette ai batteri una successione di generazioni estremamente rapida.

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2. Ciclo cellulare degli eucarioti
Il ciclo vitale di una cellula eucariotica, definito ciclo cellulare, è diviso in 4 fasi: G1, S, G2, M. Le prime tre fasi
costituiscono l’interfase, il periodo precedente alla divisione cellulare, mentre nella quarta fase, la mitosi, si
verifica la divisione cellulare. Le quattro fasi:
- Fase G1: è un momento di intensa attività biosintetica e di crescita. In questo periodo
la cellula raddoppia le proprie dimensioni e produce nuovi organelli, oltre agli enzimi
necessari per la duplicazione del DNA che avrà luogo nella fase successiva.
- Fase S (sintesi): si ha la replicazione del DNA, necessaria affinché durante la divisione
cellulare ogni cellula figlia possa ricevere una copia completa del genoma.
- Fase G2: la cellula continua a crescere e a formare nuovi organelli, in vista della
successiva divisione. La cellula si prepara alla mitosi.
La durata del ciclo cellulare varia da cellula a cellula. Le cellule che non si dividono rimangono bloccare nella
fase G1, che in questo caso è indicata come G0 e può essere temporanea o permanente. Quest’ultimo caso è
rappresentato da una cellula che ha raggiunto la fine dello sviluppo e non si divide più, come per esempio i
neuroni. La morte cellulare programmata, apoptosi, è un processo di autodistruzione cellulare, programmato
geneticamente, che contribuisce a controllare il numero di cellule che formano un tessuto.
Per innescare i cambiamenti che portano alla fase S e quelli che danno il via alla mitosi, è fondamentale il ruolo
delle Cdk (chinasi ciclina-dipendenti). Queste sono enzimi che catalizzano il passaggio di un gruppo fosfato da
una molecola di ATP a una proteina che quindi viene fosforilata. La fosforilazione determina un cambiamento
nella conformazione della proteina, che in tal modo può essere attivata o inattivata. Gli enzimi attivati vanno a
catalizzare specifiche reazioni e in tal modo permettono l’innesco dei processi cellulari che caratterizzano la
fase S e la mitosi. Le Cdk non sono sempre attive, ma vengono attivate da molecole dette cicline, prodotte dalla
cellula e destinare a disgregarsi una volta svolta la propria azione. La fase S e la mitosi sono attivate da
specifiche cicline che differiscono nei diversi organismi. La mitosi può essere indotta anche da fattori esterni,
come molti ormoni o fattori di crescita.
3. Il cromosoma eucariote
Il DNA degli eucarioti è sempre associato a proteine di vario tipo e il
complesso formato da DNA e proteine è detto cromatina. Un
cromosoma è una lunga molecola di DNA, associata a specifiche
proteine. Le proteine più abbondanti sono gli istoni, piccole proteine
cariche positivamente, che si legano al DNA, carico negativamente.
La funzione degli istoni è quella di avvolgere e compattare i lunghi
filamenti di DNA in modo da poterli contenere nello spazio nucleare.
Il DNA si avvolge intorno a gruppi di 8 istoni, formando i nucleosomi,
le unità di base della cromatina. Fra due nucleosomi si trova un’altra
molecola di istone, che serve ad avvicinare i due nucleosomi successivi, compattando la struttura. Oltre agli
istoni, al DNA sono associate altre proteine che variano da un tipo di cellula all’altro. Le cellule umane
contengono 46 cromosomi, 23 coppie, e la lunghezza totale del DNA contenuto in ogni cellula è di circa 2 m,
che si riducono a 200µm quando i cromosomi raggiungono il massimo grado di condensazione. Il numero di
cromosomi presenti nelle cellule di un organismo è uguale per tutte le cellule tranne quelle riproduttive, che,
negli organismi a riproduzione sessuata, contengono un numero dimezzato di cromosomi.
4. Mitosi
È il processo tramite il quale il nucleo di una cellula eucariote si divide, dando origine a due nuclei figli, ciascuno
dotato di una serie completa di cromosomi. Alla divisione del nucleo segue generalmente, ma non
necessariamente, la divisione del citoplasma, indicata come citodieresi (citochinesi).
All’inizio della mitosi, i cromosomi, che durante l’interfase sono despiralizzati e appaiono come un ammasso di
cromatina indifferenziata, si condensano. Dato che il DNA si è duplicato durante la fase S, ogni cromosoma di
una cellula che entra in mitosi è costituito da due filamenti di DNA identici, chiamati cromatidi fratelli. I
cromatidi sono uniti in una regione chiamata centromero, mentre le estremità dei cromosomi sono indicate
come telomeri. Pur essendo un processo continuo, la mitosi viene suddivida in 4 fasi:

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- Profase: il DNA si spiralizza, si condensa e comincia ad assumere l’aspetto di corpuscoli visibili al
microscopio ottico. La membrana nucleare si dissolve e i nucleoli diventano poco visibili.
Contemporaneamente, nel citoplasma, i due centrosomi, ognuno contenente una coppia di centrioli,
iniziano a migrare verso i due poli opposti della cellula, dando origine al fuso mitotico, un insieme di
fibre costituite da microtubuli che attraversa tutta la cellula e collega le due coppie. Dai centrioli si
dirama anche un insieme di corti microtubuli disposti a raggiera, che formano l’aster.
- Metafase: i cromosomi, condensati al massimo, si allineano sul piano equatoriale della cellula
originando la piastra metafasica dopo aver aderito alle fibre del fuso per mezzo dei cinetocori,
strutture proteiche presenti nel centromero.
- Anafase: i centromeri si dividono in due e i due cromatidi fratelli di ogni cromosoma si separano,
migrando verso i poli opposti della cellula grazie all’accorciamento delle fibre del muso mitotico.
- Telofase: il fuso gradualmente scompare. I cromatidi, ormai divenuti i nuovi cromosomi delle due
cellule figlie, gradualmente si despiralizzano, riassumendo la forma distesa tipica dell’interfase; attorno
a essi si riforma la membrana nucleare e ricompare il nucleolo.
La citodieresi, cioè la divisione del citoplasma, si svolge con modalità
diverse nelle cellule animali e in quelle vegetali. Nel primo caso,
all’equatore della cellula si forma un solco che diventa sempre più
profondo fino a dividere in due parti uguali la cellula madre. Nelle
cellule vegetali, invece, il citoplasma viene diviso da un diaframma, la
piastra cellulare che si origina al centro della cellula, dalla fusione di
vescicole originate dal Golgi, e si estende fino a raggiungere la membrana.
5. Riproduzione asessuata
La mitosi è alla base dei meccanismi di riproduzione asessuata, detta anche agamica o vegetativa. In questi
individui la prole ha origine da un unico individuo, senza l’intervento e la fusione di cellule specializzate per la
riproduzione. Con la riproduzione asessuata, salvo l’insorgenza di mutazioni spontanee, la prole risulta
geneticamente identica alla madre. Essa interessa sia organismi unicellulari che pluricellulari e può avvenire
con diverse modalità, tra cui: scissione binaria, gemmazione e sporulazione.
- Scissione binaria: si verifica quando, dopo la mitosi, la cellula si divide semplicemente in due parti
uguali. In questo modo si riproducono organismi unicellulari, come il paramecio.
- Gemmazione: negli unicellulari, come il lievito, consiste in una mitosi seguita da una divisione ineguale
del citoplasma. La nuova cellula, più piccola, è destinata ad accrescersi successivamente. Si parla di
gemmazione anche per alcuni pluricellulari, come spugne e meduse, in cui sul genitore si formano delle
protuberanze che in seguito si staccano, dando origine a nuovi individue, identici a quelli di partenza.
- Sporulazione: formazione di particolari cellule riproduttive, le spore, in seguito a mitosi. Queste spore
sono dotate di una spessa parete che permette loro di resistere in condizioni ambientali avverse, per
poi generare un nuovo individuo quando l’ambiente diventa favorevole.
6. Riproduzione sessuata
La riproduzione sessuata, detta anche gamica o anfigonica, prevede la partecipazione di cellule specializzare
per questa funzione, i gameti (cellule germinali), prodotti generalmente da due individui di sesso diverso,
ognuno dei quali, con i propri cromosomi, contribuisce alla formazione del corredo genetico della progenie. La
riproduzione ha luogo quando il gamete maschile si fonde con quello femminile; dalla fusione dei due gameti,
detta fecondazione, ha origine una cellula, lo zigote, che rappresenta la prima cellula del nuovo organismo, da
cui si formerà l’individuo adulto, attraverso una serie di divisioni mitotiche successive. Poiché la fusione dei
gameti implica l’unione di corredi cromosomi di origine materna e paterna, la riproduzione sessuata comporta
il rimescolamento di materiale genetico diverso. Per questo gli individui figli sono diversi dai loro genitori e
diversi tra loro. A differenza della riproduzione asessuata, quella sessuata consente perciò di ottenere un
aumento della variabilità genetica.
- Cellula aploidi e diploidi
Dato che lo zigote ha origine dalla fusione di due cellule, queste devono avere patrimonio genetico dimezzato. I
gameti, infatti, si differenziamo dalle cellule somatiche per il numero di cromosomi:
o le cellule somatiche sono diploidi, cioè possiedono una doppia serie di cromosomi: ogni
cromosoma è presente in due copie che costituiscono una coppia di cromosomi omologhi, uno
di origine paterna e uno di origine materna. Questi sono cromosomi aventi la stessa forma, le
stesse dimensioni e la stessa sequenza di geni. Sigla: 2n.

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o i gameti sono aploidi, cioè possiedono un’unica serie di cromosomi: contengono cioè un solo
cromosoma di ogni coppia. Sigla: n.
Il meccanismo che permette la riduzione del numero di cromosomi è la meiosi che ha luogo nelle gonadi. Negli
animali le gonadi femminili sono le ovaie, quelle maschili sono i testicoli; nelle piante le gonadi femminili sono
gli ovari, quelli maschili sono gli stami.
La riproduzione sessuata avviene attraverso l’alternarsi della meiosi, che consente di produrre i gameti, e della
fecondazione, durante la quale i gameti si uniscono originando il nuovo individuo.
La partenogenesi è un tipo di riproduzione che richiede la formazione dei gameti, ma non la loro fusione. In
questo caso il nuovo individuo ha origine da una cellula uovo (gamete femminile) non fecondata, avviato da
stimoli meccanici e fisici, anziché dall’ingresso nell’uovo dello spermatozoo. Questo processo è tipico di diversi
invertebrati, come i fuchi delle api e alcuni rettili (sauri).
- Meiosi
Nelle gonadi sono contenute cellule specializzate diploidi, chiamate gametociti, che vanno incontro alla meiosi,
dando origine ai gameti aploidi. Il processo consiste in due divisioni cellulari successive che, a partire da una
cellula diploide, ne producono 4 aploidi. Le due divisioni sono simili a due mitosi, ma solo la prima è preceduta
dalla replicazione del DNA. Le 4 fasi della Meiosi I:
o Profase I: la cromatina si condensa e i cromosomi diventano corpuscoli distinti; si forma
l’apparato del fuso e scompaiono la membrana nucleare e i nucleoli. I due cromosomi
omologhi di ogni coppia si avvicinano e si appaiano; ogni coppia di omologhi appaiati risulta
formata da 4 cromatidi ed è perciò chiamata tetrade o sinapsi. Talvolta, tra i due omologhi di
una coppia si ha il fenomeno del crossing-over.
o Metafase I: le tetradi si allineano sul piano equatoriale della cellula e ogni coppia di cromosomi
omologhi si attacca a una fibra del fuso.
o Anafase I: i due cromosomi di ogni coppia si separano e si muovono verso i poli opposti della
cellula grazie all’accorciamento delle fibre del fuso. A questo punto, ognuno dei due è ancora
formato da due cromatidi fratelli uniti a livello del centromero.
o Telofase I: la cellula di partenza si divide in due cellule figlie, ciascuna contenente un numero
aploide di cromosomi.
I due prodotti della prima divisione meiotica non sono uguali al gametocito di partenza perché sono aploidi e
non sono uguali tra loro.

Tra la prima e la seconda divisione meiotica può esserci un breve periodi di riposo, interchinesi, durante il
quale i cromosomi si despiralizzano parzialmente, oppure la meiosi II può seguire immediatamente la meiosi I.
Ognuna delle due cellula figlie va incontro alla Meiosi II:
o Profase II: i centrioli migrano verso i poli opposti della cellula e si riforma l’apparato del fuso.
o Metafase II: i cromosomi si allineano sul piano equatoriale della cellula
o Anafase II: i cromatidi fratelli di ogni cromosoma si separano e si muovono verso i poli opposti
della cellula, diventando i nuovi cromosomi delle cellule figlie
o Telofase II: si formano due nuclei e si ha la citodieresi con la formazione di due cellule figlie.
La prima divisione meiotica è di tipo riduzionale, cioè accompagnata dal dimezzamento del numero di
cromosomi; la seconda è di tipo equazionale, cioè non si ha alcuna variazione del numero cromosomico.

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- Crossing-over
Durante la profase I, i cromatidi di due cromosomi omologhi possono subire il crossing-over,
cioè rompersi in punti corrispondenti, scambiandosi dei segmenti. Il punto di scambio è detto
chiasma ed è casuale. Il crossing-over avviene tra due cromatidi non fratelli di una coppia di
omologhi. I cromatidi della tetrade che partecipano allo scambio di segmenti corrispondenti,
sono detti ricombinanti, quelli che non si ricombinano sono detti parentali. In sintesi la
meiosi porta a: produzione dei gameti necessari per la riproduzione sessuata; dimezzamento
del numero dei cromosomi nei gameti; riassortimento tra cromosomi di origine paterna e
materna per produrre nuove combinazioni. Il crossing-over permette il rimescolamento tra
parti di cromosoma (ricombinazione) ed è un evento casuale.
Riproduzione asessuata Riproduzione sessuata
Avviene per mitosi, in assenza di fecondazione Avviene per meiosi e fecondazione
La prole di origina da un unico individuo La prole di origina da due individui
Non implica formazione di gameti Implica formazione di gameti
Non introduce variabilità genetica Introduce variabilità genetica
Genera individua geneticamente identici Genera individue geneticamente differenti
7. Mutazioni cromosomiche e genomiche
Le mutazioni sono alterazioni del patrimonio genetico che possono interessare un singolo gene, ma possono
anche consistere nell’alterazione della struttura di un cromosoma, mutazioni cromosomiche, o in una
variazione nel numero di cromosomi, mutazioni genomiche. Le mutazioni geniche sono dovute a errori nella
replicazione del DNA; le mutazioni cromosomiche e genomiche sono causate da errori nel corso della meiosi.
Le mutazioni cromosomiche sono dovute alla rottura di un cromosoma. Il frammento ottenuto può andare
perduto (delezione), attaccarsi al cromosoma omologo (duplicazione), a un cromosoma non omologo
(traslocazione) o riattaccarsi al cromosoma originale, ma dopo aver ruotato di 180° (inversione).
Le mutazioni genomiche comportano la perdita o l’acquisto di uno o più cromosomi, oppure una variazione
dell’intero corredo cromosomico, per cui ciascun cromosoma risulta rappresentato da più di due omologhi
(poliploidia). L’aneuploidia è la perdita o l’acquisto di uno o pochi cromosomi. Questa mutazione è dovuta a
una non disgiunzione, cioè a una mancata separazione di due cromosomi omologhi durante la meiosi I o di due
cromatidi fratelli durante la meiosi II. Il risultato sono dei gameti anormali: dei 4 gameti prodotti, 2 contengono
due copie di un cromosoma e 2 ne sono privi.
- Malattie dovute a mutazioni
Le mutazioni cromosomiche e genomiche spesso danno luogo a gravi patologie.
La sindrome di Down (trisomia 21) rappresenta un caso di aneuploidia: gli individui malati possiedono 3 copie
del cromosoma 21 e manifestano un ritardo nello sviluppo sia fisico che mentale. Questa sindrome può essere
provocata anche da una traslocazione di un frammento del cromosoma 21.
La sindrome di Edwards (trisomia 18) è caratterizzata da orecchie deformi, difetti cardiaci, spasticità e altri
danni, e porta di solito alla morte entro il primo anno di vita.
8. Gametogenesi
Il processo di formazione dei gameti è detto gametogenesi e avviene nelle gonadi. Negli animali i gameti
maschili sono gli spermatozoi, quelli femminili le cellule uovo (uova).
- Spermatogenesi
Nelle gonadi maschili gli spermatogoni (2n) si differenziano in spermatociti primari (2n)
che vanno incontro alla prima divisione meiotica, originando cellule aploidi di uguale
dimensione, gli spermatociti secondari (n). Questi vanno incontro alla seconda divisione
meiotica producendo cellule aploidi, gli spermatidi, che matureranno in spermatozoi.
- Ovogenesi
Nelle gonadi femminili gli ovogoni (2n) si differenziano in ovociti primari (2n) che vanno
incontro alla prima divisione meiotica con produzione di due cellule aploidi di
dimensioni diverse: un ovocita secondario e una piccola cellula nota come globulo
polare. Quest’ultimo può andare incontro a una seconda divisione, formando due nuovi
globuli polari, oppure degenerare e morire; l’ovocita secondario, se si verifica la
fecondazione, va incontro alla seconda divisione meiotica, producendo una cellula uovo
e un altro piccolo globulo polare.

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Ereditarietà
Ogni essere vivente possiede un programma genetico, cioè un insieme di istruzioni che specificano le sue
caratteristiche e dirigono le sue attività metaboliche. Questo insieme di istruzioni costituisce l’informazione
biologica, che è ereditaria ed è trasferita da una generazione all’altra attraverso la riproduzione. Le
caratteristiche trasmesse attraverso l’informazione biologica con la riproduzione sono dette caratteri ereditari.
L’ereditarietà, cioè il complesso delle modalità di trasmissione dei caratteri ereditari dagli individui di una
generazione ai loro discendenti, è l’oggetto di studio della genetica. L’informazione biologica è organizzata in
unità fondamentali, dette geni, ciascuna delle quali interviene nella determinazione di un carattere ed è
ereditata dai genitori. Le diverse forme di uno stesso gene sono dette alleli. La combinazione degli alleli di un
individuo è detta genotipo, mentre il fenotipo è l’insieme delle caratteristiche che si manifestano in un
individuo, determinate dal suo genotipo e dall’ambiente. Con il termine genoma si indica il corredo completo di
informazione di un organismo, e il DNA che lo contiene fisicamente.
1. Genetica mendeliana
Le regole fondamentali che governano la trasmissione dei caratteri ereditari furono scoperte da Mendel tra il
1854 e il 1864. Egli utilizzo il seguente procedimento sperimentale: scelse come materiale sperimentale le
piante di pisello, facili da coltivare e si riproducono velocemente; pose l’attenzione su 7 coppie di caratteri
unitari, cioè caratteri che si presentavano solo con due forme alternative; selezionò delle linee pure, cioè
piante che per autofecondazione davano origine sempre a piante con lo stesso carattere; incrociò piante di
linea pura che differivano solo per un carattere (incrocio monoibrido) o per due caratteri (incrocio diibrido);
effettuò un’analisi numerica dei risultati.
- Incrocio monoibrido
Incrociò piante di linea pura che differivano per un singolo carattere, chiamate generazione parentale (P). Gli
individui della progenie, la prima generazione filiale (F1), avevano tutti lo stesso fenotipo, uguale a quello di
uno solo dei due genitori, mentre l’altro fenotipo parentale sembrava scomparso. Egli definì dominante il
carattere che si manifestava nella F1 e recessivo quello che non si manifestava.
Sottoponendo poi ad autofecondazione gli individui della F1, la progenie, chiamata seconda generazione filiale
(F2), risultava composta sia da piante portatrici dell’uno sia da piante portatrici dell’altro carattere parentale. I
due caratteri si manifestavano secondo un rapporto numerico preciso:
- ¾ presentava il carattere dominante (seme giallo)
- ¼ presentava il carattere recessivo (seme verde)
La prima legge di Mendel, nota come legge della dominanza, afferma che, incrociando due linee pure
differenti per un carattere ereditario, tutti i figli (F1) sono uguali tra loro e mostrano il carattere di uno dei due
genitori, quello dominante.
- Ipotesi di Mendel
Per spiegare i risultati ottenuti Mendel avanzò alcune ipotesi: ogni carattere è determinato da un gene,
trasmesso dai genitori ai discendenti attraverso i gameti con la riproduzione; i geni esistono in forme
alternativa (alleli); un organismo possiede due alleli di ogni gene per ogni carattere ereditario e ogni allele
deriva da uno dei due genitori; i due alleli di un gene si separano durante la meiosi, così come i gameti
possiedono un solo allele per ogni carattere.
La seconda legge di Mendel, legge della segregazione, afferma che ogni individuo possiede due copie di ogni
fattore e che esse si separano (segregano) durante la formazione dei gameti.
Gli individuo che possiedono due alleli uguali per un dato carattere sono detti omozigoti, mentre quelli con due
alleli diversi sono detti eterozigoti. L’allele dominante si manifesta a livello fenotipico sia nell’individuo
omozigote dominante, sia nell’eterozigote; quello recessivo di manifesta solo nell’omozigote recessivo.
Due alleli dello stesso gene si indicano con la stessa lettera: maiuscola per l’allele dominante (Y), minuscola per
quello recessivo (y). Sono quindi possibili tre genotipo diversi, corrispondenti a due fenotipi:
o Genotipo omozigote dominante (YY) → fenotipo dominante (seme giallo)
o Genotipo eterozigote (Yy) → fenotipo dominante (seme giallo)
o Genotipo omozigote recessivo (yy) → fenotipo recessivo (seme verde)
Le possibili combinazioni genotipiche degli individui della
F2, ottenuti dall’autofecondazione degli individui della F1,
si possono prevedere costruendo il quadrato di Punnett.

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- Incrocio diibrido
Mendel eseguì anche un incrocio tra piante di linea pura che differivano per due
caratteri: seme liscio/verde e liscio/rugoso. Le piante a seme liscio e giallo hanno
genotipo omozigote dominante (RRYY), mentre quelle a sere rugoso e verde hanno
genotipo omozigote recessivo (rryy). In questo caso le piante della F1 mostravano
entrambi i caratteri controllati dagli alleli dominanti, cioè seme liscio e giallo. Si tratta di
piante con genotipo eterozigote (RrYy) e con lo stesso fenotipo. Incrociando le piante
della F1 ricomparivano gli alleli recessivi, ma oltre a ricomparire i fenotipi parentali
comparivano i fenotipi ricombinanti, cioè semi gialli e rugosi e semi verdi e lisci. Questo
accade perché i fattori ereditari si distribuiscono ai diversi gameti in modo indipendente
gli uni dagli altri; si possono così ottenere 4 possibili combinazioni alleliche.
La terza legge di Mendel, nota come legge dell’assortimento indipendente, afferma che
incrociando individui di linea pura differenti per due caratteri, nella F2 tali caratteri si
assortiscono indipendentemente gli uni dagli altri durante la formazione dei gameti,
combinandosi secondo le leggi del caso.
Le legge dell’assortimento indipendente riflette le modalità con cui i cromosomi si
distribuiscono alle cellule figlie, nel corso della meiosi.
- Reincrocio
Un individuo con fenotipo recessivo ha sicuramente genotipo omozigote recessivo, invece se un
individuo ha fenotipo dominante, il suo genotipo può essere sia omozigote che eterozigote. Il
genotipo di un individuo con fenotipo dominante si può determinare effettuando un reincrocio,
detto anche test-cross o back-cross. Questa prova consiste nell’incrociare l’individuo a genotipo
sconosciuto con uno a fenotipo recessivo, il cui genotipo è sicuramente omozigote recessivo.
Se l’individuo a fenotipo dominante è omozigote, la progenie della F1 avrà tutta genotipo eterozigote
e quindi fenotipo dominante.
Se l’individuo a fenotipo dominante è eterozigote, la progenie della F1 sarà costituita da individui per
metà a fenotipo dominante e per metà a fenotipo recessivo, con genotipo omozigote recessivo.
2. Dominanza incompleta, codominanza e altri fenomeni ereditari complessi
La trasmissione dei caratteri ereditari avviene spesso in modo più complesso di quanto previsto dalle regole
formulate da Mendel. Di seguito sono riportati alcuni esempi che non seguono le leggi di Mendel.
- Dominanza incompleta
Fenomeno per cui, dati due alleli di un gene, nessuno dei due domina sull’altro. In questo
caso, la prima legge di Mendel non è rispettata perché gli individui della F1 (eterozigoti)
hanno fenotipo diverso, spesso intermedio, rispetto a quello di ciascuno dei genitori.
Esempio: incrociando piante di Bocca di leone a fiore rosso e piante a fiore bianco, gli
individui della F1 hanno fiore rosa. Reincrociando tra loro gli individui della F1, la F2
presenterà tre classi fenotipiche in rapporto 1:2:1, anziché due in rapporto 3:1. Nel caso
della Bocca di leone, ¼ fiore rosso, 2/4 fiore rosa e ¼ fiore bianco.
- Codominanza
Si ha quando in un eterozigote, i due alleli di un gene si esprimono entrambi. Questo accade per esempio nel
caso degli antigeni che distinguono i gruppi sanguigni del sistema AB0.
- Alleli multipli
I caratteri scelti da Mendel si presentavano soltanto in due forme alleliche. Vi sono però molti geni che hanno
più di due forme alleliche: si parla in tal caso di allelia multipla. Esempio: gene responsabile dei gruppi
sanguigni umani del sistema AB0, presente con tre alleli diversi (IA, IB, I0), la cui combinazione determina i
gruppi sanguigni A, B, AB, 0.
- Pleiotropia
Fenomeno in base al quale un singolo gene determina effetti fenotipici multipli. I geni che controllano la
produzione degli ormoni hanno spesso questo comportamento, perché ogni ormone generalmente esercita
molteplici effetti sull’organismo.
- Epistasi
Fenomeno di interazione fra geni diversi per cui l’azione di un gene interferisce con l’espressione degli altri
geni. Esempio: sordità congenita dell’uomo, condizione controllata dagli alleli recessivi di due geni, che si
manifesta quando uno dei due è presente in forma omozigote.

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- Geni concatenati
La terza legge di Mendel è valida a patto che i due geni siano situati su cromosomi diversi; i geni che si trovano
sullo stesso cromosoma, invece, detti geni concatenati (associati o linked), vengono di solito ereditati insieme.
Ciò significa che un eterozigote per due geni concatenati A e B (genotipo AaBb) non produce 4 tipi di gameti in
uguale quantità, ma solo 2, per esempio AB e ab. Gli alleli di due geni concatenati possono essere separati solo
se tra di essi si verifica un crossing-over. Il grado di concatenazione dipende dalla distanza fisica tra i due geni:
quanto è maggiore la distanza, tanto maggiore è la probabilità che un evento di crossing-over li separi e, di
conseguenza, la loro frequenza di ricombinazione.
- Caratteri quantitativi
Molti caratteri si manifestano con una grande varietà di fenotipi, non classificabili con precisione in poche classi
distinte. Questi caratteri presentano una variabilità continua e sono detti caratteri quantitativi. Nell’uomo, per
esempio, sono la statura, la lunghezza del piede. La variabilità continua di questi caratteri è dovuta al fatto che
si tratta di caratteri poligenici, cioè caratteri controllati da molti geni, che agiscono in maniera cumulativa. Il
fenotipo è in questo caso il risultato della somma degli effetti dei singoli geni.
- Genotipo e fenotipo
L’informazione genetica (genotipo) non definisce in modo deterministico le caratteristiche di un organismo. Si
può dire invece che ciò che si manifesta nell’organismo (fenotipo) risulta dall’interazione fra genotipo e
condizioni ambientali. Esempio: statura e struttura corporea dipendono solo in parte dall’informazione
genetica, infatti sono largamente influenzate da variabili ambientali come alimentazione, attività fisica.
3. Teoria cromosomica dell’eredità
Nei primi anni del Novecento, dopo che i progressi delle tecniche di microscopia avevano permesso di
osservare il comportamento dei cromosomi durante la mitosi e la meiosi, Sutton e Boveri misero in evidenzia
l’analogia di comportamento tra i fattori ipotizzati da Mendel e i cromosomi omologhi, osservati durante le
meiosi. L’ipotesi che le due copie di ogni fattore (i due alleli di un gene) si separassero durante la formazione
dei gameti, trovava riscontro nel fatto che i due cromosomi di una coppia di omologhi si separano durante
l’anafase della meiosi I. Sulla base di questa analogia, i due studiosi formularono la teoria cromosomica
dell’eredità (1903). Secondo questa teoria i geni sono particelle materiali localizzate sui cromosomi. La
posizione di un gene su un cromosoma è indicata come locus genico. I cromosomi sono la sede dei geni, ma
non sono geni essi stessi. Ogni cromosoma contiene infatti molti geni. I principi della genetica mendeliana
riflettono la disposizione lineare dei geni sui cromosomi.
- I cromosomi umani
Nelle cellule diploidi, i cromosomi sono assortiti in coppie; di queste, una differisce nel maschio e nella
femmina. Questa coppia di cromosomi, detti cromosomi sessuali (eterocromosomi), è formata da due
cromosomi che sono in genere uguali nella femmina e diversi nel maschio. Tutti gli altri cromosomi di un
individuo sono detti autosomi. Le cellule somatiche umane (diploidi) contengono 46 cromosomi, 23 coppie: 22
coppie di autosomi e 1 coppia di cromosomi sessuali. Le femmine possiedono due cromosomi X (XX), mentre i
maschi hanno un cromosoma X e un cromosoma Y (XY). I gameti, essendo aploidi, contengono invece 23
cromosomi: 22 autosomi e 1 cromosoma sessuale. Le cellule uovo contengono un cromosoma X, gli
spermatozoi contengono un cromosoma X oppure un cromosoma Y.
Il cariotipo è l’immagine della totalità dei cromosomi di una specie, o di un individuo, ordinati in base alla
lunghezza e alla posizione del centromero. Nel cariotipo delle cellule diploidi i cromosomi sono disposti in
coppie di omologhi. Per analizzare il cariotipo occorre isolare i cromosomi durante la metafase, quando si
vedono in modo più chiaro. Successivamente vengono colorati e la loro immagine viene analizzata da un
elaboratore elettronico che individua le coppie di omologhi in base a dimensione e bandeggiature colorate.
Queste coppie sono ordinate secondo una specifica numerazione e in tal modo è possibile individuare anomalie
nel numero e nella forma. Durante la gravidanza è possibile studiare il cariotipo del nascituro effettuando un
prelievo di cellule dei villi coriali (villocentesi) o cellule fetali presenti nel liquido amniotico (amniocentesi).
- Determinazione del sesso nell’uomo
Il sesso di un individuo dipende da quale dei due cromosomi sessuali è contenuto nello
spermatozoo al momento della fecondazione. Probabilità: 50% sesso femminile; 50%
sesso maschile. In tutte le cellule dei mammiferi di sesso femminile, a partire dal 16°
giorno della fecondazione, uno dei due cromosomi X viene inattivato ed è visibile in
interfase come un corpuscolo detto corpo di Barr.

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o Anomalie del numero dei cromosomi sessuali
Nell’uomo sono note sindromi dovute alla presenza di cromosomi sessuali in numero diverso dal normale.
Sindrome di Turner: colpisce gli individui dotati di un solo cromosoma X (cariotipo 45, X0). Hanno sesso
femminile, ma sono sterili. Queste sono caratterizzate da bassa statura e a volte presentano ritardo mentale.
Sindrome di Klinefelter: colpisce gli individui con genotipo XXY. Questi sono maschi sterili che presentano
testicoli particolarmente piccoli e a volte deficit mentali.
Sindrome di Jacobs: è dovuta a un cromosoma Y in più (cariotipo 47, XYY). Alcuni di questi individui sono
caratterizzati da altezza superiore alla media, lieve ritardo mentale e in alcuni casi problemi vascolari.
Queste sindromi non interessano solo la sfera sessuale, ma hanno anche ripercussioni sullo sviluppo del SN.
- Verifica sperimentale della teoria cromosomica
I caratteri determinati d geni localizzati sui cromosomi sessuali sono detti caratteri legati al sesso. Lo studio
della loro trasmissione ha permesso a Morgan di dimostrare sperimentalmente la validità della teoria
cromosomica. Egli individuò nel moscerino della frutta un carattere, il colore dell’occhio, che si trasmetteva
diversamente a seconda del sesso. Normalmente, l’occhio è rosso scuro (dominante), ma a causa di una
mutazione può essere anche di colore bianco (recessivo).
Morgan incrociò femmine a occhi bianchi (XX) con maschi a occhi rossi (XY), osservando che il carattere non si
trasmetteva secondo le regole mendeliane. Nella F1, infatti, tutte le femmine erano a occhi rossi (XX) e tutti i
maschi a occhi bianchi (XY). Nella F2, invece, c’era il 25% di ciascuna classe fenotipica (XX, XX, XY, XY).
Morgan effettuò l’incrocio anche tra maschi a occhi bianchi (XY) e femmine a occhi rossi (XX), ottenendo
risultati ancora in disaccordo con le leggi di Mendel. Tutti gli individui della F1 hanno gli occhi rossi (XX, XY),
mentre nella F2 tutte le femmine hanno gli occhi rossi (XX, XX), il 50% dei maschi ha gli occhi rossi (XY) e l’altro
50% dei maschi ha gli occhi bianchi (XY). [X = cromosoma mutato, allele occhio bianco; X = cromosoma
normale, allele occhio rosso]. L’unica spiegazione plausibile di questi risultati è che il carattere colore
dell’occhio sia determinato da un gene localizzato sul cromosoma X.
- Eredità legata al sesso
Quando si parla di eredità legata al sesso ci si riferisce alla trasmissione di tutti i caratteri controllati dai geni
situati sui cromosomi sessuali. L’ereditarietà di questi caratteri segue regole particolari in quando dipende dal
sesso della progenie che si sta considerando. Nell’uomo i caratteri legati al cromosoma Y: possono essere
ereditati solo per via paterna; sono presenti solo in individui maschi e non sono mai trasmessi alla progenie
femminile; sono sempre trasmessi a tutti gli individui della progenie maschile; si manifestano sempre a livello
fenotipico. I caratteri legati al cromosoma X, invece: possono essere ereditati sia per via paterna (sono
trasmessi a tutte le figlie femmine e a nessun figlio maschio) che per via materna (da madre eterozigote; sono
trasmetti al 50% dei figli a prescindere dal loro sesso); sono presenti sia negli individui maschi che nelle
femmine; nei maschi si manifestano sempre a livello fenotipico, poiché un maschio possiede un solo allele di un
gene situato sul cromosoma X; nelle femmine, per valutare il fenotipo risultante, è necessario considerare se
l’allele in questione sia dominante o recessivo rispetto all’allele portato dall’altro cromosoma X.
4. Malattie genetiche
- Malattie legate al sesso
Si indicano con questo termine le malattie provocate da geni localizzati sui cromosomi sessuali.
Emofilia: anomali nel meccanismo di coagulazione del sangue che provoca sanguinamento prolungato delle
ferite. Si conoscono due forme principali di emofilia (A e B) dovute agli alleli recessivi di due geni localizzati sul
cromosoma X che controllano due diverse tappe del meccanismo di coagulazione del sangue. Dato che l’allele
responsabile della malattia è recessivo, nel sesso femminile l’emofilia si manifesta nella condizione omozigote
recessiva (molto raro), mentre nei maschi il cui cromosoma X porta quell’allele si manifesta sempre.
Daltonismo: dovuto a un’alterazione delle strutture fotosensibili della retina. La forma principale della malattia
prevede l’incapacità di distinguere il rosso dal verde. Anche il daltonismo è legato a un gene localizzato sul
cromosoma X, quindi si manifesta soprattutto nei maschi. Allele responsabile: recessivo.
La maggior parte delle malattie legate al sesso sono controllate da geni situati sul cromosoma X; questo è
dovuto anche al fatto che il cromosoma Y è molto più piccolo e contiene meno geni.
- Malattie autosomiche
Sono malattie dovute a geni localizzati sugli autosomi. Quelle dovute a un gene dominante si manifestano sia
nell’individuo omozigote dominante che nell’eterozigote; quelle dovute a un gene recessivo si manifestano
invece solo nell’individuo omozigote recessivo, mentre l’eterozigote è portatore sano.

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o Malattie autosomiche dominanti
Acondroplasia: malattia genetica dominante che interessa l’apparato osteoarticolare e determina precoce
ossificazione delle cartilagini di accrescimento. Le ossa rimangono corte e la struttura corporea è quella tipica
del nanismo. Non è noto il meccanismo responsabile di questa disfunzione e non ci conoscono cure.
Corea di Huntington: malattia ereditaria dominante che si manifesta tra i 35-50 anni. Consiste nella
degenerazione progressiva dei gangli della base, centri encefalici coinvolti nella coordinazione dei movimenti.
Sintomi caratteristici sono movimenti a scatto degli arti e del volto; la malattia progredisce fino alla perdita
della capacità di deambulare.
Brachidattilia: insieme di malformazioni delle dita di mani e piedi che sono trasmesse da un allele dominante.
o Malattia autosomiche recessive
Albinismo: malattia genetica recessiva caratterizzata dall’incapacità di sintetizzare la melanina e di
conseguenza da cute, peli, capelli e iridi privi di pigmenti.
Alcaptonuria: malattia genetica recessiva che interessa il metabolismo dell’amminoacido tirosina; fra i sintomi
si riscontra l’artrite della spina dorsale o delle grandi articolazioni e la produzione di urine scure.
Fenilchetonuria: malattia ereditaria recessiva caratterizzata dall’assenza dell’enzima fenilalanina-ossidasi. In
questa condizione l’amminoacido fenilalanina, non utilizzato per la sintesi della proteina, si accumula nel
circolo sanguigno provocando a lungo andare ritardo mentale. Per evitare queste gravi conseguenze è
necessario che la malattia venga diagnosticata molto precocemente e che il bambino segua una dieta a basso
contenuto di fenilalanina, in modo da evitarne l’accumulo.
Galattosemia: malattia ereditaria recessiva caratterizzata dall’assenza di un enzima necessario per la
trasformazione del galattosio in glucosio. Così il galattosio si accumula nel fegato e nei globuli rossi, e le
conseguenze sono un grave stato di malnutrizione, ingrossamento del fegato e ritardo mentale. La prevenzione
si basa sulla diagnosi precoce della malattia e sulla somministrazione di una dieta povera di galattosio.
Fibrosi cistica: malattia genetica autosomica recessiva, causata da una mutazione di un gene che codifica per
una proteina coinvolta nel trasporto di cloro e sodio (→ di acqua) attraverso le membrane cellulari. Questa
anomalia ha come conseguenza, nelle ghiandole esocrine, la secrezione di muco denso e vischioso, causando
ostruzione dei dotti ghiandolari. Fra le manifestazioni cliniche tipiche, causate da questa alterazione delle
ghiandole esocrine, si ricordano infezioni polmonari ricorrenti, insufficienza epatica e cirrosi epatica.
- Analisi del pedigree
Il pedigree (albero genealogico) è la rappresentazione schematica del modo in cui una malattia compare in una
famiglia. Dall’analisi di questo si può stabilire se una certa malattia è legata ai cromosomi sessuali oppure
autosomica, se si tratta di un carattere dominante oppure recessivo; si possono ricostruire i genotipi degli
individui considerati per stabilire quali sono i portatori sani e quali le probabilità, per un certo individuo, di
avere figli affetti dalla malattia in esame.
Per analizzare un albero genealogico bisogna è importante tenere presenti alcune regole:
- Un carattere autosomico si manifesta con ugual frequenza in entrambi
i sessi, mentre un carattere portato dai cromosomi sessuali compare
con frequenza diversa nei maschi e nelle femmine;
- Un carattere autosomico dominante si manifesta in tutte le
generazioni e ogni individuo affetto ha un genitore affetto; un figlio
generato dall’incrocio fra un individuo sano e un individuo affetto
eterozigote ha una probabilità del 50% di essere affetto;
- Un carattere autosomico recessivo non si manifesta in tutte le
generazioni; gli individui affetti hanno generalmente genitori sani
eterozigoti (portatori sani).
Il pedigree viene realizzato utilizzando simboli specifici per i maschi e per le
femmine, sani oppure affetti.

5. Gruppi sanguigni umani


La distinzione tra i diversi gruppi sanguigni è basata sulla presenza di antigeni sulla membrana cellulare dei
globuli rossi e sulla presenza dei corrispondenti anticorpi nel plasma sanguigno. Gli anticorpi sono proteine
circolanti prodotte da alcuni globuli bianchi (linfociti), in grado di legare in modo specifico molecole estranee
all’organismo (antigeni), neutralizzandole. Gli antigeni sono molecole, in genere proteine, in grado di indurre la
produzione di anticorpo in un sistema immunitario estraneo. I più importanti gruppi sanguigni umani sono
quelli del sistema AB0 e del sistema Rh.

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- Sistema AB0
Considera la presenza/assenza, sulla membrana dei globuli rossi, degli antigeni A e B, e la corrispondente
presenza/assenza nel plasma di anticorpi contro gli antigeni A e B. Gruppi sanguigni 0, A, B e AB.
Gruppo Antigeni Anticorpi nel plasma
A A Anti-B
B B Anti-A
AB AeB /
0 / Anti-A e Anti-B
In occasione di trasfusioni di sangue, l’incompatibilità tra gruppi sanguigni dipende dal fatto che gli anticorpi
prodotti da un individuo di un gruppo sono in grado di riconoscere gli antigeni di un individuo di un altro
gruppo, provocando di conseguenza l’agglutinazione e la lisi dei globuli rossi del sangue donato.
Un individuo di gruppo AB è un accettore universale perché avendo sui globuli rossi sia l’antigene A che
l’antigene B non possiede alcun anticorpo contro questi antigeni.
Un individuo di gruppo 0 è un donatore universale perché non possiede alcun antigene sui globuli rossi. Dato
però che possiede gli anticorpi contro gli antigeni A e B, può ricevere sangue solo dagli individui 0.
o Determinazione genetica del sistema AB0
La presenza degli antigeni A e B sui globuli rossi umano è determinata da un sistema di tre alleli (IA, IB, I0):
l’allele IA codifica per l’antigene A; l’allele IB codifica per l’antigene B; l’allele I0 non codifica alcun antigene.
Gli alleli IA e IB sono dominanti rispetto a I0 e codominanti tra loro.
Dato che IA e IB presentano codominanza, negli eterozigoti (IAIB) i due alleli si manifestano entrambi, codificando
per il rispettivo antigene. Quindi, il gruppo sanguigno AB è determinato dal genotipo IAIB.
Gruppo Genotipi possibili
0 I0I0
A I I / IAI0
A A

B IBIB / IBI0
AB IAIB
- Sistema Rh
In questo sistema vengono distinti due gruppi, Rh+ e Rh-, in base alla presenza o meno sui globuli rossi
dell’antigene Rh. Il gruppo è determinato dalla combinazione di due alleli dello stesso gene: D (dominante) e d
(recessivo). Quindi, un individuo di genotipo DD oppure Dd possiede l’antigene Rh e non produce anticorpi
anti-Rh; un individuo di genotipo dd non possiede l’antigene Rh e produce anticorpi anti-Rh.
Casi a rischio: madri Rh-, in cui la presenza di un eventuale feto Rh+ provoca la produzione di anticorpi anti-Rh
che, entrando in contatto con i globuli rossi fetali attraverso la placenta, possono determinare emolisi
(distruzione dei globuli rossi). Questo fenomeno, detto eritroblastosi fetale, è in genere poco importante alla
prima gravidanza, perché la produzione di anticorpi è contenuto; può invece causate danni gravissimi al feto in
una eventuale seconda gravidanza, perché la produzione di anticorpi è molto più massiccia.

Genetica molecolare
La genetica molecola indaga i meccanismi chimici che permettono l’espressione delle informazioni genetiche in
un individuo e la trasmissione dei caratteri ereditari da un individuo ai propri discendenti. L’unità base
dell’eredità è rappresentata dal gene, che in questo contesto può essere definito come il tratto di DNA
responsabile della determinazione di un dato carattere.
1. Il DNA
Agli inizi degli anni ’40, era noto che i geni determinano i caratteri ereditari e che sono localizzati sui
cromosomi, ma non se ne conosceva l’esatta natura chimica. Si sapeva che i cromosomi sono costituiti da DNA
e proteine quindi, il depositario dell’informazione biologica doveva essere una di queste due molecole.
1944: Avery, MacLeod e McCarty dimostrarono che il depositario dell’informazione genetica era il DNA
1949: Chargaff evidenzia le 4 basi azotate e scoprì che la quantità di adenina = quantità timina (AT / CG)
1952: Hershey e Chase, utilizzando i batteriofagi, dimostrarono che il DNA è coinvolto nella replicazione virale
1952: Franklin produce un’immagine di diffrazione ai raggi X del DNA
1953: Watson e Crick individuano la struttura tridimensionale del DNA e propongono il modello a doppia elica
1958: Meselson e Stahl dimostrano che la replicazione del DNA è semiconservativa
1962: Watson, Crick e Wilkins ricevono il premio Nobel per la medicina grazie alle scoperte sugli acidi nucleici
1969: Hershey riceve il premio Nobel per la scoperta del meccanismo di replicazione dei virus.

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- Nucleotidi
Un nucleotide è formato da una base eterociclica azotata legata a uno zucchero
pentoso (ribosio nell’RNA / 2-desossiribosio nel DNA), legato a sua volta a una
molecola di acido fosforico. Le basi azotate si dividono in due gruppi: pirimidine
(citosina, timina e uracile) e purine (adenina e guanina).
- Struttura del DNA
Il DNA è un acido nucleico ed è quindi un polimero lineare di nucleotidi, in cui
possono essere presenti 4 diverse basi azotate: adenina, guanina, citosina e timina.
Secondo il modello a doppia elica di Watson e Crick, la molecola di DNA è costituita da
due filamenti polinucleotidici avvolti a elica intorno a un asse centrale. Ogni filamento
è formato da uno scheletro di molecole di zucchero e gruppi fosfato alternati. A ogni
molecola di zucchero è legata una base azotata, quindi le basi sporgono lateralmente
dai filamenti polinucleotidici. I due filamenti sono uniti da legami a idrogeno tra le
base azotate. Le basi azotate non si appaiano in modo casuale: la distanza tra i due
filamenti nella doppia elica è costante, l’appaiamento, quindi, ha luogo
necessariamente tra una purina (formata da due anelli) e una pirimidina (formata da
un solo anello). Le basi appaiate sono dette complementari: A-T mediante 2 legami a
idrogeno; G-C mediante 3 legami a idrogeno. La struttura del DNA è quindi paragonabile a una scala a
chiocciola. La distanza tra una coppia di basi e la successiva è di 3,4 Å e ogni giro completo dell’elica comprende
10 coppie di basi. Ogni filamento ha un’estremità 5’ e un’estremità 3’. Poiché nella doppia elica l’estremità 3’
di un filamento fronteggia l’estremità 5’ di quello complementare, i due filamenti sono detti antiparalleli.
- Replicazione del DNA
Per poter essere trasmesso ai discendenti, il materiale genico, cioè il DNA, deve essere in grado di duplicarsi. Il
processo di duplicazione del DNA ha luogo prima che una cellula si divida ed è chiamato replicazione. Al
momento della replicazione, i due filamenti della doppia elica si separano grazie alla rottura dei legami a
idrogeno tra le basi appaiate. Ciascun filamento può così funzionare come stampo per la sintesi di un nuovo
filamento a esso complementare, utilizzando i desossiribonucleotidi liberi nella cellula.
Gli esperimenti di Meselson e Stahl dimostrarono che la replicazione del DNA è semiconservativa, cioè che
ognuna delle due molecole figlie di DNA è costituita da un filamento del DNA parentale (conservato) e da un
filamento sintetizzato ex novo.
L’intero processo richiede energia e molti enzimi.
Un enzima, la DNA-elicasi, e particolari proteine
sono necessari per srotolare la doppia elica nel
punto di origine della replicazione, detto forcella
di replicazione. La sintesi del nuovo filamento è
catalizzata invece da un gruppo di enzimi noti
come DNA polimerasi. Nei procarioti vi è un unico
punto di origine della replicazione e il processo
avviene nel citoplasma. Negli eucarioti la
replicazione ha luogo nel nucleo e vi sono diversi
punti di origine in ogni cromosoma.
La DNA polimerasi non può sintetizzare direttamente un nuovo filamento di DNA sul filamento parentale, ma
ha bisogno di un primer, cioè un breve tratto a doppia elica, da cui iniziare la propria sintesi. Questo è
permesso dalla sintesi di un breve filamento di RNA. La replicazione procede sempre in direzione 5’ → 3’ e
questo ha una conseguenza importante: uno dei due filamenti, detto filamento guida (leading strand o
filamento anticipato), può essere sintetizzato in maniera continua, utilizzando un unico innesco, mentre l’altro
filamento, detto filamento lento (lagging strand o filamento ritardato), deve essere sintetizzato in direzione
opposta sotto forma di piccoli frammenti discontinui, chiamati frammenti di Okazaki, uniti successivamente.
Oltre ad aggiungere nuovi nucleotidi alla catena in crescita (funzione polimerasica), la DNA polimerasi è in
grado di individuare l’eventuale aggiunta di un nucleotide sbagliato al filamento in costruzione. In caso di
errore, l’enzima inverte la sua direzione di marcia rimuovendo i nucleotidi uno a uno fino ad arrivare al punto
del nucleotide sbagliato (funzione esonucleasica). Anche altri enzimi, chiamati nucleasi di restauro del DNA,
hanno il compito di eliminare eventuali errori rimasti dopo la replicazione: scorrendo lungo la doppia elica,
individuano i nucleotidi sbagliati e li sostituiscono con quelli corretti.

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- L’ipotesi un gene – un enzima
Una volta dimostrato che il DNA contiene tutte le informazioni necessarie per definire lo sviluppo e la fisiologia
di una cellula, restava da stabilire in che modo questa molecola svolgesse tale funzione. Sono stati effettuati
studi su microrganismo biochimicamente alterati in seguito a mutazioni. Con il termina mutazione si intende
un cambiamento nell’informazione genetica di un organismo e mutanti sono detti gli organismi che presentano
una mutazione. Studiando i mutanti della muffa del pane, Beadle e Tatum dimostrarono l’esistenza, per
ciascuna mutazione, di un corrispondente enzima funzionante in modo anomalo. Sulla base dei loro
esperimenti, nel 1941 formularono l’ipotesi “un gene – un enzima”, seconda la quale un determinato gene è
responsabile della sintesi di un determinato enzima, cioè codifica per quell’enzima. Questa espressione fu in
seguito modificata in “un gene – una proteina”, dal momento che non tutte le proteine, la cui sintesi è
controllata dal DNA, sono enzimi. Poiché ulteriori esperimenti mostrarono che le proteine sono spesso
costituite da due o più subunità, catene polipeptidiche, la formulazione originale venne corretta ancora una
volta nella forma “un gene – una catena polipeptidica”.
2. Dai geni alle proteine: il ruolo dell’RNA
Una volta individuata la relazione esistente tra i geni e le corrispondenti proteine prodotte dalla
cellula, restava da chiarire come un gene, contenuto nel nucleo e formato da una sequenza
costituita da solo 4 tipi di nucleotidi, potesse dar luogo a una catena polipeptidica, sintetizzata nel
citoplasma e costituita da una sequenza di 20 tipi di amminoacidi. Il passaggio dai geni alle proteine
è reso possibili dall’intervento dell’RNA, anch’esso formato da una sequenza lineare di nucleotidi.
Il messaggio contenuto in un gene viene copiato (trascritto) sotto forma di RNA, nel nucleo, in un processo
chiamato trascrizione. L’RNA si traferisce poi dal nucleo al citoplasma, dove il messaggio che esso trasporta
viene usato per sintetizzare una proteina (traduzione). Il flusso dell’informazione biologica va dunque sempre
dal DNA, all’RNA, alle proteine. Questa sequenza è stata definita dogma centrale della biologia molecolare.
Questo dogma ammette un’eccezione: l’enzima trascrittasi inversa, presente in alcuni virus a RNA, permette la
sintesi di un filamento di DNA a partire da una molecola di RNA.
- Struttura e funzione dell’RNA
L’RNA differisce dal DNA per alcune caratteristiche: lo zucchero pentoso è il ribosio, non il desossiribosio; è
costituito da un filamento singolo, non da una doppia elica; contiene sempre 4 basi azotate, ma al posto della
timina c’è l’uracile. Esistono 3 tipi diversi di RNA: RNA messaggero (mRNA) trasporta l’informazione genetica
dal DNA al citoplasma, dove vengono sintetizzate le proteine; RNA ribosomiale (rRNA) è un elemento
costitutivo dei ribosomi; RNA di trasporto (tRNA) trasporta gli amminoacidi liberi nel citoplasma ai ribosomi,
durante la sintesi proteina, e serve per tradurre l’informazione contenuta nella sequenza di nucleotidi
dell’mRNA in una sequenza di amminoacidi.
- Trascrizione
La trascrizione è il processo mediante il quale l’informazione contenuta in un gene viene copiata in
una molecola di mRNA. La sintesi dell’mRNA è catalizzata da un gruppo di enzimi, il più importante è
l’RNA polimerasi. Nel punto di attacco dell’enzima i due filamenti del tratto di DNA corrispondente a
un gene si aprono e uno di essi funziona da stampo per la sintesi di una molecola di mRNA a esso
complementare. L’RNA polimerasi si sposta lungo il filamento stampo di DNA aggiungendo via via
nuovi ribonucleotidi all’estremità 3’ del filamento di mRNA nascente, si dice infatti che la trascrizione
avviene in direzione 5’ → 3’. Per iniziare la sintesi, l’RNA polimerasi si lega a una sequenza specifica
sul DNA, detta promotore. Un’altra sequenza specifica, detta segnale di terminazione, indica il punto
di arresto della trascrizione. Nella trascrizione viene copiato solo uno dei due filamenti di DNA. Come
nella replicazione, il nuovo filamento di RNA sintetizzato è complementare, e non identico, al tratto
di DNA stampo da cui è stato copiato.
Nei procarioti la trascrizione avviene nel citoplasma e l’mRNA prodotto può essere utilizzato immediatamente
per la sintesi proteica. Negli eucarioti, invece, la trascrizione avviene nel nucleo e l’mRNA deve essere
modificato prima di migrare nel citoplasma. Quasi tutti i geni degli eucarioti, infatti, sono discontinui, sono cioè
formati da un’alternanza di sequenza codificanti, dette esoni, e
sequenze non codificanti, dette introni. Il DNA di un gene discontinuo
viene trascritto completamente, copiando sia gli esoni che gli introni
e formando un mRNA immaturo. Prima che l’mRNA lasci il nucleo, gli
introni vengono eliminati e gli esoni saldati in sequenza per formare
l’mRNA maturo. Questo processo è detto splicing.

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3. Il codice genetico
La traduzione del messaggio contenuto nell’mRNA (scritto con un linguaggio
basato su 4 nucleotidi) in una proteina (scritta con un linguaggio basato su 20
amminoacidi) è permessa da un sistema di corrispondenza, che è detto codice
genetico. Se la corrispondenza fosse 1:1, i 4 nucleotidi potrebbero specificare
solo 4 amminoacidi. Se un amminoacido corrispondesse a una successione di
2 nucleotidi, sarebbero possibili 16 combinazione, ancora insufficienti per
specificare tutti gli amminoacidi necessari. Il codice è invece basato su
triplette di nucleotidi, dette codoni, che rendono possibili 64 combinazioni. Il
codice genetico presenta una serie di caratteristiche: contiene un segnale di
inizio rappresentato dal codone AUG; contiene dei segnali di fine lettura, rappresentati da tre codoni di stop;
non è ambiguo, infatti un dato codone specifica sempre per un unico amminoacido; è ridonante, cioè quasi
tutti gli amminoacidi sono specificati da più di un codone; è universale, cioè è valido per tutti gli organismi.
4. Traduzione / Sintesi proteica
La sintesi proteica (traduzione) è l’ultima tappa del processo di espressione di un gene. Avviene
nel citoplasma e ha sede sui ribosomi. Al processo partecipano tutti e tre i tipi di RNA: l’mRNA
che trasporta il messaggio; l’rRNA che è parte integrante del ribosoma e il tRNA che traduce il
linguaggio degli acidi nucleici in quello delle proteine. Quest’ultima molecola è in grado da un
lato di legare gli amminoacidi, dall’altro di riconoscere i codoni dell’mRNA grazie a una tripletta
di nucleotidi, detta anticodone, complementare a uno specifico codone sull’mRNA. Ha una
struttura a trifoglio e ogni cellula ne contiene almeno un tipo per ogni amminoacido.
I ribosomi possiedono 3 siti di legame: 1 per l’mRNA (subunità minore), e 2 per il tRNA: sito P (sito peptidilico)
e sito A (sito amminoacilico). La sintesi di una proteina avviene in 3 fasi: inizio, allungamento e terminazione.
Inizio: in questa fase l’estremità 5’ dell’mRNA si lega
alla subunità minore del ribosoma. A questo
complesso si associano poi la subunità maggiore e il
primo tRNA legato al suo specifico amminoacido, che
si appaia con il suo anticodone al codone di inizio e va
a occupare il sito P.
Allungamento: inizia con l’inserimento nel sito A di un
amminoacil-tRNA con un anticodone complementare a
quello del secondo codone dell’mRNA. A questo punto
si forma il legame peptidico tra i primi due
amminoacidi e contemporaneamente il tRNA che
occupava il sito P esce dal ribosoma. Il ribosoma si
sposta di un codone lungo l’mRNA (5’ → 3’), in modo
che il secondo tRNA con i due amminoacidi attaccati
vada ora ad occupare il sito P. Nel sito A tornato libero
si porta un terzo amminoacil-tRNA e si forma un nuovo
legame peptidico. L’operazione si ripete più volte
legando gli amminoacidi uno dopo l’altro secondo la
specifica sequenza contenuta nell’mRNA che dirige la sintesi, fino a che la catena polipeptidica è completa.
Terminazione: si ha quando il ribosoma arriva a uno dei tre codoni di stop. La terminazione così si interrompe,
la proteina si stacca dal tRNA, che a sua volta abbandona il sito P, e le due subunità del ribosoma si dissociano.
Questo processo richiede una notevole quantità di energia, fornita dall’idrolisi dell’ATP. Via via che durante
l’allungamento il primo ribosoma si sposta lungo l’mRNA, l’estremità 5’ rimasta libera può iniziare ad essere
letta da un altro ribosoma. Lo stesso filamento di mRNA può quindi essere letto contemporaneamente da più
ribosomi, l’insieme dei quali è detto polisoma. La sintesi proteica è un processo molto rapido.
5. Mutazioni geniche
Le mutazioni sono cambiamenti improvvisi del patrimonio ereditario; le mutazioni geniche interessano un
singolo gene. Sono dovute a errori che possono verificarsi durante la replicazione e che, se non vengono
corretti, determinano un’alterazione della sequenza dei nucleotidi nel DNA. Le mutazioni più semplici
interessano un singolo nucleotide e sono dette mutazioni puntiformi. Queste mutazioni possono comportare
la sostituzione di un nucleotide con un altro oppure la perdita o l’aggiunta di un nucleotide.

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La perdita e l’aggiunta di un nucleotide hanno come effetto lo spostamento della griglia di lettura, per questo
dette mutazioni frame-shift, in modo da alterare tutto il filamento polipeptidico. Per questo motivo sono quasi
sempre responsabili di effetti molto gravi, dovuti alla produzione di una proteina completamente priva di
attività biologica. La sostituzione di un nucleotide può portare semplicemente alla produzione di un codone
sinonimo, e in questo caso sarà una mutazione silente, oppure provocare due tipi di mutazioni: mutazione
missenso che dà origine a un codone che codifica un amminoacido diverso da quello originario; mutazione non
senso che dà origine a uno dei tre codoni di stop che segnalano l’arresto della sintesi della proteina. Anche le
mutazioni non senso hanno sempre effetti gravissimi. Le mutazioni sono fenomeni casuali, spontanei e rari.
- Gli agenti mutageni
Anche se le mutazioni sono eventi spontanei, la loro frequenza può essere aumentata da fattori chimici o fisici,
detti agenti mutageni. Sono mutageni fisici i raggi UV, i raggi X e le radiazioni emesse dai materiali radioattivi
(raggi α, β, ƴ). I mutageni chimici, invece, sono molti pesticidi e diserbanti. Un esempio è l’acido nitroso (HNO2)
che provoca la trasformazione della citosina in uracile. Solo le mutazioni che interessano le cellule riproduttive
(gameti) possono essere trasmesse alle generazioni successive; anche quelle che si verificano nelle altre cellule
dell’organismo possono però avere importanti conseguenze sulla salute.
6. Regolazione dell’espressione genica
Tutte le cellule possiedono moltissimi geni, ma in nessun caso vengono tutti espressi contemporaneamente.
Ogni cellula, infatti, svolge le sue attività in modo economico e coordinato, traducendo in proteine solo i geni
necessari a seconda delle circostanze. Uno degli organismi più studiati per comprendere i meccanismi di
regolazione dell’espressione genica è il batterio Escherichia coli.
- Regolazione dell’espressione genica nei procarioti
Nei procarioti avviene essenzialmente a livello della trascrizione, cioè vengono trascritti in mRNA solo i tratti di
DNA corrispondenti a sequenze geniche che devono essere tradotte in proteine. La trascrizione è controllata da
specifiche proteine di regolazione, codificare da geni regolatori. La proteina di regolazione può agire come
repressore, quando si lega al DNA bloccando la trascrizione del gene, oppure come attivatore, quando facilita
l’attacco dell’RNA polimerasi al promotore e quindi la trascrizione del gene. L’efficienza e la semplicità di
questo sistema di controllo dipendono anche dal fatto che nei procarioti, mancando il nucleo, la trascrizione è
accoppiata alla traduzione, per cui l’mRNA inizia a essere tradotto prima che la sua sintesi sia terminata.
o Il modello dell’operone
Il sistema più noto di regolazione genica nei procarioti è il modello dell’operone, individuato negli anni ’60 da
Jacob e Monod. Un operone è un tratto del cromosoma batterico costituito da un promotore, un operatore e
uno o più geni strutturali, cioè geni che codificano per specifiche proteine. Il promotore è il sito di attacco
dell’RNA polimerasi; l’operatore segue il promotore ed è una breve sequenza di basi a cui si lega la proteina
repressore; quest’ultima è codificata da un gene regolatore, non necessariamente adiacente all’operone.
Sono noti due tipi di operoni: operoni inducibili e operoni reprimibili.
Operoni inducibili: normalmente non sono espressi; la loro trascrizione richiede la presenza di una sostanza,
detta induttore, che inattiva il repressore. In questo operone, il repressore è legato all’operatore, impedendo
all’RNA polimerasi di legarsi al promotore per trascrivere i geni strutturali. In presenza dell’induttore, si forma
un complesso repressore-induttore che si stacca dall’operatore, permettendo all’RNA polimerasi di legarsi al
promotore e di iniziare la trascrizione. Esempio: operone-lac, l’operone che contiene i tre geni necessari per
l’utilizzazione del lattosio in Escherichia coli. In assenza di lattosio, l’operone è inattivo e i tre geni non vengono
espressi. In presenza di lattosio, questo funge da induttore, legandosi al repressore e inattivandolo. L’RNA
polimerasi si lega così al promotore e trascrive i tre geni in blocco, formando un’unica molecola di mRNA.

Operoni reprimibili: sono normalmente espressi, tranne quando è presente un corepressore, che attiva il
repressone. In questo operone il repressore è normalmente inattivo e l’operone viene perciò trascritto
regolarmente. Il repressore rimane inattivo finché non si lega a un corepressore, formando con esso un
complesso repressore-corepressore che si lega all’operatore, impedendo all’RNA polimerasi di trascrivere i geni
strutturali dell’operone. Un corepressore è spesso il prodotto finale della via biosintetica che esso controlla.

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Esempio: operone-trp, che codifica enzimi deputati alla sintesi dell’amminoacido triptofano in Escherichia coli.
In assenza di trp, l’operone è attivo e i geni degli enzimi necessari per la biosintesi dell’amminoacido vengono
trascritti. In presenza di trp, gli enzimi che lo sintetizzano non sono più necessari e la loro produzione cessa. Il
trp agisce come corepressore, legandosi al repressone e attivandolo, in modo da bloccare la trascrizione.

- Regolazione dell’espressione genica negli eucarioti


È diversa e più articolata di quella dei procarioti. Il materiale genetico degli eucarioti è molto più complesso ed
è costituito da geni discontinui, che contengono esoni alternati a introni. L’mRNA appena trascritto subisce un
processo di elaborazione prima di essere trasportato nel citoplasma per la traduzione, e la regolazione
dell’espressione genica non si esaurisce con la regolazione della trascrizione, ma riguarda diverse fasi del
processo che porta alla sintesi delle proteine. I geni degli eucarioti non sono raggruppati in operoni; inoltre nei
procarioti il controllo dell’espressione genica serve per produrre le proteine di volta in volta necessarie per
utilizzare i nutrienti disponibili nell’ambiente, negli eucarioti, invece, è indispensabile per permettere il
differenziamento. Anche se differenziate, tutte le cellule di un organismo contengono l’intero programma
genetico. Il differenziamento dipende dal fatto che ogni cellula, pur possedendo l’informazione genetica
completa, esprime solo i geni che codificano per le sue proteine caratteristiche. Gli eucarioti possono regolare
l’espressione dei loro geni controllando i processi che permettono di tradurre in proteine il messaggio genetico.
-Controllo conformazionale: la cromatina si presenta in due forme: eucromatina, poco condensata che viene
trascritta, ed eterocromatina, più condensata che non viene trascritta perché troppo compatta.
-Controllo della trascrizione: la trascrizione selettiva dei geni è il principale meccanismo di regolazione
dell’espressione genica. Il controllo della trascrizione è legato a modificazioni chimiche a carico del DNA, in
particolare questo processo coinvolge la metilazione di alcuni nucleotidi di citosina nelle sequenze geniche che
non vengono trascritte. Anche negli eucarioti la RNA polimerasi si lega a un sito specifico, detto promotore. La
trascrizione, però, dipende anche dalla presenza di particolari sequenze dette intensificatori (enhancer) che
aumentano la velocità della sintesi dell’RNA. Elementi analoghi agli enhancer sono i silencer che agiscono a
distanza inibendo la trascrizione. La regolazione della trascrizione coinvolge proteine regolatrici, dette fattori di
trascrizione, che si legano al DNA in corrispondenza dei siti e possono fungere da attivatori o da inibitori.
-Controllo della maturazione e del trasporto dell’RNA: il precursore dell’mRNA viene profondamento
modificato prima di migrare nel citoplasma. I trascritti primari di mRNA modificati migrano nel citoplasma,
mentre quelli non maturi restano nel nucleo e sono poi degradati. Lo stesso trascritto primario di mRNA può
inoltre essere elaborato in maniere differenti, assemblando diversamente gli esoni e producendo così più di
una proteina a partire dallo stesso mRNA.
-Controllo della traduzione: il controllo della traduzione si attua attraverso il legame dell’mRNA a proteine
inibitrici presenti nel citoplasma, che si legano all’estremità 5’, impedendo il legame con il ribosoma.
-Controllo delle modificazioni post-traduzionali: l’attivazione delle proteine sintetizzate, e la durata della loro
vita nella cellula, dipende da modificazioni che le catene polipeptidiche subiscono una volta sintetizzate.
- Aspetti particolari del genoma degli eucarioti
SI pensa che non più del 7% del DNA eucariotico codifichi effettivamente per le proteine. Una parte del DNA
non codificante è inglobato nei geni sotto forma di introni, mentre un’altra parte è dispersa nel genoma sotto
forma di sequenze ripetute. Tutti i genomi eucariotici finora studiati, inoltre, contengono trasposoni, cioè tratti
di DNA che possono spostarsi da un punto all’altro del cromosoma, modificando le sequenze originarie. Questo
può provocare una mutazione che distrugge la capacità del gene di codificare una proteina funzionale.
I telomeri sono sequenze di nucleotidi ripetute, poste alle estremità dei cromosomi. Queste sequenze hanno
un ruolo protettivo in quanto ogni volta che il DNA si replica vanno persi brevi tratti di DNA posti alle estremità
del filamento. A ogni replicazione, quindi, il telomero si accorcia, a meno che nella cellula non sia presente
l’enzima telomerasi, che ripristina la lunghezza originale (cellule riproduttive, staminali e tumorali). Nelle altre
cellule la lunghezza dei telomeri funge da orologio mitotico controllando la senescenza e la morte cellulare.
7. Genetica dei virus
Un virus è un aggregato di molecole organiche, formato da una molecola di acido nucleico (DNA o RNA)
racchiusa in un involucro di natura proteica. Per poter funzionare e moltiplicarsi, un virus deve penetrare in una
cellula vivente, sfruttandone le materie prime e tutto il macchinario biosintetico.

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- Infezione della cellula ospite e moltiplicazione dei virus
I virus possono entrare nelle cellule ospiti in modi diversi: la maggior parte inietta nella cellula solo il proprio
acido nucleico; altri entrano per intero nella cellula, liberando il loro acido nucleico solo una volta entrati.
Una volta penetrato all’interno della cellula ospite, il virus deve: replicare il proprio genoma; produrre i propri
elementi costitutivi (proteine); autoassemblarsi. La strategia adottata per la replicazione del genoma dipende
dal tipo di acido nucleico: nei virus a DNA, il DNA virale si replica normalmente e viene trascritto sotto forma di
mRNA, che dirigerà poi la sintesi dei costituenti virali utilizzando la DNA polimerasi, l’RNA polimerasi, i
nucleotidi e gli amminoacidi della cellula ospite; nei virus a RNA, in alcuni l’acido nucleico è replicato
dall’enzima RNA replicasi, che sintetizza nuovo RNA utilizzando come stampo l’RNA virale; nei retrovirus,
invece, l’RNA virale viene utilizzato come stampo per copiare un singolo filamento di DNA complementare
(cDNA), mediante l’enzima trascrittasi inversa. Successivamente, il cDNA fa da stampo per la sintesi di un
filamento complementare di DNA, formando una doppia elica di cDNA. Questa si integra poi nel genoma della
cellula ospite e viene trascritta per dare mRNA e nuove molecole di RNA virale.
I costituenti virali così sintetizzati vanno incontro a un processo di autoassemblaggio che consente la
produzione di nuovi virus. I virus completi possono uscire dalla cellula ospite distruggendola oppure possono
essere espulsi mediante un processo simile all’esocitosi che permette di non uccidere la cellula.
- Ciclo litico e ciclo lisogenico dei batteriofagi
Alcuni batteriofagi, virus che attaccano i batteri, una volta
penetrati nella cellula ospite, possono dar luogo a due tipi di
cicli: ciclo litico, normale ciclo riproduttivo virale, che porta
alla lisi della cellula batterica e alla fuoriuscita da essa delle
nuove particelle virali; ciclo lisogenico, dove il batteriofago
non uccide la cellula ospite. Il suo genoma si integra nel
cromosoma batterico e si replica insieme a esso. Da una
cellula batterica infetta si origina una generazione di batteri il
cui cromosoma contiene l’acido nucleico virale. Il virus
integrato nel cromosoma batterico è detto profago e i batteri
contenenti profagi sono detti batteri lisogeni. Anche alcuni
virus degli eucarioti possono inserirsi nei cromosomi dell’ospite e vengono detti provirus.
8. Genetica dei batteri
I batteri si riproducono in modo asessuato, per scissione binaria. Con questo tipo di riproduzione il materiale
genetico rimane sempre identico e può cambiare solo in seguito a mutazioni. Esistono, tuttavia, meccanismi
che permettono di scambiare geni tra cellule batteriche diverse, aumentando la variabilità genetico della
popolazione: trasformazione, trasduzione e coniugazione.
- Trasformazione
Processo mediante il quale un frammento di DNA, presente nell’ambiente in seguito alla morte di una cellula
batterica, penetra in un altro batterio e si integra nel genoma di quest’ultimo, sostituendo il tratto omologo nel
suo DNA e creando così una nuova combinazione di geni. Le specie di batteri che possono inglobare DNA in
questo modo sono dette competenti e lo sono grazie alla presenta di recettori.
- Trasduzione
Alcuni batteriofagi possono agire come vettori di geni, trasportando geni batterici da una cellula a un’altra
secondo un processo detto trasduzione. Si riconoscono due tipi di trasduzione: generalizzata, quando viene
incorporato nel capside un frammento qualsiasi del DNA dell’ospite; specializzata, quando viene trasferito un
frammento di DNA batterico adiacente al punto di inserimento del profago.
- Coniugazione
In molti batteri, oltre alla molecola di DNA principale (cromosoma batterico), sono presenti piccole molecole
circolari di DNA, plasmidi, contenenti pochi geni che determinano caratteristiche utili, ma non indispensabili.
Questi plasmidi si replicano in modo autonomo rispetto al cromosoma batterico e hanno la capacità di passare
facilmente da una cellula batterica a un’altra. I plasmidi più noti sono: plasmidi R, che portano i geni per la
resistenza ai farmaci, e i plasmidi F (fertilità), del batterio Escherichia coli. Il plasmide F può promuovere la
coniugazione, un processo in cui il DNA del plasmide è trasferito da un batterio donatore a un batterio
ricevente attraverso un ponte formato da pili coniugativi.

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9. Tecnologie del DNA
La tecnologia del DNA ricombinante comprende le metodiche che permettono di modificare il patrimonio
genetico di un organismo. Queste tecniche hanno dato ai ricercatori la possibilità di prelevare un gene, di
studiarlo per determinare la sequenza di nucleotidi e di inserirlo all’interno di molecole di DNA diverse.
- Enzimi di restrizione e mappatura del DNA
Per ottenere brevi tratti di DNA contenenti i geni che si vogliono studiare, si impiegano gli enzimi di restrizione
(nucleasi di restrizione). Questi tagliano il DNA in corrispondenza di sequenze specifiche, dette siti di
restrizione. Alcuni enzimi operano tagli netti in entrambi i filamenti di DNA, altri tagliano i due filamenti con
uno scarto di alcuni nucleotidi, di conseguenza vi è una breve sequenza di nucleotidi spaiati su ciascuna
estremità. Queste sono dette estremità adesive perché possono ricongiungersi, sfruttando la
complementarietà tra le basi rimaste spaiate. Sono oggi noti più di 300 enzimi di restrizione diversi.
Per separare e analizzare i frammenti di DNA ottenuti, si utilizza l’elettroforesi su gel. Per fare questo si pone il
campione con un enzima di restrizione a un’estremità della piastra ricoperta di gel (agarosio o
poliacrilammide), poi si applica un certo voltaggio ai due lati della piastra. I frammenti di DNA, carichi
negativamente, si muovono verso l’elettrodo positivo a una velocità inversamente proporzionale ala loro
lunghezza. Dopo alcune ore i frammenti di DNA si saranno distribuiti in diverse bande, ognuna comprendente
frammenti di lunghezza simile. Queste bande sarebbero invisibili sul gel, ma sono rese evidenti da coloranti che
si legano al DNA e lo rendono fluorescente o dall’isotopo radioattivo del fosforo 32P che entra nella
composizione dei nucleotidi e rende radioattivo il campione. La presenza di frammenti di lunghezza diversa
indica un’anomalia nel DNA, spesso correlabile a malattie genetiche. Una mutazione, infatti, può modificare o
eliminare un sito di restrizione. I frammenti di lunghezza diversa dal normale, indicati con il termine RFLP
(polimorfismi della lunghezza dei frammenti di restrizione), vengono ricercati per diagnosticare alcune malattie.
Tagliando un tratto di DNA con diversi enzimi di restrizione, si ottengono frammenti di lunghezza diversa;
confrontandoli si può determinare la posizione di ogni sito di taglio e costruire una mappa di restrizione.
Il progetto più importante in questo campo è quello dell’identificazione di tutti i geni umani, della loro
sequenza e della loro localizzazione sui cromosomi, indicato come Progetto Genoma Umano. La definizione
delle correlazioni fra determinate patologie e specifiche alterazioni genetiche renderebbe più facile
l’individuazione e la cura di numerose malattie. Man mano che aumentano le conoscenze sulle funzioni dei
diversi geni, aumentano anche le preoccupazioni relativamente all’utilizzo che può essere fatto di queste
informazioni, problema di cui si occupano i comitati di bioetica.
- Ibridazione
Per cercare un certo gene su di un cromosoma si usa la tecnica dell’ibridazione. Questa si basa sul fatto che un
filamento di DNA si appaia con un altro soltanto se il secondo filamento ha una sequenza complementare.
Quindi, una volta nota la sequenza di un certo gene, è possibile preparare delle sonde da utilizzare per stabilire
se lo stesso gene è presente in un altro campione di acido nucleico. Una sonda è un tratto di DNA a singolo
filamento, marcato con coloranti fluorescenti o radioisotopi. Per fare questo si tratta il DNA con enzimi di
restrizione e si separano i frammenti con elettroforesi su gel. Le bande vengono poi trasferite su un foglio di
nitrocellulosa o di nylon e il DNA che le forma viene denaturato; così vengono separati i due filamenti che
formano la doppia elica. A questo punto il DNA viene posto in contatto con la sonda marcata radioattivamente;
dopo alcune ore di incubazione si sciacqua il foglio, in modo da eliminare tutte le molecole di DNA-sonda che
non si sono legate e si va a vedere quali tratti di DNA risultato radioattivi, cioè quali hanno legato la sonda.
- Clonaggio di un gene
Inserendo il DNA ricombinante in un altro organismo, è possibile far esprimere
in esso la proteina per cui il gene codifica. Questa tecnica porta alla produzione
di sostanze utili attraverso 5 tappe: isolamento del gene che codifica la proteina
che si vuole produrre; costruzione del DNA ricombinante (inserimento del gene
nel DNA vettore); introduzione del DNA ricombinante in una cellula ospite che
si moltiplica attivamente; clonaggio del gene e produzione della proteina;
recupero e purificazione della proteina. La produzione del DNA ricombinante è
resa possibile dagli enzimi di restrizione. Un frammento di DNA tagliato, infatti,
può unirsi a un altro frammento di DNA tagliato con lo stesso enzima perché i
due hanno estremità adesive complementari. Queste due estremità possono
poi essere saldate dall’enzima DNA ligasi. Il DNA nel quale si inserisce il gene è
quello di un plasmide o di un batteriofago. Successivamente si inserisce il
plasmide in un batterio che si moltiplica velocemente.

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- Reazione polimerasica a catena (PCR)
La PCR è uno strumento che permette di
produrre rapidamente in laboratorio tante
copie di un tratto di DNA. Per fare questo è
necessario sintetizzare due oligonucleotidi che
rappresentano gli inneschi dei filamenti
complementari del tratto di DNA che si vuole
sintetizzare, dopo di che la reazione procede,
sfruttando una polimerasi resistente al calore
che produce rapidamente un gran numero di
molecole del DNA che si vuole replicare.
Questa tecnica permette di clonare una
sequenza nucleotidica sena l’utilizzo di cellule.
La PCR si utilizza per: produrre una grossa
quantità di un gene che deve essere studiato;
individuare infezioni virali, utilizzando come
inneschi sequenze complementari al genoma
virale; ottenere l’impronta di DNA (fingerprint)
di una persona lavorando su piccoli campioni.
- Alcune applicazioni dell’ingegneria genetica
L’ingegneria genetica è una tecnica dalle numerose applicazioni e dalle enormi potenzialità.
Lo scopo principale di questa tecnica è quello di far produrre a cellule manipolate geneticamente, contenenti
DNA ricombinante, sostanze utili di interesse medico, agricolo o industriale.
In campo medico molte proteine umane vengono prodotte grazie all’ingegneria genetica, ad esempio alcuni
ormoni (insulina, ormone della crescita). Anche la produzione di alcuni vaccini avviene grazie a questa tecnica.
In campo agricolo, con questa tecnica, si possono ottenere piante che producono maggiori quantità di sostante
utili, più resistenti agli stress ambientali e meno vulnerabili di fronte alle malattie e ai parassiti. L’impatto delle
piante geneticamente modificate sulla salute umana e sull’ambiente non è sempre prevedibile ed è per questo
oggetto di dibattiti, soprattutto per quanto riguarda gli OGM da usare nell’alimentazione.

Evoluzione, classificazione dei viventi ed ecologia


1. Teoria evolutiva di Lamarck
L’evoluzione è il processo di cambiamento e adattamento che porta a un aumento della diversità genetica e
allo sviluppo di nuove forme di vita. Lamarck propose la prima teoria scientifica dell’evoluzione che si basa su:
- Legge dell’uso e del non uso: gli organi che sono usati si sviluppano, quelli non utilizzati si atrofizzano.
Gli organismi sono in grado di modificare i propri caratteri durante la loro esistenza in risposta agli
stimoli ambientali. Tali modificazioni sviluppate sono dette caratteri acquisiti.
- Legge dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti: i caratteri acquisiti durante la vita dell’individuo possono
essere trasmessi alla progenie.
Non vi sono però prove che dimostrino la validità della teoria di Lamarck, anzi è noto ormai che i caratteri
acquisiti non sono trasmissibili alla progenie.
2. Teoria evolutiva di Darwin
Nel 1859 Charles Darwin pubblicò L’origine della specie, opera in cui esponeva la propria teoria
dell’evoluzione. Tale teoria può essere sintetizzata in 4 punti principali:
- Gli esseri viventi si riproducono generando organismi simili a sé stessi nelle caratteristiche
fondamentali, ma con una variabilità fra i singoli e queste differenze sono in parte ereditabili;
- Gli organismi producono una prole troppo numerosa rispetto alle risorse disponibili per garantirne la
sopravvivenza. Tra di essi, quindi, è sempre in atto una lotta per l’esistenza;
- Quali organismi possano sopravvivere e riprodursi dipende dalle interazioni fra questi e l’ambiente:
quelli che mostrano le caratteristiche più adatte all’ambiente in cui si trovano, sopravvivono e si
riproducono. Questo processo è indicato come selezione naturale
- Operando generazione dopo generazione, la selezione naturale porta a un accumulo di cambiamenti
tale da differenziare i gruppi di organismi, permettendo la comparsa di nuove specie.

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Vi sono quindi delle differenze tra la teoria di Lamarck e quella di Darwin:
- Ambiente per Lamarck: ruolo diretto; determina lo sviluppo dei caratteri acquisiti:
- Ambiente per Darwin: ruolo indiretto; non determina la comparsa di nuovi caratteri, ma fa si che gli
individui dotati di caratteri favorevoli sopravvivano
- Variazioni per Lamarck: indirizzate verso adattamenti favorevoli
- Variazioni per Darwin: casuali, è poi l’ambiente a far sopravvivere gli individui con caratteri favorevoli
3. Prove dell’evoluzione
Le prove a sostegno dell’evoluzione provengono da diverse discipline.
- Paleontologia: ha dimostrato che non tutte le specie attualmente esistenti sulla Terra erano presenti
anche in un lontano passato e che molte specie sono ormai scomparse;
- Biogeografia: le 14 specie di uccelli riconoscibili come fringuelli delle isole Galapagos derivano da pochi
individui provenienti dal Sud America che si sono adattati alle nuove condizioni ambientali
- Anatomia comparata: dimostra che gli organismi appartenenti a uno stesso gruppo presentano sempre
molte somiglianze strutturali
- Embriologia comparata: gli stadi dello sviluppo embrionale negli organismi imparentati si assomigliano,
indicando un’origine evolutiva comune
- Biologia molecolare: maggiore è la parentela evolutiva di due specie, maggiore è il grado di somiglianza
nella sequenza delle basi del loro DNA
4. Neo-darwinismo – Teoria sintetica dell’evoluzione
La teoria di Darwin fu contrastata dai suoi contemporanei perché presentava 2 lacune: non proponeva un
meccanismo per spiegare come i caratteri ereditari fossero trasmessi da una generazione all’altra (non si
conoscevano i lavori di Mendel); non indicava quale fosse l’origine della variabilità dei caratteri.
I successivi sviluppi della genetica hanno consentito di risolvere questi problemi. La moderna teoria
dell’evoluzione reinterpreta la teoria evolutiva di Darwin sulla base delle scoperte della genetica ed è chiamata
neo-darwinismo o teoria sintetica dell’evoluzione. La sintesi tra la genetica mendeliana e l’approccio evolutivo
darwiniano ha dato origine a una nuova branca della biologia: la genetica di popolazione.
- Basi genetiche dell’evoluzione
Una popolazione è un gruppo di individui della stessa specie che possono incrociarsi liberamente perché non
ostacolati da barriere di alcun tipo che impediscano gli scambi. La popolazione è il soggetto dell’evoluzione.
Nell’ambito della genetica di popolazione, si definisce pool genico l’insieme di tutti gli alleli presenti negli
individui di una popolazione in un determinato momento; mentre la frequenza genica è la frequenza relativa di
un particolare allele in una popolazione. L’evoluzione può essere considerata il risultato di una modificazione
delle frequenze geniche all’interno di una popolazione.
Nel 1908 Hardy e Weinberg dimostrarono che la ricombinazione che si verifica a ogni generazione negli
organismi a riproduzione sessuata non modifica le frequenze con cui compaiono i diversi alleli che costituiscono
il pool genico. Questo, in realtà, si verifica solo in situazioni ideali che non si presentano mai in natura. In
condizioni reali, le popolazioni sono sempre soggette a fenomeni migratori e presentano pool genici instabili,
sono cioè continuamente soggette ai processi evolutivi. Il principio di Hardy-Weinberg (p2 + 2pq + q2 = 1) può
essere utilizzato per determinare le frequenze geniche (alleliche) a partire dalle frequenze dei fenotipi e quindi
per stabilire in che modo una popolazione si sta evolvendo.
I fattori che modificano l’ipotetico equilibrio previsto da Hardy-Weinberg, detti fattori evolutivi fondamentali,
sono: mutazioni, selezione naturale, flusso genico, deriva genetica e accoppiamenti non casuali.
- Mutazioni
Le mutazioni sono eventi casuali che provocano una variazione ereditaria del genotipo. Queste sono
responsabili della comparsa di nuovi alleli e provocano quindi una modificazione delle frequenze geniche.
Le mutazioni rappresentano la materia prima dell’evoluzione, infatti sono responsabili della variabilità dei
caratteri, su cui possono agire gli altri fattori evolutivi.
- Selezione naturale
La selezione naturale è definita come la diversa capacità riproduttiva di genotipi differenti all’interno di una
popolazione. Essa modifica la distribuzione delle caratteristiche del fenotipo di una popolazione, modificando
in questo modo le frequenze alleliche. La selezione naturale è considerata il fattore principale nella
modificazione delle frequenze alleliche di una popolazione; gli altri fattori possono assumere importanza in
alcune popolazioni particolari, oppure in alcune fasi della storia evolutiva di una specie.

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In base al modo in cui si realizza, si distinguono 3 tipi di selezione: stabilizzatrice che tende a produrre una
popolazione uniforme; opera in tutte le popolazioni, in particolare quando l’ambiente è stabile; direzionale che
tende a far aumentare la proporzione di individui con una caratteristica fenotipica estrema; agisce quando essi
si trovano a fronteggiare cambiamenti ambientali; divergente che tende a far prevalere le caratteristiche
fenotipiche estreme, eliminando forme intermedie; porta al polimorfismo, cioè alla coesistenza di due o più
forme fenotipiche distinte in una popolazione; può portare alla formazione di due nuove specie
La selezione naturale porta alla diffusione di individui più adatti dei loro predecessori alla sopravvivenza in un
dato ambiente. Le caratteristiche che si sviluppano in un processo evolutivo e che rendono un organismo
adatto alla sopravvivenza e alla riproduzione in un dato ambiente sono dette adattamenti. Si distinguono
sostanzialmente 3 tipi di adattamenti: morfologici (riguardano la forma e la struttura degli organismi),
fisiologici (inerenti al metabolismo degli organismi), comportamentali (inerenti ai comportamenti che gli
organismi mettono in atto in risposta a determinati stimoli ambientali.
Molto spesso gli accoppiamenti fra animali avvengono in modo non casuale. Generalmente è la femmina che,
al momento dell’accoppiamento, opera una selezione fra i maschi della popolazione, in base a caratteristiche
particolari. Questa viene chiamata selezione sessuale.
- Flusso di geni dovuto a migrazioni
Le migrazioni di individui tra popolazioni possono causare una variazione delle frequenze alleliche, in quanto
comportano l’ingresso o la perdita di alleli nelle popolazioni. Se gli individui che entrano in una popolazione o la
abbandonano hanno frequenze alleliche diverse da quelle della popolazione originaria, il risultato della
migrazione sarà l’alterazione dell’equilibrio genetico.
- Deriva genetica
La deriva genetica è una variazione delle frequenze geniche di una popolazione, dovuta a fenomeni casuali, e
non all’azione della selezione naturale. Questo fattore ha influenza nel caso di piccole popolazioni. Quando una
piccola popolazione si separa da una più grande, le sue frequenze alleliche non necessariamente rispecchiano
quelle della popolazione di origine. Questo tipo di deriva genetica è detto effetto del fondatore. Se una
popolazione subisce una drastica riduzione numerica per ragioni che non hanno niente a che fare con la
selezione naturale, si dice che la popolazione passa attraverso un collo di bottiglia. Tra gli individui rimasti le
frequenze alleliche sono spesso diverse da quelle della popolazione originaria.
- Modelli di evoluzione
La microevoluzione consiste nell’insieme dei cambiamenti genetici che interessano una popolazione e che,
accumulandosi, portano all’origine di una nuova specie. La macroevoluzione riguarda i cambiamenti che
insorgono all’interno di gruppi superiori alla specie, come la comparsa di nuove linee evolutive o le estinzioni di
massa. Si distinguono 3 modelli di evoluzione:
o Convergente: fenomeno per cui organismi che vivono in condizioni ambientali simili sviluppano
adattamenti simili. Questa forma di evoluzione porta alla comparsa di strutture analoghe, cioè
strutture che hanno funzione simili, ma diversa origine evolutiva.
o Parallela: processo in base al quale specie imparentate evolvono in modo simile per lunghi
periodi di tempo, perché sottoposte alle stesse pressioni selettive.
o Divergente: consiste nello sviluppo di caratteristiche diverse in due o più popolazioni che
condividono un antenato comune. Può portare alla formazione di varietà diverse della stessa
specie, adattate alle condizioni ambientali in cui vivono.
L’evoluzione, quindi, consiste nella comparsa e nell’affermazione di organismi dotati di caratteristiche nuove.
- Speciazione
Una specie è un gruppo di individui che possono incrociarsi tra loro, dando origine a prole fertile.
Il complesso di fenomeni che portano alla nascita di una nuova specie è detto speciazione. La condizione che
dà inizio alla speciazione è l’isolamento genetico, diretta conseguenza dell’isolamento riproduttivo cioè
l’impossibilità di accoppiarsi per gli organismi appartenenti a due popolazioni.
Speciazione allopatrica: se una popolazione viene separata da un’altra da una barriera geografica, i due gruppi
cessano di scambiarsi geni e restano quindi isolati dal punto di vista riproduttivo. Se l’isolamento dura
sufficientemente a lungo, le due popolazioni possono differenziarsi geneticamente al punto che, se tornassero
in contatto, non potrebbero più incrociarsi. Si possono così formare due nuove specie.
Speciazione simpatrica: è legata al fenomeno della poliploidia, cioè al possesso di un numero di cromosomi
multiplo di n e superiore a 2n. Può essere dovuta al raddoppio del numero di cromosomi in individui ibridi, cioè
individui originati dall’accoppiamento tra due individui di specie diversa.

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5. Storia della vita sulla Terra
In base alle stime, la Terra ha avuto origine circa 4,7 miliardi di anni fa, mentre la vita circa 4 miliardi di anni fa.
Non è ancora del tutto chiaro come si sia originata la vita sulla Terra, ma le ipotesi più accreditate si basano su
una teoria proposta da Oparin e Haldane (anni ’20) e verificata sperimentalmente da Miller (anni ’50).
Secondo questa teoria, le condizioni ambientali presenti sulla Terra primitiva erano tali da favorire la sintesi
spontanea delle molecole organiche. Carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto, presenti nei composti che
formavano l’atmosfera primordiale (metano, ammoniaca, idrogeno, acqua), hanno reagito tra loro, formando
amminoacidi, monosaccaridi, nucleotidi e lipidi grazie alla radiazione ultravioletta, ai fulmini, al decadimento
radioattivo e all’attività vulcanica. Questi composti sono andati incontro ad un processo di evoluzione chimica,
che ha condotto alla comparsa dei primi organismi protocellulari i quali, reagendo tra loro hanno formato i
polimeri. Questi, a loro volta, si sono aggregati a formare goccioline colloidali, chiamate coacervati, dotate di
una membrana lipidica e capaci di compiere reazioni enzimatiche. I coacervati, però, non erano cellule viventi
perché non erano in grado di riprodurre sé stessi. Quando questi aggregati di macromolecole acquisirono la
capacità di riprodursi diedero origine ai primitivi antenati delle cellule viventi, chiamati protobionti.
Si pensa che i primi organismi viventi sulla Terra fossero simili agli archebatteri. Senza l’evoluzione degli
autotrofi fotosintetici la vita sulla Terra sarebbe presto cessata, per esaurimento dei composti organici presenti
nell’ambiente. Con la comparsa della fotosintesi, gli eterotrofi hanno potuto proseguire la loro evoluzione,
avendo a disposizione gli autotrofi come nutrimenti. Grazie alla fotosintesi l’atmosfera arrivò a contenere il
21% di ossigeno, trasformandosi da riducente a ossidante. La comparsa dell’ossigeno in atmosfera ebbe tre
importanti conseguenze: rese possibile la formazione di uno strato di ozono (O3); favorì la comparsa del
metabolismo aerobico; modificò l’ambiente in modo tale da impedire per sempre il ripetersi della formazione
della vita dalla non vita (generazione spontanea). Le prime cellule eucariotiche sono comparse probabilmente
in conseguenza di un processo di simbiosi fra alcuni organismi procarioti. I primi organismi pluricellulari, invece,
hanno avuto origine a partire da un organismo pluricellulare che si è diviso, formando due cellule figlie che non
si sono separate. Questo processo avrebbe portato alla formazione di una colonia, un semplice aggregato di
cellule indifferenziate, che successivamente si sarebbero differenziate e specializzate. Con la comparsa degli
organismi pluricellulari l’evoluzione subì una straordinaria accelerazione, dando luogo agli spettacolari processi
evolutivi degli animali e delle piante.
6. Classificazione dei viventi
La classificazione degli organismi viventi è oggetto di studio della sistematica, disciplina che studia la diversità
esistente fra gli organismi e le loro relazioni evolutive, e della tassonomia, che si occupa della classificazione
dei viventi, cioè del loro ordinamento all’interno di diverse categorie, basandosi sulle loro relazioni evolutive.
- Tassonomia
Il primo sistema ordinato di classificazione è stato messo a punto da Linneo nel XVIII secolo. Egli organizzò un
sistema gerarchico basato sui principi di precedenza e inclusione: le diverse categorie sono disposte in modo
tale che ognuna è inclusa in quelle precedenti e comprende tutte quelle successive. Categorie principali:
dominio, regno, phylum (animali) o divisione (piante), classe, ordine, famiglia, genere, specie.
Due concetti importanti: le strutture omologhe sono quelle che hanno un’origine comune, ma non una
funzione comune, mentre le strutture analoghe hanno la stessa funzione, ma origini evolutive differenti.
Lo studio comparato di acidi nucleici e proteine ha dimostrato che le loro sequenze si dispongono secondo una
logica filogenetica: molecole di specie morfologicamente distanti, possiedono sequenze nucleotidiche o
amminoacidiche meno simili piuttosto che molecole di organismi legati a un grado di parentela più stretto.
- La nomenclatura binomia
Sistema utilizzato per indicare in modo non equivoco le specie. Ogni specie viene indicata con due nomi latini: il
primo si riferisce al genere a cui l’organismo appartiene ed è un sostantivo; il secondo indica la specie e di solito
è un aggettivo. Il nome scientifico della specie umana è Homo sapiens.
- I cinque regni
La classificazione dei viventi presenta aspetti controversi, per questo sono stati proposti diversi schemi. Quello
a cui si fa più spesso riferimento a livello scolastico prevede la suddivisione di tutti gli esseri viventi nei cinque
regni: Monere, Protisti, Funghi, Piante e Animali.
o Monere
Tutti gli organismi procarioti sono classificati in questo regno. In base al tipo di metabolismo possono essere
suddivisi in tre categorie: fotoautotrofi, chemioautotrofi ed eterotrofi. Questo regno comprende due grandi
gruppi di organismi: batteri, con metabolismi diversificati, e cianobatteri (alghe azzurre), fotoautotrofi.

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o Protisti
Comprende tutti gli organismi eucarioti che non sono funghi, piante o animali. Sono unicellulari o coloniali, a
parte le alghe che sono pluricellulari, ma hanno una struttura semplice. Sono presenti organismi molto diversi
tra loro: alcuni compiono la fotosintesi (alghe); alcuni non sono fotosintetici e si procurano il cibo per
predazione (protozoi); altri hanno modalità di nutrizione simili a quelle dei funghi (mixomiceti).
o Funghi
Sono organismi eucarioti, eterotrofi, per lo più pluricellulari, alcuni unicellulari. Sono chiamati saprobi se si
nutrono di materia organica morta, oppure parassiti se si nutrono a spese di essere viventi. In base alla
modalità di riproduzione sono divisi in 4 gruppi: zigomiceti, ascomiceti, basidiomiceti e deuteromiceti.
o Piante
Sono organismi eucarioti, pluricellulari autotrofi. Utilizzano la fotosintesi per sintetizzare le molecole
organiche ridotte necessarie alla vita. Solitamente sono suddivise in piante vascolari (tracheofite o cormofite) e
piante non vascolari (briofite). Le prime possiedono sistemi specializzati per il trasporto di liquidi all’interno
della pianta; le seconde non possiedono tali strutture. Le pteridofite si riproducono mediante spore, mentre le
spermatofite si riproducono mediante seme.
7. Animali
Questo regno comprende organismi eucarioti, pluricellulari eterotrofi. Gli animali sono formati da cellule prive
di parete cellulare e si riproducono in modo sessuato. Sono classificati in gruppi (phylum) in base alla presenza
di diversi pianti strutturali. Principali phyla animali: poriferi (spugne), celenterati o cnidari (meduse e coralli),
platelminti o vermi piatti (cestodi), nematodi (vermi cilindrici), molluschi (vongole, seppie, calamari, polpi),
anellidi o vermi segmentati (lombrichi, sanguisughe), artropodi (aracnidi, insetti, crostacei), echinodermi
(stelle di mare, ricci di mare), cordati suddivisi in tre subphylum: urocordati, cefalocordati e vertebrati.
8. Vertebrati
Il subphylum dei vertebrati comprende le seguenti classi: ciclostomi o agnati (lamprede), condroitti (pesci
cartilaginei), osteitti (pesci ossei), anfibi, rettili, uccelli e mammiferi.
- Pesci
Quella dei pesci è una superclasse formata da due classi, condroitti e osteitti, che condividono alcuni caratteri
comuni: forma del corpo idrodinamica, respirazione mediante branchie, temperatura corporea variabile
(eterotermi), cuore formato da due cavità e circolazione sanguigna semplice.
I condroitti sono i pesci più antichi. Gli animali appartenenti a questa classe sono gli squali e le razze.
Caratteristiche: scheletro interno di tessuto cartilagineo; cute ricoperta di scaglie placoidi; coda eterocerca;
fessure brachiali; bocca in posizione ventrale; assenza di organi di galleggiamento; fecondazione interna.
Gli osteitti sono caratterizzati dallo scheletro di tessuto osseo. Rappresentano la classe più numerosa di
vertebrati. Caratteristiche: cute ricoperta di scaglie ossee; coda omocerca; branchi comunicanti con l’esterno;
bocca in posizione frontale; vescica natatoria (organi di galleggiamento); fecondazione sterna.
- Anfibi
La classe è suddivisa in tre ordini principali: urodeli (tritoni e salamandre), anuri (rane e rospi) e apodi.
Caratteristiche: cute ricoperta da muco; fecondazione esterna; cuore formato da tre cavità e circolazione
sanguigna doppia e incompleta; temperatura corporea variabile (eterotermi). Vivono sulle terre emerse, ma
sono legati all’ambiente acquatico, in cui avvengono la riproduzione e lo sviluppo.
- Rettili
Gli ordini principali: squamati (serpenti, iguane e lucertole), cheloni (tartarughe) e coccodrilli.
Sono i primi vertebrati del tutto svicolati dall’acqua. I grandi rettili (dinosauri) si estinsero a causa di un
improvviso cambiamento ambientale dovuto alla caduta di un asteroide sulla Terra. Caratteristiche: cute
rivestita da squame; fecondazione interna; respirazione mediante polmoni; cuore formato da tre cavità e
circolazione sanguigna doppia e incompleta; temperatura corporea variabile; quattro arti.
- Uccelli
Classe discendente dai dinosauri. Caratteristiche: capacità di volare; cute ricoperta di penne; respirazione
mediante polmoni; cuore formato da 4 cavità; temperatura corporea costante (omeotermia); 4 arti;
fecondazione interna; bocca provvista di un becco; scheletro robusto e leggero.
- Mammiferi
Comprende: prototerii (monotremi) che depongono uova, ma allattano; terii (marsupiali e placentati).
Caratteristiche: corpo rivestito di peli; respirazione mediante polmoni; cuore formato da 4 cavità; temperatura
corporea costante (omotermia); 4 arti; ghiandole mammarie; sistema nervoso; fecondazione interna.

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9. Ominazione
L’ominazione è l’insieme degli eventi che hanno caratterizzato l’evoluzione dell’uomo.
La separazione fra la linea evolutiva degli scimpanzé e quella dell’uomo si è verificata circa 6 milioni di anni fa.
Modificazione più importanti: acquisizione postura eretta con conseguente liberazione degli arti superiori;
aumento della capacità cranica e sviluppo del cervello; variazioni nella forma di scatola cranica e denti; pollice
opponibile; diversa forma del bacino; presenza di curvature tipiche della colonna vertebrale.
Breve descrizione dei nostri antenati: Homo habilis, Homo erectus, Homo neanderthalensis, Homo sapiens.
10. Fisiologia animale
Le funzioni principali degli animali, anche se con grande diversità di adattamenti, rimangono le stesse lungo
tutta la scala evolutiva. Queste funzioni sono svolte dai vari organelli specializzati negli organismi unicellulari e
da organi e apparati specifici in quelli pluricellulari.
- Nutrizione
Per sostenere le richieste di energia e materiali delle proprie cellule, gli esseri viventi hanno bisogno di
assumere dall’esterno numero sostanze. L’utilizzo di queste macromolecole assunte dall’esterno è permesso da
due processi: digestione, cioè degradazione delle grosse molecole in composti più semplici, e assorbimento,
cioè ingresso nelle cellule dell’organismo dei prodotti della digestione.
Negli organismi unicellulari, le particelle alimentari sono assunte tramite fagocitosi. Gli animali meno evoluti
possiedono un apparato digerente a una sola apertura: gli alimenti fluiscono dall’esterno all’interno, mentre i
prodotti di rifiuto vanno dall’interno all’esterno. Un apparato digerente a due aperture, il canale
gastrointestinale, è dotato di due aperture: bocca e ano. Le differenze tra gli apparati digerenti dipendono dal
tipo di nutrimento e dai processi digestivi necessari per degradarlo.
- Respirazione
La maggior parte dei viventi ha bisogno dell’ossigeno presente nell’ambiente per vivere. Negli organismi
unicellulari e pluricellulari più piccoli è sufficiente il processo di diffusione dell’ossigeno attraverso la membrana
plasmatica o la cute; gli organismi pluricellulari, invece, ricorrono a tre accorgimenti: sviluppo di organi
specializzati per la respirazione; sviluppo di un apparato respiratorio per trasportare i gas respiratori ai tessuti e
dai tessuti; presenza di molecole trasportatrici degli stessi gas. Come organi respiratori, nell’ambiente
acquatico si sono sviluppate le branchie, in quello terrestre le trachee (per insetti e aracnidi) e i polmoni.
- Trasporto di gas e nutrienti
Negli animali più complessi è presente un sistema circolatorio aperto oppure un sistema chiuso.
Sistema circolatorio aperto: tipico dei molluschi e degli artropodi; il fluido extracellulari (emolinfa) viene
pompato da un cuore in ampie lacune che circondano i diversi organi. Avvenuti gli scambi di sostanze nutritive,
il fluido circolatorio è raccolto da vasi collettori e convogliato nuovamente verso il cuore.
Sistema circolatorio chiuso: tipico di tutti i vertebrati; il fluido circolatorio (sangue) è sempre contenuto
all’interno di vasi, mentre lo scambio tra i vasi e i tessuti è mediato dal liquido interstiziale.
- Movimento
Il movimento presuppone l’esistenza di organi contrattili (muscoli) e di un sostegno rigido (scheletro) su cui tali
organi possano fare perno. L’insieme di queste due componenti si chiama apparato locomotore.
I molluschi e gli artropodi hanno sviluppato un esoscheletro, cioè una struttura di sostegno esterna che funge
anche da rivestimento dell’organismo. I muscoli si innestano all’interno dell’esoscheletro, permettendo il
movimento dei diversi segmenti che lo compongono. La sua rigidità è però un ostacolo per la crescita e
l’animale deve subire varie fasi di muta. Nei vertebrati si trova l’endoscheletro, su cui si inseriscono i muscoli,
esternamente. La funzione di protezione passa all’apparato tegumentario.
- Eliminazione dei rifiuti e osmoregolazione
Gli esseri viventi devono mantenere costante la quantità di acqua nell’organismo e la concentrazione di sali
(osmoregolazione), oltre a eliminare l’ammoniaca prodotta come rifiuto dal metabolismo delle proteine
(escrezione). Negli organismi acquatici, l’ammoniaca viene eliminata per semplice diluizione nell’ambiente
acquoso esterno; gli animali terrestri, invece, devono convertirla in composti meno tossici: insetti, uccelli e
rettili la convertono in acido urico; gli altri animali terrestri in urea. L’apparato escretore più semplice è quello
dei platelminti, in cui le cellule a fiamma prelevano le sostanze di rifiuto e le eliminano all’esterno. Negli anellidi
compare il nefridio, un tubulo che assorbe il liquido dalla cavità corporea, riassorbe acqua e sostanze utili ed
espelle all’esterno i rifiuti. Negli insetti si hanno i tubuli di Malpighi che scaricano direttamente nell’intestino
l’acido urico. I vertebrati hanno evoluto in organo specifico, il rene, composto da numerosi nefridi. I pesci ossei,
come i rettili e gli uccelli, invece, eliminano i sali in eccesso tramite apposite ghiandole del sale.

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11. Ecologia
Ecologia: scienza che studia le relazioni tra gli organismi viventi e l’ambiente che li circonda.
Ecosistema (sistema ecologico): entità funzionale fondamentale dell’ecologia, comprendente una comunità
biologica e il biotopo da essa occupato.
Popolazione: gruppi di individui appartenenti alla stessa specie, che coesistono in un momento definito.
Comunità (biocenosi): complesso di animali e vegetali coesistenti in una determinata area. L’insieme delle
popolazioni animali prende il nome di zoocenosi; l’insieme di quelle vegetali fitocenosi.
Biotopo: porzione di spazio occupata da una comunità in un ecosistema.
Habitat: ambiente fisico in cui vive una data specie.
Nicchia ecologica: ruolo di una popolazione nell’economia di un ecosistema. È un concetto più ampio di habitat
perché comprende l’ambiente biotico e abiotico di un organismo, ciò che mangia, le specie da cui è mangiato,
le relazioni indirette che instaura con gli altri membri dell’ecosistema, le sue preferenze climatiche.
Biosfera: spazio aereo, terrestre e acquatico del pianeta Terra abitato dagli organismi viventi.
Bioma: complesso di ecosistemi che determina l’aspetto di ogni regione del pianeta Terra ed è caratterizzato
da un certo tipo di vegetazione. I vegetali facenti parte dello stesso bioma presentano adattamenti simili, anche
in aree geografiche diverse, perché sottoposti a condizioni ecologiche e climatiche simili. I principali biomi
terrestri sono distribuiti secondo fasce climatiche latitudinali e altitudinali e sono:
Nome Localizzazione
Tundra Zone settentrionali del Nord-America, della Siberia e dell’Europa
Taiga Fascia a sud della tundra che comprende Europa settentrionale, Siberia e Canada.
Gran parte di Europa, Cina e Stati Uniti; in aree caratterizzate da marcate differenze
Foresta decidua
climatiche stagionali
Foresta pluviale Regioni prossime all’equatore
Zone in cui le precipitazioni sono presenti, ma non sufficienti a garantire la sopravvivenza
Prateria
del bioma forestale
Deserto Ampie fasce comprese tra 20°N e 20°S
- Catene alimentari ed energia
Una catena alimentare è la sequenza di organismi attraverso i quali fluisce l’energia sotto forma di molecole
nutritizie. In altre parole, è la successione con cui alcuni organismi si alimentano di quelli che li precedono e
costituiscono alimento per quelli che li seguono. Ogni catena alimentare è formata da 3 componenti:
produttori, organismi in grado di trasformare semplici composti chimici inorganici in sostanze organiche
(autotrofi); consumatori, organismi che si nutrono del materiale organico fornito dai produttori (eterotrofi), e
decompositori, che si nutrono di organismi morti o delle deiezioni di quelli vivi; degradano le sostanze
organiche complesse in molecole semplici che potranno essere riutilizzate dai produttori (batteri e funghi).
- Cicli biogeochimici
Gli atomi di molti elementi sono soggetti a un percorso ciclico, che coinvolge sia la componente abiotica
(atmosfera, idrosfera, litosfera) che quella biotica (produttori, consumatori, decompositori) dell’ecosistema
stessa. Molto importanti sono: ciclo del carbonio, ciclo dell’azoto e ciclo del fosforo.
- Fattori limitanti
Le condizioni che agiscono sugli organismi sono chiamate fattori ambientali, suddivisi in abiotici (chimico-fisici)
e biotici (legati all’azione e alla presenza di essere viventi). I fattori ecologici che limitano l’accrescimento delle
popolazioni nell’ecosistema sono detti fattori limitanti. La legge di Liebig (legge del minimo) afferma che la
crescita di una popolazione in un ecosistema è limitata dal fattore presente in minore quantità. Un fattore
ecologico può danneggiare gli organismi viventi anche quando è presente in quantità troppo elevata. Per
ciascun fattore, ogni specie presenta un certo grado di tolleranza e l’intervallo delle condizioni ecologiche
tollerabili per una specie è detto valenza ecologica. Le specie che sopportano ampie variazioni sono dette
specie euriecie, mentre quelle che presentano limiti di tolleranza ristretti sono dette specie stenoecie.
- Crescita delle popolazioni nell’ecosistema
La capacità di accrescimento numerico della popolazione, differenza tra il tasso di natalità e quello di mortalità,
è detta potenziale biotico. Nella realtà una popolazione è vincolata da fattori limitanti e il suo accrescimento
non è illimitato. A causa delle limitazioni ambientali, la crescita man mano rallenta; quando si instaura un
equilibrio tra il potenziale biotico e i fattori limitanti, il tasso di natalità e quello di mortalità si equivalgono e la
popolazione raggiunge il numero massimo nell’ecosistema. Questo numero è detto capacità portante.

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- Interazioni tra specie
Competizione: interazione tra due gruppi di organismi che, concorrendo per la medesima risorsa, si limitano
reciprocamente. Essa è alla base della selezione naturale. Il principio di esclusione di Gause afferma che in una
comunità non possono coesistere due specie aventi la stessa nicchia ecologica; tra queste due si scatena
inevitabilmente la competizione che porta una delle due specie a soppiantare l’altra.
Predazione: processo per cui gli animali di una data specie (predatori) si cibano di quelli di altre specie (prede).
Parassitismo: processo in base al quale una specie (parassita) vive sopra (ectoparassita) oppure dentro
(endoparassita) un’altra specie (ospite), utilizzandola come fonte di cibo.
Simbiosi: forma di interazione positiva, dalla quale almeno una delle specie trae vantaggio. La simbiosi è
un’associazione stretta e spesso permanente tra organismi di specie diversa, che può assumere due forme:
commensalismo, dove una specie (commensale) risulta avvantaggiata, mentre l’altra non è danneggiata né
favorita in alcun modo; mutualismo, dove entrambe le specie traggono vantaggio dalla relazione.
- Alterazioni ambientali e inquinamento
Effetto serra: riscaldamento dell’atmosfera terrestre dovuto all’assorbimento delle radiazioni infrarosse
emesse dalla superficie della Terra da parte della CO2 atmosferica. Il continuo incremento delle emissioni di CO2
nell’atmosfera da parte dell’uomo sta portando a un’intensificazione dell’effetto serra che potrebbe essere
responsabile di un progressivo riscaldamento dell’atmosfera stessa, con ripercussioni notevoli sul clima globale.
Buco nell’ozono: rarefazione dello strato di ozono che circonda la Terra in una fascia dell’atmosfera compresa
tra i 20-30km di quota, detta ozonosfera, che rende possibile la vita sulla Terra fungendo da schermo per le
pericolose radiazioni ultraviolette. La riduzione di questo strato sembra essere determinata dalle emissioni di
freon nell’atmosfera, cioè un insieme di composti noti come clorofluorocarburi (CFC).
Piogge acide: fenomeno di abbassamento del pH naturale delle precipitazioni, determinato dall’emissione
nell’atmosfera di quantità di ossidi di zolfo e di azoto, prevenienti dagli scarichi industriali e automobilistici.
Eutrofizzazione: fenomeno di alterazione della qualità dell’acqua dovuto all’abnorme proliferazione della flora
acquatica (alghe) determinata da un eccessivo apporto di sostanze nutrienti (nitrati e fosfati).
Pesticidi (antiparassitari / biocidi): sostanze chimiche utilizzate per eliminare i parassiti dalle colture, dagli
animali domestici e dagli ambienti abitati dall’uomo. L’uso di queste sostanze andrebbe controllato e limitato
poiché si tratta di composti molto tossici, spesso cancerogeni, che possono arrecare gravi danni all’ambiente.

Embriogenesi
L’embriologia è la disciplina che studia i processi attraverso i quali dalla cellula uovo fecondata (zigote), in
seguito a una serie di successive divisioni cellulari dotate di un programma di sviluppo ben definito, ha origine
un nuovo individuo formato da tessuti e organi diversi. Con embriogenesi si intende la formazione
dell’embrione, cioè l’organismo nella fase precedente la nascita.
Segmentazione: prima fase dello sviluppo embrionale; serie di divisioni mitotiche che, a partire dallo zigote,
determinano un aumento del numero di cellule, senza incremento di dimensioni. Col procedere delle divisioni,
si forma una struttura sferica, nota come morula. Successivamente le cellule si dispongono in modo da formare
una sfera cava, la blastula, all’interno della quale compare una cavità centrale detta blastocele.
Gastrulazione: processo che permette il differenziamento dei foglietti embrionali. Inizia con la formazione di
una piccola introflessione sulla superficie della blastula; il solco si estende fino alla formazione di una gastrula a
due strati cellulari, uno esterno detto ectoderma e uno interno detto endoderma. A questo stadio, la nuova
cavità formatasi è detta archenteron e la sua apertura blastoporo. In tutti gli animali l’evoluzione procede con
la formazione di un terzo foglietto, il mesoderma: questi tre sono i responsabili dello sviluppo dei vari tessuti.
Neurulazione: da specifiche regioni dei foglietti inizia a definirsi un sistema nervoso. Dall’endoderma si forma
la notocorda la quale stimola l’ectoderma a introflettersi e a formare un solco. I bordi di questo solco, detti
pieghe neurali, si fondono formando il tubo neurale, che darà origine al SNC. Le cellule della cresta neurale,
durante lo sviluppo, migrano dando origine al SNP, tra cui gangli sensoriali e cellule di Schwann. Dal
mesoderma si formano i somiti, gruppi di cellule che si dispongono ai lati del tubo neurale e da cui hanno
origine le vertebre, i muscoli e le altre strutture che formano l’asse corporeo (pagina 179).

Cellule
Unipotenti: cellule staminali in grado di produrre solo cellule dello stesso tipo del tessuto in cui si trovano.
Multipotenti: cellule staminali che danno origine a tutti gli elementi cellulari del sangue (midollo osseo rosso).
Totipotenti: cellule embrionali nella prima fase dello sviluppo in grado di dare origine a tutti i tipi cellulari.

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Terminologia medica
Acido acetilsalicilico: principio attivo utilizzato come farmaco antinfiammatorio, antidolorifico e antifebbrile. È
anche antiaggregante piastrinico, per questo utilizzato nella prevenzione di infarto, ictus e trombosi.
Amniocentesi: esame del liquido amniotico per la determinazione del cariotipo del feto che permette di
individuare la presenza di gravi anomalie congenito o ereditarie.
Anabolizzanti: sostanze che stimolano la sintesi proteica con conseguente aumento delle masse muscolari.
Anfetamine: farmaci che agiscono sul cervello e sul SNS con un effetto stimolante; danno dipendenza.
Analgesici: farmaci che riducono la percezione del dolore.
Antinfiammatori non steroidei (FANS): farmaci utilizzati per il trattamento di infiammazione, dolore moderato
e febbre. Appartiene a questo gruppo l’acido acetilsalicilico.
Asepsi: procedura mirata a creare e a mantenere un ambiente sterile, privo di microrganismi.
Assuefazione: fenomeno in base al quale, dopo un certo periodo di somministrazione, l’effetto sull’organismo
di un farmaco o di una sostanza psicoattiva si riduce.
Astenia: diminuzione della forza muscolare.
Atrofia: degenerazione di un organo o di una sua parte.
Barbiturici: farmaci che agiscono sul SNC riducendo la FC, la PA e la FR; danno dipendenza.
Betabloccanti: farmaci che interferiscono con i recettori beta del SNS; utilizzati nella terapia dell’IA.
Contusione: trauma in cui la pelle non presenta ferite, ma a causa della rottura di vasi sanguigni si presenta
gonfiore (edema) e colorito bluastro.
Eczema: infiammazione della pelle; rappresenta la manifestazione di diverse malattie.
Edema: gonfiore che si verifica a causa dell’aumento del liquido interstiziale presente nei tessuti.
Ematocrito (Hct): percentuale del volume della parte corpuscolata del sangue in rapporto al volume totale.
Ematoma: raccolta di sangue che si forma in un organo o in un tessuto a causa della rottura di un vaso.
Ernia: fuoriuscita di un organo o di una sua parte dalla cavità che di solito lo contiene.
Iperplasia: aumento del volume di un organo per aumento del numero delle cellule.
Ipertrofia: aumento del volume di un organo per aumento del volume delle cellule.
Setticemia: infezione generalizzata, dovuta all’ingresso di agenti patogeni nel circolo sanguigno.
Stenosi: anomalo restringimento di un organo cavo.
Teratogeno: riferito a un fattore che può provocare anomalie durante lo sviluppo embrionale.
Disturbi dell’apparato locomotore
Artrite: infiammazione di un’articolazione, accompagnata da calore, dolore, gonfiore, rigidità e arrossamento.
Artrosi: malattia delle articolazioni caratterizzata da riduzione delle cartilagini articolari.
Cifosi: curvatura accentuata della colonna vertebrale con convessità posteriore.
Scogliosi: curvatura della colonna in senso laterale.
Distorsione: lesione traumatica di un’articolazione, che comporta allungamento o lacerazione dei legamenti.
Ernia del disco: condizione anomala in cui parte del disco intervertebrale sporge fra le due vertebre.
Osteoporosi: degenerazione e aumento della fragilità del tessuto osseo, a causa della diminuzione di minerali.
Distrofie muscolari: malattie ereditarie caratterizzate da degenerazione progressiva del sistema muscolare.
Distrofia muscolare di Duchenne: indebolimento progressivo dei muscoli, fino alla completa inabilità. Dovuta a
un genere situato sul cromosoma X e colpisce i bambini maschi.
Disturbi dell’apparato cardiocircolatorio e del sangue
Anemia: ridotta concentrazione di eritrociti o di emoglobina nel sangue.
Anemia falciforme: malattia genetica dovuta alla mutazione del gene che codifica per la β-emoglobina.
Aneurisma: dilatazione irreversibile di un tratto di un’arteria.
Arteriosclerosi: ispessimento e indurimento delle pareti delle arterie, con perdita di elasticità.
Aterosclerosi: presenza di lesioni accompagnate da notevoli quantità di grassi.
Embolia: occlusione di un vaso sanguigno da parte di un corpo estraneo.
Ictus: morte improvvisa di parte delle cellule cerebrali; ischemico = occlusione; emorragico = rottura.
Infarto miocardico: necrosi di parte del tessuto cardiaco dovuta all’occlusione delle arterie coronarie.
Ischemia: stato di sofferenza di un tessuto dovuto a insufficiente apporto di ossigeno.
Ittero: colorazione giallastra della cute dovuta all’aumento della bilirubina nel sangue.
Leucemia: malattia caratterizzata da proliferazione incontrollata e accumulo di leucociti presenti nel sangue.
Shock: insufficienza circolatoria, con ridotta ossigenazione e conseguente sofferenza dei tessuti.
Trombosi: formazione di trombi, cioè coaguli di sangue all’interno del cuore o dei vasi.

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Disturbi dell’apparato respiratorio
Asma bronchiale: malattia infiammatoria cronica delle vie respiratorie; terapia: broncodilatatori.
Enfisema: patologia dei polmoni caratterizzata da un aumento degli spazi che contengono aria; dovuta alla
distruzione o alla perdita di elasticità delle pareti degli alveoli.
Pleurite: malattia caratterizzata da infiammazione della pleura.
Sinusite: infezione che colpisce le mucose che rivestono i seni paranasali; causata da virus o batteri.
Disturbi dell’apparato digerente
Calcoli biliari: masse dure che si possono formare nella cistifellea o nelle vie biliari.
Cirrosi epatica: patologia del fegato che comporta alterazioni della struttura e morte delle cellule epatiche.
Dispepsia: indica disturbi digestivi, come gonfiore o pesantezza, che compaiono dopo i pasti.
Gastrite: infiammazione della mucosa gastrica.
Peritonite: infiammazione del peritoneo dovuta a processi infettivi che colpiscono gli organi addominali.
Ulcera gastrica: lesione della mucosa dello stomaco dovuta all’azione dei succhi gastrici sulle pareti.
Disturbi dell’apparato uro-genitale
Criptorchidismo: mancata discesa del testicolo; rimane bloccato nell’inguine.
Endometriosi: presenza di endometrio al di fuori della normale sede.
Glomerulonefrite: processo infiammatorio a carico dei glomeruli renali.
Disturbi del sistema nervoso degli organi di senso
Cataratta: alterazione del cristallino che si opacizza e non permette il passaggio dei raggi luminosi.
Encefalite: processo infiammatorio che colpisce l’encefalo.
Epilessia: alterazione dell’attività elettrica del cervello che si manifesta con crisi improvvise.
Morbo di Alzheimer: perdita progressiva della memoria e delle capacità intellettive.
Morbo di Parkinson: degenerazione di strutture del SNC responsabili del controllo dei movimenti.
Spina bifida: malformazione consiste nella mancata saldatura delle vertebre, durante lo sviluppo embrionale.
Meningite: malattia infiammatoria che colpisce le meningi a livello dell’encefalo o del midollo spinale.
Disturbi del sistema endocrino
Diabete insipido: malattia caratterizzata dall’eliminazione di abbondante urina, a causa di patologie
dell’ipotalamo o dell’ipofisi che determinano un’insufficiente produzione di vasopressina.
Diabete mellito: incapacità di regolare il tasso di glucosio nel sangue; dovuto alla scarsa produzione di insulina.
Diabete insulino-dipendente (tipo I): colpisce giovani; correlato a una carenza di insulina.
Diabete non insulino-dipendente (tipo II): colpisce anziani e obesi; il fegato produce continuamente glucosio.
Morbo di Basedow: malattia della tiroide caratterizzata dall’aumento di attività della ghiandola.
Disturbi del sistema immunitario
Malattia autoimmune: si ha quando il sistema immunitario perde la capacità di distinguere tra self e non-self,
considerando alcune proteine dell’organismo come sostanze estranee e producendo quindi anticorpi contro le
proprie cellule. Esempi: artrite reumatoide (infiammazione delle articolazioni); sclerosi multipla (distruzione da
parte dei linfociti T del rivestimento dei nervi.
Allergia: l’organismo scatena una risposta immunitaria contro sostanze normalmente innocue.
AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita): infezione che colpisce direttamente le cellule del sistema
immunitario. È un insieme di malattie che seguono all’infezione a opera del virus HIV.
Tumori
Un tumore (neoplasia) è una massa di tessuto che si origina in seguito a processi di divisione cellulare che
procedono senza scopo né controllo. La crescita incontrollata che caratterizza un tumore si verifica a causa
della comparsa di alcuni importanti meccanismi inibitori: inibizione da contatto, cioè il blocco automatico della
crescita quando la cellula attiva a contatto con altre; inibizione a feedback delle sintesi cellulari, cioè il blocco
della sintesi di un prodotto cellulare quando questo ha raggiunto la quantità voluta; inibizione della mobilità,
cioè la perdita della possibilità di muoversi della cellula che ha raggiunto la propria sede definitiva.
Un tumore benigno è formato da cellule proliferate in modo anomalo che però mantengono le caratteristiche
istologiche del tessuto che le ha originate e restano nel luogo di origine; un tumore maligno (cancro) è formato
da cellule non differenziate, che hanno perso le caratteristiche del tessuto d’origine, si dividono rapidamente e
possono spostarsi andando a generare altri tumori (metastasi) in punti diversi dell’organismo.

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