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Edipo - Copione

Il documento tratta della tragedia di Edipo Re di Sofocle. Racconta delle vicende di Edipo che, per sfuggire al proprio destino, uccide la Sfinge e diventa re di Tebe sposando Giocasta, che in realtà è sua madre. Una pestilenza colpisce poi Tebe e si cerca di scoprire la causa per porvi rimedio.

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Edipo - Copione

Il documento tratta della tragedia di Edipo Re di Sofocle. Racconta delle vicende di Edipo che, per sfuggire al proprio destino, uccide la Sfinge e diventa re di Tebe sposando Giocasta, che in realtà è sua madre. Una pestilenza colpisce poi Tebe e si cerca di scoprire la causa per porvi rimedio.

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EDIPO

Laboratorio Teatrale Classico


Liceo Machiavelli
a.s. 2022-2023

Riscrittura a cura di Leonardo Bucciardini, Caterina Fornaciai, Francesca Mecatti


con la collaborazione degli studenti del Laboratorio Teatrale Classico
dalla traduzione di Francesco Morosi

1
Prologo
La strada

Teho Teardo, We thought we know everything

(Edipo entra in scena. Ismene e Antigone lo sorreggono)

ANTIGONE
Padre, dove siamo diretti?

(Edipo si volta verso la voce della figlia e sta in silenzio un momento)

EDIPO
Antigone, è da tanto che non ho una meta. Il tempo per me è scaduto, tra poco non ci sarò più, e la vergogna
che porto a te e a tua sorella, brucerà con me sulla pira. Ah figlie mie, ricordo i tempi della giovane Tebe…

ISMENE
Di quando regnavi sulla rocca, padre?

EDIPO
No… Sogno il tempo dei nostri antenati, del principe Cadmo e la figlia d’amore e guerra.
Ah se la stirpe di Tebe fosse stata amata dagli dei, come erano amati loro, invece di essere noi gli ultimi figli
di questa famiglia maledetta. Sapete, li proteggeva Eros in persona!

ANTIGONE
lo sappiamo padre…

EDIPO
E fu lui, Cadmo, il primo a giurare l’amore, davanti a tutti gli dei, sapete? Che da loro nacquero i nostri padri,
e Semele divina, e che regnarono su Tebe e la resero la più grande delle città!

ISMENE
lo sappiamo padre…

EDIPO
Sì loro… loro sono divenuti dei, stelle, e vegliano su di noi dall’alto, osservano voi, figlie mie, e me povero
vecchio, e la città di Tebe e…

ANTIGONE
Padre, fermati. Non perderti nelle leggende...

(Edipo si ferma e sembra tornare un po’ in sé)

ANTIGONE
Il fato ti è stato avverso, sei stato maledetto e nessuno ti ha protetto, e…

EDIPO
E gli dei non esistono.

(Ismene e Antigone si scambiano uno sguardo)

2
EDIPO
Presto, proseguiamo il nostro cammino, dobbiamo trovare un posto in cui riposarci.

ISMENE
Manca ancora molto al buio, abbiamo tempo.

EDIPO
Le creature più terribili, Ismene, si muovono nella luce del giorno.

Scena prima
La sfinge

Teho Teardo, Système de Mr Kirnberger

EDIPO
Oh! Scusami.

SFINGE
Ti ho spaventato?

EDIPO
Sì, cioè no… stavo fantasticando.

SFINGE
Mi hai scambiato per un animale?

EDIPO
Sì, lo confesso.

SFINGE
Confessi di avermi scambiato per un animale, grazie (offesa). Lo capisco, per un giovanotto non è spassoso
trovarsi bruscamente naso a naso con me.

SFINGE
Ora lasciami andare per la mia strada.

EDIPO
Quale strada?

SFINGE
Buonasera. (gira la testa)

EDIPO
Buonasera (fa per andarsene, esita). Trovo estremamente intrigante la tua presenza in questo luogo, mi
sembra incredibile trovare un rivale degno di me.

SFINGE
Un rivale? Allora mi cercavi.

3
EDIPO
Se ti cercavo? È da un mese che cammino senza riposo sognando gloria.

SFINGE
Quindi ami la gloria.

EDIPO
Non so se amo la gloria. Amo le folle scalpitanti, le trombe, lo scuotersi degli stendardi reali, lo sventolare
delle palme, il sole, la porpora, la felicità e il rischio, insomma la vita.

SFINGE
E tu questa la chiami vita?

EDIPO
E tu?

SFINGE
Io no, ho un’idea completamente diversa nella vita.

EDIPO
E quale?

SFINGE
Amare ed essere amati da chi amiamo.

EDIPO
Amerò il mio popolo e lui mi amerà.

SFINGE
La pubblica piazza non è una famiglia.

EDIPO
A Tebe, il popolo cerca un uomo da amare. Se ti ucciderò, sarò io quell’uomo e sposerò la regina Giocasta.

SFINGE
Una donna che potrebbe essere tua madre.

EDIPO
L’essenziale è che non lo sia.

SFINGE
Credete che un popolo e una regina si consegnino al primo venuto?

EDIPO
E io sarei il primo venuto? Il sogno non è solo un sogno. Sono un re che rincorre l’ignoto fuggendo dal suo
destino.

SFINGE
Non ti sarà facile vincermi.

4
EDIPO
So che il modo più facile per aggirare l’oracolo sarebbe quello di sposare una donna più giovane ma non ho
corso e attraversato montagne e fiumi per prendere in moglie una donna che diventerebbe presto una
Sfinge, peggio di una Sfinge, una Sfinge con mammelle e artigli.

SFINGE
Queste parole non sono da te, pesanti e volgari.

EDIPO
Io sposerò una regina quando vi avrò ucciso. Qual è la prova?

(pausa)

SFINGE
Hai già ucciso?

EDIPO
Una volta. All’incrocio fra le strade di Delfi e Daulia. Si avvicinava un carro condotto da un vecchio e scortato
da quattro servi. Ho urtato uno dei servi. Quell’imbecille si è rivoltato contro di me e cercando di difendermi
ho colpito il vecchio alla tempia e quello è caduto. In realtà non è stata colpa mia, non ci penso più.
L’importante è che riesca a superare gli ostacoli.

SFINGE
E allora addio. Faccio parte di quel sesso che disturba gli eroi. Ti confesso che mi sarebbe piaciuto coglierti
impreparato, ho un debole per i deboli. Lasciamoci. Non credo che abbiamo altro da dirci.

EDIPO
Aspetta! Non abbiamo finito. Qual è la prova?

(pausa)

SFINGE
Se fossi io ad ucciderti?

EDIPO
Qual è la prova?

SFINGE
Ciò che vuoi, lo vuoi, lo hai voluto tu.

(pausa)

La solitudine del mostro è infinita.

EDIPO
Perché non conosci la solitudine di Edipo.

Scena seconda
La peste

5
Apparat, Goodbye

MESSAGGERO
Edipo, mio re, la peste è giunta a Tebe e non ha risparmiato nessuno: donne, bambini, vecchi. Dimmi, mio
signore, cosa dobbiamo fare?

Scena terza
Edipo, Sacerdote e Creonte

(Davanti alla reggia di Tebe. Entrano Edipo, il Sacerdote e un gruppo di giovani supplici)

EDIPO
Figli, stirpe nuova dell’antico Cadmo, perché sedete qui, incoronati coi rami dei supplici? La città è piena di
incensi, piena di lamenti. Sono venuto qui di persona: io, Edipo, noto a tutti. Dimmi, vecchio: spetta a te
parlare a nome di costoro. Con quale sentimento siete qui? Paura, o speranza? Voglio aiutarvi in tutto: sarei
insensibile se non provassi pietà per la vostra preghiera.

SACERDOTE
Edipo, come vedi tu stesso, la città vacilla, e non è più in grado di risollevare la testa dagli abissi di onde
sanguinose. Perisce nei boccioli che producono i raccolti; perisce nelle greggi ai pascoli; nei parti sterili delle
donne.
Ora, Edipo, tu che sei per tutti il signore più potente, noi tutti ti preghiamo, ti supplichiamo: trova un qualche
aiuto per noi. Tu, che sei il migliore fra i mortali, risolleva la città! Rifletti: ora, per il bene che le hai fatto,
questa terra ti chiama salvatore. Con un presagio favorevole un tempo ci desti la felicità: ora sii all’altezza!
Perché se governerai anche in futuro questa terra di cui ora sei signore, è meglio governarla piena di uomini
che vuota: una fortezza o una nave non sono niente se sono prive di uomini che ci abitino dentro.

EDIPO
Miei poveri figli: so bene che tutti soffrite. E sebbene voi soffriate, nessuno di voi soffre quanto me: perché il
vostro dolore riguarda soltanto ciascuno di voi, e nessun altro; ma il mio animo si tormenta insieme per la
città, per me e per voi. Ho inviato Creonte, mio cognato, alla dimora di Apollo a Delfi, a domandare che cosa
potrei fare o dire per salvare questa città. Apollo signore! Fa’ che venga in una luce di salvezza, come quella
che gli risplende sul viso.

CREONTE
Riferirò ciò che ho sentito dal dio. Apollo ci comanda esplicitamente di espellere da questa terra la
contaminazione.

EDIPO
E con quale purificazione?

CREONTE
L’esilio, o la morte in cambio della morte: perché è questo sangue che travolge la città con la tempesta.

EDIPO
Alla morte di chi allude il dio?

CREONTE

6
Un tempo, Laio, il re di questa terra fu ucciso e il colpevole vive fra noi.

EDIPO
Lo so per sentito dire, perché io non l’ho mai visto con questi occhi.

CORO
Sta morendo la città, e non sa più contare i suoi morti.

Senza compianto, i suoi figli giacciono a terra: portano morte, e nessuno li piange.

Dovunque, le spose e le madri canute gridano come supplici i loro lugubri dolori alle sponde
degli altari.

Il peana risplende, e insieme risuona la voce del lutto.

Per tutto questo, dorata figlia di Zeus, inviaci il bel volto del soccorso!

E Ares violento, che ora mi dà alle fiamme nell’urlo di un assalto senza armi, tu volgilo in una
fuga precipitosa, lontano dalla mia patria.

Il soffio favorevole dei venti lo porti al grande talamo del mare, o alle onde inospitali di
Tracia.

Se la notte tralascia qualcosa, il giorno arriva a portarlo a compimento.

Tu che governi il potere di fuoco del lampo, padre Zeus, annientalo con il tuo fulmine!

Scena quarta
Tiresia e Edipo, prima e dopo: due quadri contemporanei, il primo è quello di un giovane Edipo che parla con
Tiresia; il secondo è nella reggia di Tebe.

(Entrano due Tiresia, uno da destra e uno da sinistra: si posizionano vicini, affrontati, bendati).

EDIPO
Vecchio Tiresia, devo credere a quel che si dice in Tebe, che ti hanno accecato gli dei per invidia?

TIRESIA1
Se è vero che tutto viene da loro, devi crederci.

EDIPO
Tu che dici?

TIRESIA2
Che degli dei si parla troppo. Esser cieco non è una disgrazia diversa dall’esser vivo.

EDIPO
Ma allora gli dei che ci fanno?

7
TIRESIA1
Il mondo è più vecchio di loro. Già riempiva lo spazio quando il tempo non era ancor nato. Le cose stesse
regnavano allora; adesso, attraverso gli dei, tutto è fatto parole, illusione, minaccia. Ma gli dei possono solo
accostare o scostare le cose; non mutarle. Sono venuti troppo tardi.

EDIPO
Proprio tu, sacerdote, dici questo?

TIRESIA2
Se non sapessi almeno questo, non sarei sacerdote. Prendi un ragazzo che si bagna nell’Asopo. È un mattino
d’estate. Il ragazzo esce dall’acqua, ci ritorna felice, si tuffa e rituffa. Gli prende male e annega. Che cosa
c’entrano gli dei. Dovrà attribuire agli dei la sua fine, oppure il piacere goduto? Né l’uno né l’altro. È
accaduto qualcosa – che non è bene né male, qualcosa che non ha nome – gli daranno poi un nome gli dei.

EDIPO
E il dar nome, spiegare le cose, ti par poco, Tiresia?

TIRESIA1
Tu sei giovane, e come gli dei che sono giovani rischiari tu stesso le cose e le chiami. Non sai ancora che sotto
la terra c’è roccia e che il cielo più azzurro è il più vuoto. Per chi, come me, non ci vede, tutte le cose sono un
urto, non altro.

EDIPO
Anch’io ho fatto incontri per le strade di Tebe. Ho sentito di un viandante che ha risolto un enigma ed è
diventato re. Perché non provi a pregare gli dei perché rischiarino le sue decisioni?

TIRESIA2
Non sei il solo a credere che esistano le tenebre e la luce, il bene e il male, e a dar loro un nome. Ma la roccia
non si tocca a parole. Soltanto il cieco sa la tenebra. Tutti preghiamo qualche dio, ma quel che accade non ha
nome. Il ragazzo annegato un mattino d’estate, cosa sa degli dei? Ti sei mai chiesto perché gli infelici
invecchiando accecano?

(Escono i ‘Tiresia’)

(Seconda scena; in parallelo)

EDIPO
Voi pregate: e in risposta alle vostre preghiere, se vorrete accogliere le mie parole e provvedere contro la
malattia, riceverete protezione e sollievo dai mali. Parlerò da persona estranea a questa storia, estranea ai
fatti, e non potrei andare lontano nelle indagini senza un qualche indizio. Ora, ultimo cittadino giunto fra i
cittadini, proclamo questo a tutti i Tebani: ordino che chiunque fra voi conosca l’uomo che ha ucciso Laio
figlio di Labdaco riferisca a me ogni cosa. Se ha paura, può cancellare l’accusa denunciandosi: non soffrirà
nulla di odioso, e lascerà questa città senza subire danni. Se invece qualcuno sa che l’assassino è un altro
uomo o uno che viene da un altro paese, non resti in silenzio: avrà la mia ricompensa e la mia gratitudine.
Ma se non parlerete, e temendo per gli amici o per voi stessi non obbedirete alle mie parole, ascoltate che
cosa farò. Io prego che il colpevole, che abbia agito da solo nel segreto o con più complici, viva infelice una
vita infelice.

CORO
Signore, la tua maledizione ci interpella: per questo parleremo. Non abbiamo ucciso noi, e non sappiamo
indicare l’uccisore. E per quel che riguarda l’indagine: visto che ce lo ha ordinato lui, spetta a Febo mostrare

8
il colpevole.

EDIPO
È giusto. Allora chiamate l’indovino.

(Entra Tiresia, accompagnato dagli schiavi)

EDIPO
Tiresia, tu osservi tutto, ciò che può essere rivelato e ciò che deve essere taciuto, ciò che è in cielo e ciò che è
in terra. Anche se non vedi, tu comprendi quale morbo alligna in città. In te solo, signore, troviamo
protezione e salvezza. Se i messaggeri non te l’hanno già riferito, infatti, alle nostre richieste Febo ha risposto
che l’unica liberazione da questo male verrà se troveremo gli assassini di Laio e li uccideremo, o li
condanneremo all’esilio da questa terra. Siamo nelle tue mani: aiutare un uomo come meglio si può è la
fatica più nobile.

TIRESIA
Come è terribile sapere, quando la conoscenza non serve a chi sa! Ne ero consapevole, ma l’ho dimenticato:
o non sarei mai venuto qui.

EDIPO
Che succede?

TIRESIA
Io non voglio dare dolore né a me né a te. Perché ti ostini a interrogarmi? È inutile: da me non saprai nulla.

EDIPO
Sì! E nella mia ira dirò tutto quello che penso. Sappi che per me questo crimine l’hai macchinato tu, l’hai
compiuto tu, salvo che non hai ucciso con le tue mani. Anzi, se tu non fossi cieco, direi che sei tu l’unico
colpevole.

TIRESIA
Davvero? E allora ti dico: rispetta l’editto che hai appena emanato, e da oggi non rivolgere la parola né a loro
né a me, perché sei tu l’empio che contamina questa terra.

EDIPO
Tu credi di poter parlare sempre così senza pentirti?

TIRESIA
Sì, se la verità ha una sua forza.

EDIPO
Ce l’ha, ma non per te – non per te che hai ciechi gli occhi, le orecchie e la mente!

TIRESIA
Me ne vado, ma prima dirò quello per cui sono venuto. Non ho paura di te: tu non puoi farmi niente. Io ti
dico: quell’uomo che cerchi da tempo per l’omicidio di Laio, con minacce e con proclami – quell’uomo è qui,
straniero solo a parole. Ma poi si scoprirà che è tebano per nascita, e questo non gli darà alcuna gioia. Infatti
vede e sarà cieco, è ricco e sarà un mendicante, vagherà guidandosi con il bastone in una terra straniera. Si
scoprirà che è fratello e padre dei figli con cui vive, che è figlio e sposo della donna che l’ha generato, e che è
l’assassino del padre con cui ha condiviso la semina. Rientra in casa, e medita su queste parole. E se troverai
che ho mentito, di’ pure che di profezie io non so nulla.

9
(Escono Edipo e Tiresia)

CORO
Chi è l’uomo con le mani lorde di sangue che la pietra di Delfi, voce del dio, ha accusato di
aver commesso l’atto più indicibile fra gli indicibili?

Il figlio di Zeus, infatti, armato di fuoco e di lampi gli balza addosso.

Con lui sono le terribili Chere, le dee del destino, che non errano.

Un bagliore è rifulso da poco: tutti diano la caccia all’uomo senza volto.

Terribili angosce, terribili, agita l’indovino sapiente.

Forse questo non significa niente, lo so, ma alcuni niente cambiano tutto quello che viene
dopo di lo

Non posso credere, non posso negare: non so che cosa dire.

Volo sulle ali delle attese, non vedendo né il presente né il futuro.

Scena quinta
Edipo e Creonte

(Entra Creonte)

CREONTE
Cittadini, ho sentito dire che il re, Edipo, muove contro di me accuse orribili.

CORO
Sì, l’insulto è stato pronunciato.

(Entra Edipo)

EDIPO
Tu! Con che coraggio sei venuto qui? Sei così sfrontato da presentarti in casa mia? È facile da vedere: sei il
mio assassino e il ladro del mio regno! Su, dillo, per gli dèi: mi credevi un codardo, o un folle? Per questo hai
deciso di agire? O pensavi che non mi sarei accorto del tuo crimine?

CREONTE
Io, per mia indole, non voglio essere re, ma piuttosto fare cose da re – e così la pensa chiunque sia sano di
mente. Ma col tempo saprai con certezza, perché il tempo soltanto mostra l’uomo giusto: quello malvagio lo
riconosci in un giorno.

CORO
Ha parlato bene, signore. Bisogna stare attenti a non cadere: chi decide troppo in fretta non è ben saldo.

10
EDIPO
Ma se uno avanza in fretta con i suoi complotti segreti, bisogna che anche io faccia in fretta a prendere le
contromisure. Se me ne resto tranquillo, i suoi disegni saranno compiuti, e i miei falliranno.

CREONTE
Che cosa vuoi dunque? Vuoi esiliarmi?

EDIPO
No! La tua morte voglio, non l’esilio.

CREONTE
Vedo che non ragioni.

EDIPO
Ragiono bene, quando si tratta del mio interesse.

CREONTE
Ma devi pensare anche al mio!

EDIPO
No, perché tu sei un traditore. Sei abile con le parole ma non conosco nessun uomo onesto che trovi parole
belle per ogni circostanza.

CREONTE
E se ti sbagliassi? C’è una gran differenza fra dire molte cose e dirle al momento opportuno.

EDIPO
Nondimeno, devo regnare.

CREONTE
No, se regni male.

EDIPO
O città, città!

CREONTE
È anche la mia! Non appartiene solo a te.

CORO
Signori, basta! Vedo che al momento giusto esce dal palazzo Giocasta: con il suo aiuto bisogna che
ricomponiate la vostra lite.

Scena sesta
Edipo e Giocasta

(Entra Giocasta)

GIOCASTA

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Sciagurati, perché avete dato inizio a questa stupida contesa? Non vi vergognate di sollevare problemi privati
quando la città è così malata? Non ingigantite una faccenda da nulla: tu, rientra a casa; e anche tu, Creonte.

(Creonte esce)

Allora considerati assolto da quello che stai dicendo. Stammi a sentire, e imparerai che niente che sia
mortale possiede una capacità profetica. Te ne darò una breve prova. Un tempo giunse a Laio un oracolo –
non dirò direttamente da Febo, ma dai suoi ministri: che il suo destino sarebbe stato di morire per mano di
un figlio che fosse nato da lui e da me. Ma stando a quel che si dice, egli fu ucciso da briganti stranieri
all’incrocio di tre strade. Non erano passati tre giorni dalla nascita di nostro figlio, che gli legò le caviglie dei
piedi e lo gettò per mano altrui su un monte inaccessibile. E così Apollo non adempì la sua profezia: il figlio
non fu l’assassino del padre, e Laio non subì dal figlio il crimine tremendo che temeva. Queste cose le
avevano annunciate le parole dei profeti. Non dartene cura: ciò che il dio ha bisogno di cercare, lo mostra lui
stesso facilmente.

EDIPO
Signora, come vaga la mia anima, come si agita la mia mente, da quando ho sentito le tue parole!

GIOCASTA
Quale angoscia ti travolge?

EDIPO
Mi pare di averti sentito dire che Laio fu ucciso all’incrocio di tre strade.

GIOCASTA
Così si diceva, e così si dice ancora.

EDIPO
E dov’è questo luogo? Dove avvenne il fatto?

GIOCASTA
La regione è la Focide, nel punto in cui si incontrano le strade che vengono da Delfi e da Daulide.

(pausa)

Ma io merito di sapere che cosa ti turba, signore.

EDIPO
Ti racconterò la mia storia; partii un giorno da Corinto, dopo che durante un banchetto un ubriaco mi rivelò
che non ero figlio di colui che pensavo essere mio padre. A Delfi, però, Apollo non mi diede il responso per
cui ero venuto; ma mi preannunciò sventure tremende e funeste: era destino che mi unissi a mia madre, che
dessi alla luce una stirpe insopportabile alla vista degli uomini, che fossi l’assassino del padre che mi aveva
concepito. E io da allora mi tenni lontano dalla terra di Corinto, orientandomi con le stelle, perché non si
realizzassero i terribili oracoli. Durante il viaggio giunsi proprio al luogo in cui tu dici che fu ucciso il re.
E a te, signora, racconterò la verità. Viaggiavo nei pressi di quel trivio, quando mi imbattei in un araldo e in
un uomo dell’aspetto che dici tu, a bordo di un carro trascinato da dei cavalli. Il guidatore e il vecchio
cercano entrambi di buttarmi fuori strada con la forza: allora io colpisco con rabbia l’auriga, che mi spingeva
fuori; non appena lo vede, il vecchio aspetta che io arrivi accanto al carro e mi colpisce in piena testa con uno
sprone a due punte. In cambio non ha avuto lo stesso trattamento: per farla breve, lo colpisco con il bastone
che tenevo proprio in questa mano, e lui subito è sbalzato fuori dal carro e cade disteso sulla schiena. Li ho
uccisi tutti. Ora, se quello straniero aveva qualche legame con Laio, chi potrebbe essere adesso più

12
sciagurato, più in odio agli dèi di me?

Scena settima
(Edipo travestito da mendicante vaga per Tebe, si imbatte in due uomini che litigano: sono il servo e
messaggero che si strattonano e si provocano a vicenda rivelando il suo passato; Edipo ascolta e comprende).

EDIPO
Erompa ciò che deve: io voglio conoscere la mia origine, per quanto modesta. Forse lei, che si vanta tanto
come fanno le donne, si vergogna dei miei natali umili. Ma io mi considero figlio della Fortuna che concede il
bene, e non proverò disonore. Questa è la madre da cui sono nato: e lo scorrere dei mesi, miei fratelli, mi ha
fatto apparire ora infimo, ora grande. Questo sono io, e non potrei mai diventare un altro: perciò, non ho
paura di conoscere la mia stirpe.

(da un lato della scena)

(dall’altro)

MESSAGGERO
E il bambino chi te lo consegnò, sua madre? (ridendo) Sua moglie?

SERVO
Giocasta aveva quindici anni allora, era dilaniata dal dolore del parto, non lo vide che un attimo e poi glielo
portarono via.

MESSAGGERO
A me la prima volta avevi raccontato che era stata lei, a dartelo.

EDIPO
Te lo diede lei?

SERVO
Sì, signore.

MESSAGGERO
Con quale ordine?

SERVO
Che lo uccidessi.

EDIPO
Lei, che lo aveva partorito?

MESSAGGERO
Hai intenzione di raccontare questo, eh? Vuoi proprio far piangere di commozione il nostro re, il principe-
trovatello, Giocasta, la madre e moglie incolpevole, e magari anche Creonte il saggio, il serio, il pacato. (gli fa il
verso)

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SERVO
Non doveva nascere! Hai capito? Non doveva e basta. Giocasta che colpa aveva? Nove mesi prima Laio l’aveva
violentata perché era ubriaco fradicio e aveva sbagliato camera. A quel tempo lei e la Sfinge erano buone
amiche ma l’oracolo parlava chiaro.

MESSAGGERO
… quell’unico figlio, quell’unico errore, avrebbe ucciso Laio, il re glorioso di Tebe dalle sette porte.

SERVO
Laio il violento, Laio l’ubriacone, Laio…

MESSAGGERO
E piantala, lo sanno tutti com’era.

(pausa)

Tu non eri altro che un servo della casa, un pastore. Dovevi gettarlo in una rupe del Citerone, come ti avevano
detto, e correre indietro senza fermarti dalle tue greggi. Il suo pianto si sarebbe confuso con il belato degli
animali e nessuno ti avrebbe mai più chiesto niente. Cosa hai fatto? Ora te ne rendi conto di cosa hai fatto?

SERVO
Aveva le caviglie forate. Piangeva. Quanti anni sono passati? Venti? Trenta? Il sole potrebbe tornare ad arare il
cielo mille volte! Ogni maledetto giorno mi sveglio sognando il pianto di quel bambino. Il suo volto grigio e le
fasce macchiate di sangue mi perseguitano.

MESSAGGERO
In ogni caso Polibo è morto, vado a annunciarlo a corte.

(fa per andare)

SERVO
(Non lo ascolta) Laio aveva fatto questo. A suo figlio. Non Giocasta. «Perché non possa mai camminare, né mai
sfuggire alla sua sorte», aveva detto con uno sguardo torvo. Io invece non riuscivo a guardarlo.

MESSAGGERO
Laio è morto; a quanto pare si è vendicato, il trovatello.

SERVO
Non doveva andare così.

MESSAGGERO
Certo non sarebbe andata così se tu avessi obbedito. Che ne sai tu di oracoli?

(il servo lo guarda smarrito)

(urlando) Ti sto parlando di Polibo, ora! È Polibo che è morto! Mi ascolti; vado a Palazzo dal buon re e dalla
amatissima regina a dire che tutta lo loro esistenza sta crollando, hai capito?

Ma poi perché darlo a Polibo?

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SERVO
Non aveva figli!

MESSAGGERO
Adesso che è morto si saprà tutto, è inevitabile, tu e la tua compassione, guarda dove ci avete portato.

EDIPO
Ahimè: tutto è chiaro. Luce, che io ti possa vedere adesso per l’ultima volta. Io, che sono nato da chi non
dovevo, mi sono unito a chi non dovevo, ho ucciso chi non dovevo.

CORO
Stirpi dei mortali, la vostra vita la valuto un nulla: chi, chi fra gli uomini della felicità
conquista più di un’illusione? Così com’è apparsa, subito scompare. Davanti al tuo esempio,
infelice Edipo, davanti al tuo destino, nulla dei mortali io considero felice.

Tu lanciando il dardo con mira perfetta sei stato padrone della prosperità più colma – o
Zeus! –, e uccidendo la donna che cantava con artigli rapaci ti sei levato contro la morte,
baluardo della mia città. Da allora sei chiamato mio re e ricevi gli onori più grandi, signore di
Tebe gloriosa.

E ora, a quel che si sente, chi è più infelice di te, che un rovescio della vita ha fatto compagno
del disastro e del dolore? Oh, nobile Edipo! Lo stesso grande porto ti bastò come figlio e
come padre: come poterono, infelice, come poterono i solchi arati dal padre sopportare in
silenzio sino a quel punto?

Ma il tempo che vede tutto ti ha scoperto, contro la tua volontà, e ora, in queste nozze che
non sono nozze, ti conduce a giudizio, come figlio e come padre. Oh figlio di Laio, quanto
vorrei non averti mai visto: piango su di te, versando un grido altissimo. Ma devo dire una
parola di verità: è grazie a te se ho respirato ancora e ho addormentato i miei occhi nel
sonno.

Tutte le cose il tempo immenso, innumerevole porta alla luce se sono nascoste e le
nasconde se sono manifeste, nulla è impossibile, crolla anche il giuramento più sacro, si
piega l’animo più duro.

Scena ottava
Morte di Giocasta

Teho Teardo, L’étoile

(Entra il Secondo messaggero)

SECONDO MESSAGGERO
O tebani onorati, che cosa dovrete udire, che cosa vedere e quanto dolore soffrire, se ancora amore di stirpe
vi lega alla casa di Labdaco! Io credo che né l’Istro né il Fasi potrebbero purificare questa reggia da ciò che

15
nasconde, torbide opere di male. Altre sventure, fra poco, verranno alla luce, sventure volontarie, non
involontarie, e sono quelle che danno più tristezza.

CORO
Ciò che conosciamo è già triste e grave: che cosa vuoi dirci ancora?

SECONDO MESSAGGERO
Ecco: è una notizia breve anche da conoscere: la divina Giocasta è morta!

CORO
E come è morta?

SECONDO MESSAGGERO
S’è uccisa. Il più grande dei dolori vi è risparmiato, perché non avete visto. Tuttavia, per quanto mi rimane
nella memoria, conoscerete i suoi mali. Appena entrata nel vestibolo, si slancia sconvolta nella stanza, sul
letto nuziale, strappandosi i capelli con entrambe le mani. Sbatte le porte alle sue spalle, e chiama Laio ormai
morto da tempo: ricorda la semina antica, che avrebbe ucciso lui e lasciato lei a generare dal suo stesso figlio
una prole mostruosa. E piange il talamo in cui, sciagurata due volte, ha partorito un marito da suo marito e
figli da suo figlio. Dopo questi lamenti, come sia morta io non lo so: infatti fra le urla irrompe Edipo, e non
siamo riusciti a vedere la fine di quella donna. Ci volgiamo verso di lui, che vaga impazzito: corre da una
parte all’altra, ci chiede una spada, domanda della moglie che non è una moglie, ma una madre in cui lui ha
trovato una semina doppia, comune a lui e ai suoi figli. È in preda al furore, un dio gli mostra la strada – certo
non un uomo, nessuno di noi che siamo lì presenti. Con grida spaventose si scaglia contro le porte, come se
lo stesse guidando qualcuno, divelle i cardini alla base e piomba nella stanza. E lì la vediamo: impiccata,
appesa ai nodi di un cappio che oscilla. Quando la vede, mugghia terribilmente, lo sciagurato; scioglie il nodo
che pende. La sventurata è posata a terra, e quello che accade dopo è tremendo a vedersi. Strappa dalle
vesti di lei le spille dorate con cui si adornava, le solleva e si colpisce gli occhi. Intanto urla che non avrebbero
più dovuto vedere né i mali subìti né i mali compiuti; solo nelle tenebre, ormai, avrebbero visto chi non
dovevano vedere e non avrebbero riconosciuto chi dovevano riconoscere. Intonando questi lugubri inni, più
volte – non una volta sola – trafigge i suoi occhi. E intanto le pupille gli bagnano le gote di sangue, e non
smettono. La felicità di un tempo era vera felicità. Ma ora, in questo giorno, è pianto, rovina, morte,
vergogna. Di tutti i nomi che ha il male, non ne manca nessuno.

(Edipo si abbassa le mani dagli occhi)

EDIPO
Invidio le parole perché sono capaci di fare quello che noi non sappiamo mai fare, sono capaci di dire tutto di
sé rimandandosene ferme e basta, essendo e basta. Le cose più belle le diciamo solitamente per evitare di
dire una verità.

CORO
Da morte e da vecchiaia sono risparmiati solo gli dei.

Ma il tempo, l’assoluto sovrano tutto il resto lo confonde.

E svanisce il vigore della terra, poi svanisce il vigore che è nel corpo, e ancora, poi, è la voglia
di aver fede a morire e germoglia la sfiducia.

Non è lo stesso vento, mai, a soffiare su un volto amico o di città in città.

16
E prima o poi il piacere si fa amaro per tutti, anche se si torna a cercarlo.

Sembrano buoni i giorni che tramontano a Tebe: in un viaggio senza fine il tempo sarà padre
mille volte dei giorni e delle notti che verranno, quando violenza e inutili pretesti
disperderanno i patti di amicizia.

Abitanti di Tebe, guardate! Questo è Edipo, che conosceva gli enigmi, l’uomo più potente.

Nessuno dei cittadini guardava senza invidia alla sua sorte, e ora è travolto dall’onda
imponente della sua sventura.

Perciò, guardando alla fine di Edipo, nessun mortale ritieni felice, prima che varchi il confine
della vita senza aver sofferto alcun male.

EPILOGO
La strada

(Edipo entra in scena sorretto da Ismene e Antigone; sulla strada incontrano un mendicante)

MENDICANTE
Viandante, un’offerta! Mio signore, solo un soldo!

(lo guarda meglio e trasale perché riconosce Edipo)

EDIPO
Non sono un uomo come gli altri, amico. Io sono stato condannato dalla sorte. Ero nato per regnare fra voi,
Sono cresciuto sulle montagne. Adesso non vedo più nulla e le montagne sono soltanto fatica, ogni cosa che
faccio è destino. Capisci?

MENDICANTE
Io sono vecchio, Edipo e non ho visto che destini. Ma credi che gli altri – anche i servi o gli storpi – non
amerebbero esser stati re di Tebe, come te?

EDIPO
No, non capisci, non è questo. Che cosa è Edipo, che cosa siamo tutti quanti, se fin la voglia più segreta del
tuo sangue è già esistita prima ancora che tu nascessi e tutto è già stato detto?

MENDICANTE
Forse, Edipo, qualche giorno di gioia c’è stato anche per te. E non dico quando hai vinto la Sfinge e tutta Tebe
ti acclamava, o quando ti è nato il tuo primo figlio, e sedevi in palazzo ascoltando il consiglio. Ma hai pure
vissuto la vita di tutti; sei stato giovane e hai veduto il mondo, hai riso e giocato e parlato, non senza
saggezza. Hai goduto delle cose, il risveglio e il riposo, e battuto le strade. Ora sei cieco, va bene. Ma hai
veduto altri giorni.

EDIPO
Non nascere è fortuna che supera ogni altra. Ma se l’uomo viene alla luce, ritornare presto là da dove è
venuto è la fortuna più grande che rimane.

17
(pausa)

Non sono un uomo come gli altri, lo so.

MENDICANTE
La vita è più grande, Edipo. Da giovane io ho lasciato la casa e percorso la Grecia per cercare il tuo destino di
gloria. Ti credevo felice nella reggia di Tebe, vincitore della Sfinge.

EDIPO
Vedi, il tramonto, come la sopravvivenza, esiste solo nel momento in cui il sole sta per sparire. Per
risplendere, su questa terra, prima qualcuno deve vederci. Ma essere visti significa essere prede.

MENDICANTE
Tu ora sei il mio oracolo. Tu hai rovesciato il mio destino. Mendicare o regnare, che importa? Abbiamo
entrambi vissuto, lascia il resto agli dei.

EDIPO
Altro è parlare, altro soffrire, amico.

(pausa)

Ma certo parlando, qualcosa si placa nel cuore, parlare è un poco come andare per le strade giorno e notte
senza meta. Strana cosa che per capire il prossimo ci tocchi fuggirlo. E i discorsi più veri sono quelli che
facciamo per caso, tra sconosciuti.

MENDICANTE
Già, come quelli che hai fatto all’incrocio delle strade, con la Sfinge.

Kate Bush, Running up that hill (piano)

CORO
Il sole tramonta.

Si ridestano le armi.

Questa sera distrugge ancora.

Questa sera si uccide ancora.

Al mattino.

Piove.

Piove sulla città e sulle sue rovine.

Piove sui corpi e sulle loro ferite.

Di nuovo il silenzio.

18
Di nuovo l’immobilità.

Solo respiri lunghi e lenti.

19

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