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Con l’episodio di oggi entriamo in un mondo per certi versi atipico. Il personaggio di Dafne che abbiamo
assunto come prototipo della ninfa emula fedes ovvero emula della dea di ??
è soppiantato da una tipologia di ninfe completamente differente. Potremmo apparentare
ragionevolmente Salmacide, la coprotagonista dell’episodio che ci accingiamo a discutere, alla ninfa Eco,
perdutamente innamorata di Narciso. Infatti, ambedue queste ninfe sembrano, anziché dedicarsi alla
caccia, essere particolarmente attratte da tutto quello che riguarda la figura di Venere, il mondo dei piaceri
e delle passioni. E soprattutto, anziché dedicarsi alle attività oratorie, hanno una cura del proprio aspetto,
del proprio cultus, che le avvicina molto alle donne di epoca augustea ossessionate dal proprio aspetto
fisico e della curia maniacale dei dettagli della propria bellezza. Però, prima di arrivare a questo nodo
centrale dell’episodio, Salmacide più che essere un’emula fedes si rivedrà un’emula veneris, anche per la
vita molle, profondamente attratta dai valori estetica; dovremmo preoccuparci di disegnare il contesto in
cui l’episodio è inserito.
Il quarto libro delle metamorfosi è dedicato a tutta una serie di personaggi e di saghe che riguardano la
zona di Tebe. Quella zona di Tebe dominata dal re Penteo, che è avverso all’introduzione dei culti dattici, e
pagherà con la vita. Verrà fatto a pezzi dalla stessa madre e dalla zia, le quali essendo seguaci del culto di
Dioniso, in stato di trans estatica, non si rendono conto di fare a pezzi rispettivamente il proprio figlio ed il
proprio nipote. Penteo morirà vittima di uno sparagmos, di uno squartamento orrendo, un delitto di
famiglia, implicito nel momento stesso in cui il re vieta il riconoscimento della divinità di Dioniso/Bacco.
C’è una sacca della popolazione che rifiuta di riconoscere la divinità del dio Trace, tra questi, mentre tutti gli
altri inneggiano a Bacco come nume da riconoscere all’interno del pantheon Olimpico, ci sono le figlie di Re
Minia Adorcomeno che invece continuano ad attendere alle loro attività quotidiane, attività muliebri
(filatura e saldatura della lana), rimanendo estranee alle cerimonie/liturgie con cui si celebra il
riconoscimento della potenza sovraumana di Bacco, le famose laudes bacchiche. Le quali corrono all’inizio
del quarto libro del poema, dove con una virtuosistica tecnica compositiva Ovidio allinea ben 14 epiteti del
dio investendo tutti i settori di pertinenza del suo potere e dimostrando con quale trasporto tutta la zona
della Tebaide, per la stragrande maggioranza, riconosce, tra le esultanze, il potere inimitabile di Bacco
stesso.
Questo rifiuto sdegnoso delle figlie del Re Minia riporta l’attenzione del lettore dagli esterni agli interni. Nel
palazzo reale in cui risiedono la congrega delle sorelle è riunita ad attendere ai lavori quotidiani, e come
vuole la migliore tradizione letteraria fissata da un passo celeberrimo del quarto libro delle Georgiche,
Ovidio ispirandosi a Virgilio, ci disegna un ambiente acquoreo.
Siamo di fronte alla congrega delle ninfe marine che intorno a Cirene, la madre di Aristeo, come sempre si
riunisce a tessere e a chiacchierare di storie d’amore. La tradizione in questione che passa da Viriglio
attraverso Ovidio al medioevo, sarà il probabile punto di riferimento inspiratorio di una parte della cornice
del Decameron, posto che anche qui ci si riunisce per parlare soprattutto d’amore. Lì però la congrega sarà
maschile e femminile insieme e la cornice della peste che decima la popolazione di Firenze, consiglia di
ritirarsi fuori porta; quindi, la situazione è diversa il contesto è diverso è storico. Però questo piacere di
favellare d’amore la congrega che tenta di contrastare così anche l’avvento della pesta, continua a fare per
dieci giorni di seguito.
Qui la congrega è assolutamente femminile, ed in una sorta di scena quasi piccolo borghese. Ecco cosa
fanno le ninfe capitanate da Cirene, nel passo in questione quando Aristeo ha appena preso contezza del
fatto che le sue api sono tutte quante morte e quindi lui si trova senza più lo sciame da cui trae il proprio
sostentamento e la propria fama. Lui è l’inventore della melis urgia ovvero sia dell’allevamento delle api e
della coltivazione del miele. Avendo causato la morte di Euridice, alla quale aveva tentato di arrecare
violenza fisica, la ninfa era fuggita ed era intaccata in un serpente che le aveva morso il tallone,
provocandone la morte. La punizione degli dèi è severissima: Aristeo perde le api e non sa come
recuperarle, l’unica possibilità è fare appello alla saggezza della madre, che è una ninfa marina. Da lei saprà
che soltanto interloquendo con l’indovino Profeo, potrà venire a capo del problema che lo tormenta. E
allora con una scena da lirica greca, con kata pontismos. Vi ricordate che nel Ditirambo di Simonide (l’unico
che ci sia rimasto in condizioni accettabili) Teseo, l’eroe di questo ditirambo, si gettava in mare per andare
ad interrogare un oracolo. Questo kata pontismos (kata ponton “attraverso il mare”) era descritto con toni
vividissimi come un’esperienza prodigiosa che poneva il lettore o l’ascoltatore di fronte ad un mondo
marino fascinoso. Questo viaggio del protagonista si sviluppava in un mondo meraviglioso per gran parte
ignoto all’uomo greco del VI secolo a.C. Il kata pontismos di Teseo scopriva antri sottomarini, rocce mai
viste prima, vegetazioni impensabili, pesci inusuali insomma tutto un mondo pieno di mirabilia, di cose
straordinarie, di paradoxa ossia cose inverosimili. Un mondo fantastico che si sviluppava
indipendentemente dal mondo terreste pur mantenendo caratteri comuni con la vita che si ha aldilà della
superfice del mare. Le grotte somigliano certamente a quelle terrestri ma con colori differenti, la luce si
proiettava con spettri iridescenti differenti. Lo stupore di Teseo che è dotato di uno straordinario filtro che
gli permette di non morire sott’acqua lo mette a contatto con un mondo ricco di fascino, di segreti e di
mistero. Proprio attraverso questo kata pontismos troverà il modo di venire fuori dall’impasse e dai
problemi che lo agitano.
Memore di questo splendido passo di Simonide, ecco che qui abbiamo un’altra specie di kata pontismos,
meglio dire kata potamos. Il nostro personaggio, Aristeo, non si tuffa in mare, ma come ci dice il primo
pezzo del brano che stiamo analizzando, è talamo sub fluminis alti, il luogo in cui si reca, ovvero il fondo del
fiume in cui abita stanzialmente la madre Cirene, che non è una ninfa marina ma pluviale. Però anche i
fiumi, a seconda del loro bacino, possono essere particolarmente profondi, e nell’immaginario virgiliano
questo fiume ha un alveo particolarmente consistente, tale da definirlo altus, che in latino quando viene
utilizzato dal punto di vista volumetrico, non significa alto ma profondo. I lamenti, la richiesta di aiuto del
figlio, giungono a Cirene, la madre, mentre si trova sub talamo fluminis alti, quando si trova sotto il fiume
profondo, in cui risiede. Proprio lì lei è intenta, insieme alla congrega delle sorelle, in attività di filatura
come se si trattasse di una congrega di donne con comuni intenti alle loro mansioni. Il grido di aiuto del
figlio giunge a spezzare il quadro di serenità domestica quotidiana che il poeta ricrea, come fossero comuni
mortali, anche le ninfe discutono d’amore.
Georgiche, libro IV, 333-344 Ma la madre percepì il grido sotto il talamo (sotto la
At mater sonitum thalamo sub fluminis alti volta di una camera) del fiume profondo. Intorno a
sensit. Eam circum Milesia vellera Nymphae lei le ninfe tessevano lane milesi, tinte del colore
carpebant hyali saturo fucata colore, 335 scuro del vetro (è un vetro oscuro), Durmo, Xanto,
drymoque Xanthoque Ligeaque Phyllodoceque, Fillòdoce e Ligea, con le chiome rilucenti sparse
caesariem effusae nitidam per candida colla,
attraverso i candidi colli (lett. cosparse di una
Nesaee Spioque Thaliaque Cymodoceque,
capigliatura rilucente lungo i candidi colli),
Cydippeque et flava Lycorias, altera virgo,
altera tum primos Lucinae experta labores, 340 Cippie e la bionda Licoriade, l’una vergine
Clioque et Beroe soror, Oceanitides ambae, l’altra che allora aveva sperimentato per la prima
ambae auro, pictis incinctae pellibus ambae, volta i travagli di Lucina (aveva appena partorito) *,
atque Ephyre atque Opis et Asia Deiopea e Clio, la sorella Bèroe, ambedue oceanine**,
et tandem positis velox Arethusa sagittis ambedue cinte d’oro e di pelli colorate, ed Efire,
Opi, e l’asiatica Deiopea e la rapida Aretusa, che
anafora finalmente ha deposto le frecce.
Siamo di fronte ad elenco estremamente sontuoso e prezioso, dove ogni ninfa marina è designata da un
teonimo che la differenzia dalle altre.
Aretusa è una ninfa molto famosa, è siracusana. Cacciata da Alfeo, il fiume sotterraneo che la insegue
rincorrendola fino in Grecia per farla sua.
345-346
Fra di loro Clìmene narrava il vano affanno di Vulcano (la
passione e la gelosia vana di Vulcano), gli inganni di Marte,
ed i dolci amori furtivi,
Inter quas curam Clymene narrabat inanem
Vulcani Martisque dolos et dulcia furta,
dolos martis: gli inganni di Marte, il famoso testo di cui abbiamo parlato altre volte. Il racconto presente
nell’ottavo libro dell’Odissea, dell’adulterio di Ares e di Afrodite. Ne ha fatto riferimento anche Galasso. C’è
questa rete d’oro che Efesto prepara appositamente per aviluppare gli amanti colti in fallo alla presenza
degli altri dei per sminuirne le crediblità rendendoli oggetto di scherno
per la paradossalità della situazione cui tutti gli dei assistono. La rete aurea improvvisamente casca sul letto
in cui è in corso l’amplesso.
347-353
e enumerava i fitti/numerosi amori degli dei
aque Chao densos divum numerabat amores
Caos, in un canto dal quale conquistati mentre
carmine quo captae dum fusis mollia pensa
devolvunt, iterum maternas impulit aures traggono giù i molli pennelli dei fusi, nuovamente il
luctus Aristaei, vitreisque sedilibus omnes pianto luttuoso di Aristeo colpò le orecchie delle
obstipuere; sed ante alias Arethusa sorores madre e tutte rimasero basite nei sedili di vetro.
prospiciens summa flavum caput extulit unda Ma prima di tutte le altre sorelle, Aretusa allungando
et procul lo sguardo trasse fuori la testa bionda dal velo
dell’acqua e da lontano: *
*avverte la sorella Cirene che c’è suo figlio nelle vicinanze che si erge tra le lacrime e che la chiama crudele
perché ancora non è sovvenuta ai suoi bisogni. Ha necessità di incontrarla per venire fuori dall’impasse
della perdita delle api.
In questo quadro ricorrono soggetti privilegiati. Vengono ricordati la gelosia ed il vano affanno di Vulcano,
gli inganni di Marte ed i dolci amplessi evidentemente il riferimento è alla storia narrata nell’ottavo libro
dell’Odissea che ritorna invariabilmente in Ovidio, nell’Ovidio dell’Ars e delle Metamorfosi. Questo è un
episodio che si ripresenta come particolarmente opportune alle riscritture poetiche. Si tratta di un
momento di demitizzazione del divino, perché Venere e Marte vengono colti in un momento di intimità
fisica extraconiugale per la dea, e quindi il riso che scatenano negli altri dèi è un commento che disintegra
la loro credibilità, la loro divinità stessa. È un testo che si presta alle riscritture ricche di umorismo di un
poeta allusivamente provocatorio come il nostro poeta di Sulmona.
Perché prendere spunto da questa cornice oggi? La cornice delle Miniadi che novellano fra di loro l’amore
non è assolutamente diversa all’inizio del quarto libro, le vediamo intente a filare la lana né più né meno
che le ninfe che abbiamo appena passato in rassegna in questo catalogo virtuosistico di stampo
callimacheo. Alla stessa maniera si occupano di amori divini e non. Si comincia con la favola di Piramo e
Tisbe e si continua con gli amori di Marte e Venere, gli amori di Clizia e Leucotoe e infine l’episodio di
Salmace ed Ermafrodito (che a noi interessa particolarmente).
È per questo che a fronte del testo che abbiamo appena letto, adesso leggeremo i quattro tipi di amore
presi in considerazione dalle figlie del re Minia, passando dal quarto libro delle Georgiche al quarto libro
delle Metamorfosi. Avremo delle evidenti coincidenze.
Alcithoe Minyeiasé[…] sed adhuc temeraria Bacchum (Mentre tutti gli abitanti di Orcomeno sono impegnati
progeniem negat esse Iovis sociasque sorores a celebrare Bacco) Alcitoe una delle figlie di Minia,
inpietatis habet. ancora arrogante dice che Bacco non è figlio di Giove e
trova come compagne alla sua empietà le sorelle.
Mentre tutto il resto della popolazione sta celebrando la divinità di Bacco, le minieidi pensano bene di
riunirsi intorno ai loro telai, e durante le festività: verso 34 e seguenti
ducunt lanas aut stamina pollice versant Filano la lana o volgono gli stami con il pollice o
aut haerent telae famulasque laboribus urguent. stanno attaccate alla tela ed incalzano le schiave nei
e quibus una levi deducens pollice filum loro lavori, e una di loro, traendo il filo con il pollice
'dum cessant aliae commentaque sacra frequentant, lieve “mentre le altre sono lontane e frequentano i
nos quoque, quas Pallas, melior dea, detinet' inquit, sacri riti, anche noi che pallade, la dea superiore,
'utile opus manuum vario sermone levemus tiene occupate, rallegriamo l’utile opera delle
nostre mani (l’attività delle nostre mani) con
racconti variegati.
IN questa maniera pensano bene di dedicarsi a storie di carattere amoroso. Il primo racconto che viene
affrontato è l’amore tormentato di Piramo e Tisbe, uno dei testi più frequentati anche durante il medioevo,
ci sono testi provenzali legati a Piramo e Tisbe di chiara influenza Ovidiana.
Questa premessa consente di ricordare che Alcitoe, che è colei che invita le sorelle a continuare le fatiche
femminili quotidiane cui sono avvezze, insieme a raccontare storie d’amore, è proprio quella che adesso si
occuperà di evocare a sua volta l’episodio di Salmacide ed Ermafrodito, che fra i quattro è il più
sorprendente. Ma chi è Ermafrodito? Vv 274 – 284
SEZIONE DI MARIA MESSINA
DA 58:00 A 1:26.00
Dunque com’è questo giovinetto? Questo giovinetto ha qualcosa di veramente particolare: ha una
bellezza fisica che, per la sua età (ha 15 anni, il testo ce lo dice chiaramente), ha sicuramente tanto
del maschile quanto del femminile; ma questo in natura non sarebbe stupefacente perché anche
Adone ha gli stessi caratteri, anche Narciso ha gli stessi caratteri.
Noi sappiamo bene che tra i 15 e i 16 anni, quando si giunge al momento della maturazione sessuale
completa che si può dire terminata entro il 18esimo anno di età, tutti i quanti (maschi e femmine),
hanno caratteristiche tanto maschili quanto femminili (particolarmente nell’immaginario maschilista
antico, i maschi. In essi si compendia per esempio quando le guance non sono state ancora rasate,
evidentemente la tenerezza dei lineamenti assembla più facilmente la bellezza di un adolescente
maschio alla bellezza di un’adolescente femmina). Le fattezze di un adolescente maschio e di
un’adolescente femmina sono abbastanza vicine tra di loro fino allo sbocciare dei seni nelle
fanciulle, e al marcarsi di questo plenum corporeo rispetto ai toraci maschili: in genere le pelli sono
ugualmente levigate, il colore è candidus per definizione, le chiome sono spesso fluenti perché in
antico si portavano lunghe; dunque è estremamente difficile riconoscere il discriminante dal
maschile rispetto al femminile in quest’età di trapasso.
Il testo è di una bellezza soggiogante dal punto di vista linguistico. Vi prego adesso di ripercorrere
insieme quello che Alcitòe racconta alla congrega delle sorelle intente a filare la lana:
'Unde sit infamis, quare male fortibus undis 285
Salmacis enervet tactosque remolliat artus,
discite. causa latet, vis est notissima fontis.
In tre versi Alcitoe compendia IL TAGLIO EZIOLOGICO della sua narrazione, cioè lei intende
spiegare donde Salmacide sit infamis, abbia cattiva fama; ovvero il motivo per cui Salmacide (in
origine una ninfa ma è il nome di una fonte) abbia cattiva fama (quella che, come dicevo pocanzi,
consisteva nel fatto che chiunque vi si tuffasse, uscisse privato delle sue caratteristiche virili).
TRADUZIONE “ quale sia il motivo per cui Salmacide abbia cattiva fama, per quale motivo
con le sue possenti acque (ma male fortibus significa il contrario ‘con le sue onde femminilizzante.
Male è uno di quegli avverbi che servono a creare una litote –‘male’ è meno efficace di ‘non’ latino
ma ha lo stesso significato “non forti”. Queste onde causano a chi tenga con esse un contatto diretto
causano un effetto quasi ? come se privassero delle doti virili il malcapitato di turno. Non a caso
nella traduzione del Lacock si dice esattamente quanto segue: “da dove la sua mala fama, perché la
Salmacide snervi con acque … e impiattisca le membra che tocca, io vi dirò”; ed in effetti questo
‘male fortibus’ intende sottolineare la capacità snervante –ma nervus in latino era una delle
designazioni del membro virile al posto di penis- delle acque di privare della virilità a chiunque vi si
bagni. RIPETE LA TRADUZIONE “per quale motivo abbia cattiva fama, per quale motivo
snervi con acque debilitanti e rammollisca gli arti al suo contatto, apprendete (discite è un
imperativo). (in questo momento la reazione della storia data da Alcitoe ha un carattere didascalico:
le sorelle apprenderanno finalmente un AITION, l’origine di un mito, legato alla fonte Salmacide
che ha la cattiva fama che segue, ovvero sia emasculare gli uomini che vi si bagnino) aggiunge:
“infatti la causa è nascosta, ma è notissima la potenza della fonte” (e allora lei spiegherà proprio
la ragione di questo evento, l’origine di questo mito).
Mercurio puerum diva Cythereide natum
naides Idaeis enutrivere sub antris,
cuius erat facies, in qua materque paterque 290
cognosci possent; nomen quoque traxit ab illis.
In quattro esametri Ovidio sintetizza gli estremi della nascita e dell’aspetto stesso del giovinetto
protagonista. TRADUZIONE “le Naiadi (naides) nutrirono sotto le grotte dell’Ida (non dovete
pensare all’Ida di Creta, dovete pensare all’Ida della zona frigia, nei pressi di Alicarnasso) un
fanciullo figlio di Mercurio e della dea Citerea, il cui aspetto era tale che in esso si potessero
riconoscere sia il padre sia la madre (questo ricorda ‘i caratteri ereditari’ di Lucrezio nei versi
1076 e ss. sulla trasmissione dei caratteri ereditari. Qui ha sicuramente le sue ripercussioni quel
principio noto della medicina ippocratica per cui in ogni bambino ci possono essere tracce dei geni
paterni e tracce dei geni materni: qui nel caso di Ermafrodito si possono riconoscere parti del padre
e parti della madre) e anche il nome trasse da loro” (immediatamente il nomen diventa omen, il
fatto di somigliare tanto al padre quanto alla madre sembra preannunciare il fatto che lui
compendierà, ad un certo punto della sua esistenza e per volontà degli dei, l’elemento maschile e
l’elemento femminile. ERMAFRODITO ERMES e AFRODITE).
is tria cum primum fecit quinquennia, montes
deseruit patrios Idaque altrice relicta
ignotis errare locis, ignota videre
flumina gaudebat, studio minuente laborem. 295
Ancora una volta quattro esametri per informarci della crescita di questo puer che appena compie
15 anni si stacca dalla terra di appartenenza e comincia a girovagare. TRADUZIONE “non
appena ebbe compiuto tre volte i quinquenni abbandonò i monti della patria, e lasciata l’Ida
sua nutrice (era stato allattato dalle ninfe idee) si compiaceva nell’errare in luoghi ignoti, nel
vedere fiumi ignoti (chiunque abbia letto un libro cult di Herman Esse ‘Narciso e Boccadoro’, che
è una sorta di biografia spirituale di un ragazzo che ad un certo punto abbandona i suoi trascorsi, e
attraverso ad una serie di esperienze -votato alla vita monacale e lasciato l’amico poco più grande-
viene in contatto con il mondo esterno e scopre luoghi ignoti, persone ignote fino a rovesciare il
prototipo di provenienza, ed alla fine quando rincontrerà il maestro poco più grande, lui sarà un
uomo che ha consumato persino il delitto; però tutto questo ne ha fatto una persona totalmente
indipendente dal maestro stesso, dal quale lui voleva diversificarsi pur essendogli profondamente
attaccato. Allora qui siamo di fronte a quello completa irrequietezza tipica dell’adolescente che
vuole sperimentare personalmente tutto quello che ancora non conosce. Il nostro personaggio, che
non a caso non è mai designato onomasticamente perché questo è un mito eziologico e lui diventerà
Ermafrodito solo alla fine, per ora il nome non ce l’ha, sappiamo solo che nel volto ha tratti paterni
e tratti materni –anticipazione dell’esito finale quando si unirà a Salmacide e verrà fuori questo
prodigio-. Vedete ignotis ignota siamo di fronte ad un poliptoto) mentre il suo desiderio
attenuava la fatica” (era il desiderio di conoscenza che lo attanagliava e che attenuava il labor, la
fatica o labos –Traina vi ha insegnato che ci sono nomi in origine con la sibilante che mantengono i
nominativi nelle due forme: o terminanti in sibilante o con la littera canina).
ille etiam Lycias urbes Lyciaeque propinquos
Caras adit:
TRADUZIONE “e lui raggiunse anche le città della Licia e i Cari vicino alla Licia” (vedete
che questo è un movimento progressivo che lo porta a contatto con città e popoli confinanti con la
zona di provenienza)
videt hic stagnum lucentis ad imum
usque solum lymphae;
TRAD. “qui vide uno stagno di acqua rilucente fino al fondo” (viene attratto dalla lucentezza,
dalla luminosità di questa lympha –perché in greco si chiamavano ‘nymphai’ le acque, perché c’era
questa coppia minima nympha:lympha infatti si credeva che ogni acqua nascondesse dentro di sé
una divinità, una ninfa-. Le fonti sono sempre luoghi di perdizione nel mondo antico, luoghi di
passaggio di stato, luoghi di metamorfosi. L’acqua ha sempre un potere perturbante perché noi in
mezzo all’acqua perdiamo l’ortostasi, l’equilibrio ed è simbolico della perdita della condizione
identitaria dell’uomo).
non illic canna palustris
nec steriles ulvae nec acuta cuspide iunci;
perspicuus liquor est; stagni tamen ultima vivo 300
caespite cinguntur semperque virentibus herbis
Questa fonte è veramente straordinaria perché non ha nulla del paesaggio vegetale che
contraddistingue le fonti, ed Ovidio ci insiste su questo punto attraverso una catalogazione
contraddistinta dalla ripetizione di nec, di particelle negative, una catalogazione per assenza.
TRADUZIONE “lì non c’erano canne palustri, né canne sterili, né giunchi dalla punta
aguzza (nec è anafora intrastitica, non la variatio iniziale) l’acqua è trasparente (perspicere
significa ‘guardare attraverso’) tuttavia soltanto sui margini lo stagno è cinto da zolle vive (vivo
cespite) e da erbe sempreverdi” (vedete che stagnum è sinonimo di fons, fons è maschile, stagnum
è neutro. Il poeta insiste sul fatto che questa fonte tuttavia è perspicua ma alle sue estremità è cinta
da vive zolle ed erbe sempreverdi, ed è chiaro che questa fonte pertiene all’immaginario dei loci
ameni e questo è importante perché proprio nella cornice di un locus amoenus avverrà questo
mostruoso amplesso voluto da Salmacide ed avallato dagli dei per cui il fanciullo perderà non solo
la verginità ma soprattutto la propria identità. La fonte è la sede di una ninfa e di più ninfe, e il vero
protagonista non sarà più Ermafrodito, che in quanto bramato, è la parte debole di una possibile
coppia, sarà Salmacide la vera protagonista di un amplesso forzato, la violentatrice che otterrà di
non separarsi mai più dal fanciullo riottoso).
nympha colit, sed nec venatibus apta nec arcus
flectere quae soleat nec quae contendere cursu,
solaque naiadum celeri non nota Dianae
saepe suas illi fama est dixisse sorores 305
Anche qui, così come per la fonte, le designazioni procedono per negazione attraverso la ripetizione
di nec perché c’è corrispondenza tra NYMPHA e LYMPHA. TRADUZIONE “la abita una
ninfa, ma né adatta alle caccie né solita a piegare gli archi, né in grado di gareggiare nella
corsa ed è l’unica a non essere nota tra le Naiadi alla celere Diana (le ninfe naiadi sono tra
quelle privilegiate nel corteo di Diana perché condividono perfettamente con lei, pur essendo ninfe
acquoree, l’abitudine alla vita venatoria; invece Salmacide dalla vita venatoria rifugge. Vedremo
che sembrerebbe addetta al culto di Venere tanta è la sua preoccupazione di apparire bella, tanto il
suo amore per l’otium e la sua ripulsa nei confronti di ciò che comporta da un lato labor, dall’altro
perdita di cultus. Ecco perché Diana la conosce, non fa nulla di comune con la dea, sembra che la
sua disciplina di vita sia agli antipodi di quella abbracciata da diana e dalle sue seguaci. ‘quae
contendere’ sottintende ‘soleat’) e spesso è fama che le sorelle le abbiano detto” (le altre naiadi
chiaramente la richiamano a rispettare i temi della vita trascorsa all’insegna della dea Diana).
"Salmaci, vel iaculum vel pictas sume pharetras
et tua cum duris venatibus otia misce!"
Ecco che per la prima volta abbiamo la designazione del nome della fonte. TRADUZIONE
“Salmacide prendi o il giavellotto o la faretra dipinta e alterna il tuo riposo con la dura
caccia” (vedete che lei che nec venatibus apta non ne vuole proprio sapere. Ricordate che pharetras
in prosa si legge phàretras, in metrica pharetràs –muta cum liquida-. Sumo in latino non è capio,
significa ‘prendo quello che mi serve’ mentre capio ‘prendo quello che è mio’: la faretra è in
prestito, è un’insegna del culto di Diana).
Sbobina latino, giorno 6 maggio, Angela Mercurio, seconda parte.
TRADUZIONE: È il turno di Alcidoe, dopo che percorrendo gli stami della tela di fronte a lei con il pettine,
disse: io taccio degli amori, comunemente diffusi del pastore Dafni, che una ninfa, incollerita verso una
rivale, trasformò in masso. Un così grande dolore tormenta gli innamorati. Né tratto di come un tempo,
trasformate le leggi di natura, Sitone sia stato ora suo marito ora pettine. E anche te che sei adesso acciaio
durissimo, un tempo fidatissimo al piccolo Giove e i cureti che furono generati da una pioggia abbondante e
Croco, trasformato insieme a Smitrace in piccoli fiori, passò sotto silenzio. E invece io intratterrò i vostri
animi con una piacevole novità.
Alcitoe vuole stregare l’interesse delle sorelle presentando non vulgatos amores, non storie d’amore
comuni, riguardante il pastore dafni e la sua metamorfosi in pietra, né tantomeno intende parlare di Sitone
che alternava una identità maschile a una femminile, né tanto meno della metamorfosi di Celli, uno dei
giganti che si erano occupati di Giove appena nato o dei cureti, che erano stati frutto di un larghissimo
acquazzone caduto sulla terra o Croco e Smitrace, due fanciulli che sono stati metamorfizzati in fiore.
Lei vuole, invece, intrattenere gli animi delle sorelle con una dulcis novitas.
In effetti narra una storia d’amore preziosa, niente affatto diffusa nel mondo antico, infatti ci sono
pochissime fonti che riportano la storia di Salmacide ed Ermafrodito, sembra proprio che sia frutto
dell’estro creativo di Ovidio la combinazione di questi due personaggi che erano diversamente stati appaiati
da storici in epoche contemporanee ad Ovidio, anteriori o posteriori.
Cos’è un ermafrodito?
Il nome stesso ci dice che è un essere che nell’aspetto ha le ereditarietà somatiche di due divinità: Hermes
da un lato, Afrodite dall’altro, cioè una divinità maschile e femminile.
Se cerchiamo nel dizionario Androgino, dal latino androginus e greco androgenos (composto di anèr, andròs
e gune,gunaikòs cioè uomo e donna) in biologia è sinonimo di Ermafrodito, individuo partecipe dei due
sessi, ha caratteri sessuali maschili quanto femminili.
Dobbiamo fare appello a una tradizione complessa che attraversa in diagonale epoche e autori tanto greci
quanto latini.
Una mappatura ricchissima ha fatto, nel commento tedesco apparso nel 1976 ai libri IV e V delle
Metamorfosi, Umer, una mappatura più sintetica ma più aggiornata, perché sono passati 40 anni, ha fatto
Giampiero Rosati.
Rosati dice: “l’ultima storia raccontata dalle minieidi, che si sono riunite in atto di protesta contro il
riconoscimento della divinità di Bacco nelle sale del palazzo del padre a filare la lana, è ambientata
anch’essa in Asia minore.”
Non vi stupite, perché le storie paradossali, incredibili, mostruose, contro natura, in genere per il mondo
greco-latino vengono sempre dall’oriente, più esattamente dal medio-oriente, vicino all’attuale Turchia.
In un passo del de officis di Cicerone, primo libro, paragrafo 61, Cicerone cita questo frammento di Ennio e
ci dice “ma da chi non si è sentito parlare di Salmacide dalla fonte contro natura, impura” perché si
favoleggiava che chiunque si fosse bagnato nelle acque della fonte salmacide avrebbe subito un effetto
emasculante, cioè avrebbe perso la virilità.
Questa notizia presenta una versione diversa in Ditrullio, famoso autore del de architettura, prodotto in
epoca Augustea, in cui nel secondo libro, al capitolo 8 e paragrafo 11, spiega la cattiva fama della fonte
Salmacide in un’altra prospettiva.
Infatti secondo lui sarebbe stata la dolcezza civilizzatrice della cultura greca, che avrebbe avuto la meglio sui
costumi dei barbari, ma questa, che si credeva una versione razionalizzata della leggenda, ora, dopo la
scoperta di un’iscrizione metrica, appartenente al II e I sec a.C., ci presenta una sorta di mito di
colonizzazione.
Ermafrodito è visto l’inventore che grazie alle facoltà civilizzatrici della ninfa fonte di Salmacide, avrebbe
introdotto in questa zona della Grecia peninsulare, ovvero nella Licia, il matrimonio legale.
Quindi la versione che presenta Ditrullio è una storia di civilizzazione, sarebbe stato infatti il giovinetto che
avrebbe introdotto, in questa zona dell’asia minore, l’istituzione matrimoniale, rispetto alle libere unioni che
fino ad allora si praticavano.
Le testimonianze letterarie greche, che erano note fino alla scoperta del 1998 di questa iscrizione metrica,
erano … mentre quelle figurative, che rappresentano ermafrodito come una figura femminile con genitali
maschili, sono frequenti già dal 4 secolo a.C.
A questa tradizione, di una figura femminile con genitali maschili, che è presente dal 4 secolo a.C., sembra
legato anche Diodoro Siculo.
Diodoro siculo è citato da Mario Labate, in un suo articolo del 1993 ha pubblicato un saggio prezioso
intitolato “storie di instabilità, l’episodio di Ermafrodito nelle metamorfosi di Ovidio”, passando in rassegna
le fonti di cui disponeva fino al 1993, ancora l’iscrizione metrica non era stata scoperta.
Vediamo cosa dice Diodoro siculo in 4,6,5: “in modo simile a Priapo, alcuni narrano che sia nato
ermafrodito, generato da Hermes ed afrodite, ha ricevuto il nome composto da entrambi i genitori, alcuni
dicono che sia un Dio e in certi periodi appaia tra gli uomini e sia nato con una natura corporea promiscua di
maschio e di femmina. Abbia la bellezza e la morbidezza del corpo di una donna e l’aspetto virile e il vigore
di un uomo, ma alcuni dichinarono che queste specie per le loro nature siano dei mostri e che vengano
generati dalla mente, e portano presagi ora di mali, ora di bene.”
Questa testimonianza di Diodoro siculo consuona esattamente con una tradizione che voleva che
ermafrodito avesse i caratteri sessuali maschili e femminili senza aver conosciuto Salmacide, cioè ce li
avesse sin da quando era apparso sulla terra.
Da questo punto di vista ci viene in aiuto un epigramma dell’antologia palatina, 9, 783, dove si legge: “Io
porto gli emblemi di ambedue i miei genitori: tanto afrodite quanto mercurio”.
È il protagonista, sotto forma di statua, che dice di avere caratteristiche tanto maschili quanto femminili.
Una parte proveniente da Hermes, suo padre, una parte proveniente da afrodite.
Allora è verosimile che l’unione dei due personaggi, salmacide e quello che sarà poi ermafrodite, alla fine
della sua metamorfosi, siano frutto di un aggancio tra le due storie compiuto da Ovidio stesso.
Quindi Ermafrodito non sarebbe nato con queste caratteristiche in origine, ma secondo Ovidio, soltanto
attraverso l’unione con salmacide, che desidera possederlo in eterno, gli dèi acconsentano che il frutto del
loro amplesso sia un nuovo puer.
L’unione dei due corpi produce un unico corpo, che ha tanti caratteri sessuali maschili quanto femminili.
Piuttosto che pensare a una creatura nata sorprendentemente con caratteri sessuali doppi, ecco che il mito
avrebbe giustificato la mostruosa prodigiosità di cui ermafrodito è portatore, ovvero sia di essere
contemporaneamente maschio e femmina.
D’altra parte, il Simposio di Platone allinea una serie di personaggi di altissimo livello culturale, si svolge in
casa del ricco Callia e uno dei protagonisti è Socrate, ma l’altro è un poeta di altissimo livello, Aristofane.
Perché in origine esistevano esseri che avevano tutti gli organi raddoppiati, e soltanto in un secondo
momento, dalla scissione di questi corpi, che avevano tutto raddoppiato, sarebbero venuti il maschio e la
femmina.
Significa che l’ermafrodito compirebbe il percorso inverso a quello che Aristofane, immaginosamente nel
simposio di Platone, prefigura per la creazione degli esseri maschili e femminili.
In questo mito creato ad arte da Ovidio, l’unione di salmaide ed ermafrodito ricostituirebbe l’originaria
unità tra maschile e femminile in un solo corpo, in senso inverso a quella che era la creazione di originarie
creature mostruose che avevano tutto raddoppiato.
Allora dice giustamente Labate: “della ninfa Salmacide non c’è parola prima di Ovidio e il collegamento tra
Salmacide ed ermafrodito parla soltanto Ovidio o quegli autori che poi da Ovidio dipendono.
Ovidio ha immaginato una storia capace di seguire al tempo stesso due differenti scopi narrativi: spiegare la
situazione che porta ermafrodito ad assumere la sua natura doppia e fornire anche l’aglion del potere
effeminante attribuito all’acqua dalla fonte salmacide.”
Beatrice morgano parte 4
Doveva essere usata, quindi sume, non ci poteva essere scelta più appropriata dal punto di
vista linguistico.
In quanto Naiade, e teoricamente iscritta al corteo di Diana, quantunque la dea non la
conosca perché non si è mai fatta vedere, dovrebbe prendere per usarlo o lo iaculum
(giavellotto) o la pharetras (faretra) ovvero quelle che contengono le frecce e soprattutto
dovrebbe alternare all’otium, cioè al riposo, le dure cacce, le cacce faticose; al solito con
formulazione polare:
“Nec iaculum sumit nec pictas Illa pharetras;”
Guardate sempre il rispetto della sequenza delle parole è identico al costrutto del verso
306: “iaculum e picta pharetras”.
TRADUZIONE: “Ma lei non prende né il giavellotto né le faretre dipinte”.
Praticamente qui il poeta riarrangia quello che ha pena finito di dire ma in una diversa
forma metrica.
TRADUZIONE: “ma non alterna alle dure fatiche il proprio tempo libero”.
“Saepe Cytoriaco deducit pectine crines et, quid se deceat, spectatas consulit undas;”
TRADUZIONE: “ e spesso si liscia con il pettine Citorio (il pettine prezioso) le chiome e
non avendo lo specchio consulta (consulit) la trasparenza dell’acqua della sua stessa fonte
e, consulta guardando le onde, per vedere cosa le si addica (quid se deceat).
Spectatas undas, verbo che indica il guardare, consulta e guarda ma è uno Hysteron
proteron, prima guarda e poi consulta.
Al posto dello speculum qua sono le spectatae undae a dare la risposta ai suoi interrogativi
estetici “vediamo come oggi posso farmi più bella del normale”, questa è una domanda
implicita.
“Nunc perlucenti circumdata corpus amictu mollibus aut foliis aut mollibus incubat herbis,”
Anche il paesaggio circostante diventa mollis, che è fondamentale perché sarà la mollitias,
quella che toglierà completamente il nerbo a quello che sarà ermafrodito; è un contesto
dove si spreca mollezza, delicatezza e femminilità. Applicato mollis per due volte, aggettivo
usato per designare tutto l’elemento vegetale i folia e le herbe. Chiaramente il gioco
metrico impone che sia “mollibus aut/aut mollibus); altrimenti dal punto di vista metrico
le successioni sarebbero state impossibili.
Ma è interessante il verbo “incubo”, se ne sta distesa, giace fra…
Come vedete è sempre l’otium quello che lei antepone ai duri venatus.
“Saepe legit flores. Et tum quoque forte legebat, cum puerum vidit visumque optavit habere.”
TRADUZIONE: “spesso coglie i fiori e proprio allora per caso li stava raccogliendo, quando
vide un giovinetto e dopo averlo visto bramò di possederlo.”
In questo caso troviamo L’epifania non di un corpo femminile ma di uno maschile,
maschile per modo di dire, parliamo di un altro tipo di corpo. Stessa cosa succede alla
ninfa Eco quando vede Narciso e si innamora perdutamente di lui e la strugge; lì la cosa
straordinaria, ancora una volta con grande innovazione, la Ninfa (in greco Ηχώ) a furia di
struggersi diventa l’ombra di se stessa, si smaterializza. Qui è diverso, Salmacide brucia di
passione ma è una Ninfa risoluta, non si fa consumare dall’amore, è combattiva, è dotata
d’una “vis est notissima, causa latet”.
La fonte e Salmacide sono lo specchio l’una dell’altra, una proiezione; è Naiade, la divinità
che preside quella fonte, una semi divinità inquietante.
Esattamente come le incantatrici di Teocrito “come io lo vidi, come uscì pazzo d’amore”; ci
sono due reazioni, da un lato il consumarsi (peri in latino) oppure l’inverso, consumarsi
del fuco della passione e quindi ardere.
“ “Nec tamen ante adiit, etsi properabat adire, quam se composuit, quam circumspexit
amictus et finxit vultum et meriti formosa videri.”
Qui siamo difronte ad una maliziosa nota dell’autore sulla vanità.
TRADUZIONE: “ne tutta via (adiit) gli andò incontro, anche se si affrettava ad incontrarlo,
prima di essersi data un’aggiustatina (antequam se composuit), prima di aver guardato
(gettato un’occhiata) sui veli e di aver atteggiato il volto (fingere voltum; è una seduttrice
quindi si atteggia) e aver meritato di sembrare bella.
Se componere darsi un'ultima guardata generale, come fa una donna prima di uscire
davanti allo specchio, per darsi un’ultima aggiustata.
Amictus è quello che la amici, cioè che la avvolge, in inverno il cappotto magari e d’estate
magari una sciarpa poggiata sulle spalle.
“ tunc sic orsa loqui: ‘puer o degnissime credi esse deus, seu tu deus es, potes esse Cupido, sive
es mortalis, qui te genuere, beati, et frater felix, et fortunata profecto, si qua tibi soror est, et
quae dedit ubera nutrix;”
È una ninfa colta, cita quello che fa Odisseo nei confronti di Nausica quando la vede, è una
Ninfa che parla con tocchi Omerici; quando Odisseo dovrà invocare Nausica le farà tutti i
complimenti di questo mondo, anche augurandole un futuro sontuoso come lascia
immaginare l’aspettò che la contraddistingue tra le sue ancelle.
“sed longe cunctis longeque beatior illa, si qua tibi sponsa est, si quam dignabere taeda.”
TRADUZIONE: “Ma di gran lunga più beata di tutti quelli una fidanzata se ce l’hai, se ne
hai una per tutelare il degno (CONTROLLARE SE é CORRETTO 1:40:28) della fiaccola
nuziale”.
Va subito al dunque per capire se il fanciullo è già impegnato sentimentalmente, è
un’ottima simulatrice, creata questa indagine in climax, che è trasversale. Però l’elenco
familiare culmina con un affetto che potrebbe mettere a tacere le sue speranze o viceversa
ripopolarle (si qua tibi sponsa est), se ha una promessa sposa (spondeo-sponses= promessa
sposa oppure troviamo sponsus colui che è promesso sposo).
Il buon Rosati non si astiene dal sottolineare l’epicismo “sic orsa loqui” che è un prestito
dal sesto libro dell’Eneide verso 125, 562, suggerisce il modello epico presupposto
dall’approccio di Salmacide che si rivolge ad Ermafrodito con le parole di Ulisse a Nausica
(NON SI SENTE 1:43:16).
Ecco i versi in questione:
“Ti supplico sovrana un Dio sei forse o un mortale? (Zeus l’ha chiamata, mentre Salmacide
usa Cupido, il Dio dell’amore e dell’eros, perché le sue intenzioni sono evidenti) se un Dio
tu sei, assai somigliante ad Artemide (li evidentemente il paragone nasce con la dea della
caccia) in volto, statura e aspetto.
Se uno dei mortali sei, tre volte (tris in greco, in latino è ter) beati tuo padre, la madre
augusta, tre volte beati i fratelli ma più di tutti beato nel cuore colui che pieno di lodi ti
condurrà a casa sua.”
Domanda discreta del naufrago Odisseo alla principessa dei Feaci; qui viene convertito in
chiave di corteggiamento galante e addirittura concluso in un invito spregiudicato a
condividere lo stesso letto.
Guardiamo la differenza dei codici comportamentali.
TRADUZIONE: “la Naiade dopo queste cose tacque. Il rossore segnò il volto del
giovanotto”.
Il rossore (rubor) è una nota caratteristica in genere virginale, quante volte abbiamo letto
di eroine antiche con il rossore sulle gote.
TRADUZIONE: “non sa, infatti, cosa sia l’amore (è in esperto d’amore); ma anche l’essere
arrossito gli si conveniva.”
Il rossore lo rendeva ancora più bello, L’inesperienza lo rende ancora più appetibile.
“His color aprica pendentibus arbore pomis aut ebori tincto est aut sub candore rubenti, cum
frustra resonant aera auxiliaria, lunae.”
TRADUZIONE: “questo è il colore che hanno le mele che pendono da un albero soleggiate
o che ha l’avorio quando è dipinto o sotto il candore della luna rosseggiante quando
invano risuonano i bronzi ausiliari.”
Una tradizione antica voleva che quando la luna era in fase di eclissi fosse debole, allora
per rinvigorirla si facevano risuonare i bronzi come se la dea della luna, Artemide,
poetesse riacquistare vigore attraverso un segnale di guerra; quindi la simbologia è
triplice: il rossore che asperge il volto del fanciullo può essere assemblato alle mele che
pendono dall’albero soleggiato, all’avorio quando è tinto di rosso o al candore
rosseggiante della luna quando nei fenomeni di eclissi viene rinvigorita dal suono dei
bronzi ausiliari.
“Poscenti nympahe sine fine sororia saltem oscula iamque manus ad eburnea colla ferenti”
TRADUZIONE: “alla ninfa che chiedeva senza fine quantomeno dei baci degni di un sorella
e già allungava le mani al suo collo d’avorio”
La verginità del fanciullo non può essere messa in discussione, replica ai tentativi di
avvicinamento della ninfa che chiede solo dei baci come fosse sua sorella ma nel mentre
allunga le mani intorno al so collo d’avorio (erbunea colla); bisogna stare attenti ai
caratteri, ai colori della verginità. Da un lato la carnagione è bianca ma il rossore asperge
le gote, la verginità ha una sua semiotica identica sia maschie che femminile, un rossore su
un volto color latte.
“Salmacis extimuit ‘loca’ que ‘haec tibi libera trado, hospes’ ait simultaque gradu discedere
verso, tum quoque respiciens, fruticumque recondita silva delituit flexuque genuere
submisit;”
TRADUZIONE: “salmacide si spaventò e dice “ti lasciò questi posti liberi me ne vado io”,
così dice e simula di allontanarsi (discedere= allontanarsi per gradi) voltando i suoi passi
dall’altra parte, e anche allora volgendosi a guardare, nascosta da un bosco di cespugli
(delituit) si rese invisibile e abbassò il ginocchio piagandolo (in maniera tale da non essere
visibile).
TRADUZIONE: “ma quello, ragazzino per com’era e come se non fosse osservato in mezzo
all’erba vuota, va da una parte e da lì va da un’altra e nel mezzo alle ombre che giocavano
bagna l’estremità del piede fino al tallone, comincia ad assaggiare la temperatura
dell’acqua perché vorrebbe farsi un bagno”.
E questo sarà per lui letale. Il poeta sottolinea il candore del fanciullo che troppe
facilmente si fida delle parole di Salmacide e quindi si prepara a farsi un bagno, ma questo
sarà l’inizio della sua rovina.