Li Broski
Li Broski
Eliowsky era un ragazzo che aveva imparato a vivere ai margini. Università? Un disastro.
Lavoro? Mai avuto. Casa? Uno spazio caotico dove il disordine regnava sovrano,
esattamente come la sua vita. Passava le giornate alternando partite infinite a One Piece sul
suo vecchio PC, episodi di anime guardati in loop, e pensieri troppo dolorosi da affrontare,
anestetizzati con dosi massicce di ketamina.
Condivideva l’appartamento con Davidosky, un coinquilino insopportabile e cinico, sempre
pronto a criticarlo. “Eliowsky, sei un peso morto. Non vai mai a lezione, non lavori, non
pulisci… almeno stai lontano dal mio divano quando ti fai,” gli urlava spesso, prima di
chiudersi in camera per risolvere complicati problemi di fisica teorica. Eliowsky odiava quella
superiorità ostentata, ma non aveva la forza di rispondere.
A peggiorare tutto c’era Lisosky. La ragazza dei suoi sogni, colei che gli aveva fatto battere il
cuore sin dal primo momento. Peccato che, nella realtà, Lisosky lo ignorasse
completamente, troppo impegnata a vivere la sua vita brillante, fatta di lezioni, passioni e
amici. L’ultimo incontro con lei era stato un disastro: aveva confessato i suoi sentimenti solo
per essere respinto con un sorriso gentile, ma doloroso.
Era in una di quelle giornate in cui tutto sembrava andare storto. Dopo ore davanti al monitor
a giocare One Piece, tra insulti di Davidosky che rimbombavano nella testa e il vuoto
lasciato dal rifiuto di Lisosky, si accorse di aver finito le patatine. Quelle economiche, prese
al Prix sotto casa, erano diventate la sua unica fonte di conforto.
Con un sospiro, si alzò dal divano, indossò una felpa stropicciata e uscì per comprarne altre.
Ma quel breve viaggio sarebbe stato l’ultimo nel suo mondo.
Mentre attraversava il parcheggio, un’ombra emerse da un vicolo buio. Un uomo
incappucciato, con occhi che brillavano di una luce inquietante, gli si parò davanti. “Dammi
tutto quello che hai,” ringhiò, brandendo un coltello. Eliowsky, confuso e spaventato, non
fece in tempo a reagire. Sentì solo una lama fredda trafiggergli il fianco e il mondo svanì.
Quando riaprì gli occhi, non era più nel parcheggio del Prix. Si trovava su una spiaggia
sconosciuta, il cielo sopra di lui era di un blu surreale, e all’orizzonte si stagliava un’enorme
nave pirata con vele nere. Si alzò barcollando, guardandosi intorno, quando una voce lo
interruppe.
“Benvenuto nel Regno dei Sette Mari.”
Davanti a lui c’era una figura familiare, ma diversa. Davidosky. Solo che non era il
coinquilino insopportabile, ma il Re dei Demoni, capo del Grande Fratello, una confraternita
che dominava quel mondo con pugno di ferro. “Non so come tu sia arrivato qui, ma non
cambia nulla. Questo è il mio regno. E tu sei già morto.”
Poco distante, tra gli abitanti del villaggio, c’era Lisosky. Indossava un’armatura semplice, lo
sguardo fiero, ma con un’ombra di tristezza. Si era alleata con Davidosky per proteggere il
suo villaggio, un compromesso disperato per evitare la distruzione.
Eliowsky comprese che il suo mondo era cambiato per sempre. Non sapeva come o perché
fosse lì, ma capì che per sopravvivere avrebbe dovuto imparare a combattere. Qui, nel
Regno dei Sette Mari, non si vinceva con la forza bruta. Si combatteva con le Lagrangiane,
funzioni matematiche capaci di alterare le regole della realtà.
Per la prima volta nella sua vita, Eliowsky sentì un brivido di scopo. Avrebbe imparato.
Avrebbe lottato. Avrebbe affrontato Davidosky e trovato un modo per salvare Lisosky. E
magari, finalmente, avrebbe dimostrato a se stesso che non era un fallito.
L’avventura era appena iniziata.
Capitolo 2: Incontri
Il Villaggio dei Sette Mari era un luogo pittoresco, immerso nel verde, con case di legno dai
tetti rossi e viuzze strette che serpeggiavano tra mercati colorati e botteghe rumorose. L’aria
profumava di salsedine e spezie esotiche, mentre il brusio dei mercanti si mescolava al
suono delle onde. Nel cuore del villaggio sorgeva l’UDU, la Gilda degli Avventurieri, un
edificio imponente con un’insegna consumata dal tempo, raffigurante un drago avvolto in
una spirale di formule matematiche.
Eliosky si aggirava per le strade, con lo sguardo vuoto e un lieve tremore nelle mani. Il suo
ultimo viaggio nella “stanza dell’ombra”, come chiamava i suoi momenti di dipendenza, lo
aveva lasciato più stanco del solito, ma un pensiero lo motivava: Lisosky. Doveva diventare
più forte, e l’UDU sembrava il posto giusto per iniziare.
Varcando la soglia della gilda, fu subito colpito dall’odore di alcool e sudore, e dal caos di
decine di avventurieri che discutevano animatamente. Fu in quel momento che incontrò
Margheritowsky.
“Sei nuovo qui, vero?” disse una voce dolce alle sue spalle. Eliosky si voltò e vide una
ragazza con lunghi capelli biondi raccolti in una treccia, un’aria timida ma determinata. Nella
sua mano teneva una piuma d’oca che sembrava brillare leggermente.
“Sì, sono… Eliosky,” rispose, impacciato.
“Margheritowsky,” disse lei con un sorriso, “sto cercando un gruppo per una missione. Ho un
talento… particolare, ma ancora non lo controllo del tutto. Vuoi unirti a me?”
Eliosky annuì, intravedendo in lei un alleato prezioso.
Al banco delle missioni, il duo si imbatté in Nicolas, un giovane dai capelli color arcobaleno e
un’energia incontenibile. “Oh mio Dio, chi abbiamo qui?!” esclamò Nicolas con un tono
scherzoso e uno sguardo esageratamente interessato rivolto a Eliosky.
“Nicolas, piacere! Sei carino, sai? Peccato per l’aria da depresso cronico,” disse ridendo
mentre prendeva un foglio dal bancone. “Volete una missione facile? Dungeon di basso
livello, raccogliere materiali. Perfetta per due principianti e una piuma che brilla. Buona
fortuna, tesoro!” concluse, lanciando un occhiolino a Eliosky, che si limitò a sospirare.
Il dungeon era un luogo oscuro e umido, illuminato solo da deboli cristalli luminescenti
incastonati nelle pareti. Margheritowsky scriveva formule nell’aria con la sua piuma, creando
barriere che li proteggevano da piccoli mostri, mentre Eliosky utilizzava semplici
Lagrangiane per neutralizzare le trappole.
“Non è poi così difficile,” disse Eliosky, cominciando a rilassarsi.
Ma all’arrivo nella stanza finale, la situazione cambiò drasticamente. Sul pavimento
giacevano i corpi senza vita di un gruppo di cavalieri. In piedi al centro della stanza c’era
Pietro, un uomo alto e smilzo, con uno sguardo apatico e una bicicletta dorata appoggiata al
muro.
“Oh, finalmente qualcuno di nuovo,” disse Pietro con un tono annoiato. “Siete qui per morire
anche voi? Non che mi importi.”
Dietro una colonna, Christian, coperto di ferite e con un cappellino da pescatore sgualcito, li
osservava con occhi imploranti. “Aiutatemi…” sussurrò.
Eliosky provò a scrivere una Lagrangiana d’attacco, ma Pietro lo interruppe con un semplice
gesto della mano. “Risparmiatemi la fatica,” sbuffò, scomparendo nel nulla con la sua
bicicletta.
Riuscirono a portare Christian fuori dal dungeon, ma erano tutti gravemente feriti e stremati.
Tornati alla gilda, Nicolas li accolse con un sorriso esagerato. “Ma guardatevi! Siete vivi! Un
miracolo! Dai, una birra e un Jeger per tutti, offro io… o meglio, metto sul conto di qualcun
altro!”
Seduti al bancone, tra un sorso e l’altro, i tre si guardarono negli occhi. Forse erano
malridotti e impreparati, ma qualcosa era cambiato. Erano sopravvissuti. E, per Eliosky,
quella era già una vittoria.
Capitolo 3: Una Brezza di Successo
La sala comune della gilda dell’UDU era in fermento. Dopo settimane di missioni disastrose
e discussioni, il gruppo di Eliowsky aveva finalmente raggiunto un piccolo traguardo: la loro
prima missione di successo. Un incarico semplice, recuperare materiali in una foresta vicina,
ma per loro sembrava una conquista epica.
Margheritowsky, invece, era concentrata. Con la sua piuma d’oca in mano, stava tracciando
linee nell’aria per testare le sue barriere protettive. “Questa foresta ha la reputazione di
essere infestata da mostri minori, ma le trappole naturali sono il vero pericolo. Dobbiamo
stare attenti ai movimenti,” spiegò, ricevendo in cambio un cenno di approvazione da
Eliowsky.
Nicolas, fedele al suo stile, scherzava senza sosta. “Dai, non essere così seria,
Margheritowsky. Siamo un gruppo di eroi! Niente può fermarci! A parte forse la mia voglia di
un caffè decente.” La battuta strappò un sorriso a tutti, allentando la tensione.
La foresta era un luogo affascinante e inquietante allo stesso tempo. Alberi altissimi si
intrecciavano creando un tetto di foglie che lasciava filtrare poca luce. Il silenzio era rotto
solo dal canto degli uccelli e dal rumore dei loro passi sul terreno umido. Il gruppo si
addentrò con cautela, seguendo una mappa sbiadita fornita dalla gilda.
Dopo un’ora di cammino, si imbatterono nella loro prima difficoltà: un campo minato di piante
carnivore che scattavano al minimo movimento. Margheritowsky prese il comando, creando
una serie di barriere luminose per neutralizzare le piante. “Seguite il mio percorso, ma state
attenti a non deviare,” ordinò. Nicolas, nonostante le sue battute, seguì attentamente,
mentre Christian cercava di non inciampare.
“Quasi fatto,” disse Margheritowsky, quando improvvisamente un ramo si spezzò alle loro
spalle. Un branco di lupi ombra, creature fatte di pura oscurità, li circondò. Eliowsky, colto di
sorpresa, cercò di ricordare le formule base delle Lagrangiane, ma la tensione lo bloccò.
“Tranquillo, ci penso io!” gridò Nicolas, lanciandosi contro i lupi con una Lagrangiana che
amplificava la sua velocità. Con movimenti rapidi, distrasse le creature abbastanza a lungo
da permettere a Margheritowsky di innalzare una barriera protettiva intorno al gruppo.
Christian, nel frattempo, tirò fuori una fionda improvvisata e iniziò a colpire i lupi con
precisione sorprendente. “Non sono solo un peso morto, sapete?” disse, mentre un lupo
veniva sbalzato via da un colpo diretto.
Dopo una battaglia tesa, il gruppo riuscì a respingere i lupi e a raggiungere il centro della
foresta, dove trovarono i materiali richiesti: cristalli luminescenti nascosti in un piccolo
stagno. La loro missione era compiuta.
“Non male per un primo lavoro di squadra,” disse Margheritowsky, mentre Nicolas si vantava
di aver salvato tutti. Christian annuì, ancora un po’ scosso, ma visibilmente soddisfatto.
Tornati alla gilda, furono accolti con applausi e sorrisi. Per celebrare, la gilda organizzò una
festa in montagna. Intorno a un grande falò, il gruppo si ritrovò a riflettere sulla giornata.
“Abbiamo fatto un buon lavoro oggi,” disse Eliowsky, sorprendendo gli altri con la sua
affermazione. “Forse possiamo davvero diventare un team.”
Nicolas alzò il bicchiere. “A noi, i futuri eroi della gilda! E a questa fantastica avventura che è
appena iniziata.” Risero tutti, lasciandosi alle spalle le paure e le insicurezze, almeno per
una notte.
Capitolo 4: La Rivelazione del Potenziale
Era una mattina tranquilla, ma Eliowsky non riusciva a trovare pace. Si era svegliato presto
e si era diretto al campo di allenamento della gilda, un vasto spazio all’aperto circondato da
alte mura, dove i membri più giovani si esercitavano con Lagrangiane di base. Aveva
bisogno di capire cosa fosse successo durante la missione nella foresta. Aveva percepito un
potere sconosciuto, qualcosa di oscuro e incontrollabile che aveva rischiato di ferire i suoi
compagni.
Margheritowsky lo raggiunse poco dopo, con la sua immancabile piuma d’oca tra le mani.
“Non riesci a toglierti quella battaglia dalla testa, vero?” chiese, osservandolo mentre
disegnava formule nell’aria con movimenti incerti.
Eliosky scosse la testa. “Non so cosa sia successo. Ho cercato di usare una Lagrangiana
semplice, ma qualcosa è cambiato. Era come se... fosse esplosa dentro di me.”
Margheritowsky si sedette accanto a lui, tracciando cerchi delicati nell’aria. “Forse hai
scoperto un potere latente. Non è raro, ma è pericoloso se non impari a controllarlo.” Indicò
un punto vuoto davanti a loro. “Prova a replicare quello che hai fatto.”
Eliosky annuì, chiudendo gli occhi e concentrandosi. Scrisse una formula complessa, e per
un attimo sembrò che tutto fosse sotto controllo. Ma all’improvviso, l’aria intorno a lui si
distorse, e un’esplosione di energia nera ruppe l’equilibrio. Margheritowsky alzò una barriera
protettiva per bloccare l’onda d’urto, mentre Eliowsky crollava a terra, ansimando.
“Non riesco a farlo!” gridò, la frustrazione evidente nel suo volto. “È troppo instabile. Non
posso usarlo.”
“Non è vero,” intervenne una voce familiare. Nicolas, che osservava da lontano, si avvicinò
con il suo solito sorriso spavaldo. “Hai un potenziale incredibile, ma ti manca fiducia. Devi
imparare a fidarti di te stesso. E se fallisci, beh, almeno fai un’esplosione spettacolare!”
aggiunse, ridendo.
Quella sera, Eliowsky si ritrovò da solo nella sua stanza. Osservava il cielo stellato fuori
dalla finestra, ripensando alle parole di Margheritowsky e Nicolas. Forse avevano ragione.
Forse, per la prima volta, poteva credere di essere capace di qualcosa.
Eliosky seguì le sue istruzioni, tracciando la formula lentamente. All’inizio era instabile, ma
con il passare del tempo, iniziò a sentire una connessione più profonda. La Lagrangiana
Inversa si manifestò di nuovo, ma questa volta non esplose. Una luce tenue circondò
Eliowsky, e per un attimo, si sentì in armonia con il suo potere.
Margheritowsky guardò Eliowsky con aria interrogativa. “Sei pronto?” chiese, valutando la
sua determinazione.
Arrivati al villaggio, si trovarono di fronte a una scena caotica. Case in fiamme, persone che
fuggivano, e al centro della piazza una creatura gigantesca, un amalgama di ombre e
metallo. Era evidente che il nemico non sarebbe stato facile da affrontare.
Eliosky prese un respiro profondo. Scrisse la Lagrangiana Inversa con calma, lasciando che
l’energia fluisse attraverso di lui. Quando attaccò, l’aria sembrò vibrare, e un’onda di energia
pura colpì la creatura, facendola indietreggiare.
“Ci stai riuscendo!” gridò Margheritowsky, erigendo barriere per proteggere gli abitanti.
Nicolas, con la sua solita agilità, distrasse il nemico colpendolo ai punti deboli.
Margheritowsky gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla. “Hai fatto un ottimo lavoro.
Ma ricorda, questo è solo l’inizio.”
Capitolo 5: Generale Oscuro
Dopo settimane di allenamento e missioni minori, il gruppo di Eliowsky ricevette il loro primo
incarico di alto livello: sconfiggere Arbusto Sospetto, un mago informatico che aveva preso il
controllo di una rete di portali magici nelle terre circostanti. La missione era pericolosa, ma la
gilda era certa che Eliowsky, con la sua crescente padronanza della Lagrangiana Inversa,
fosse pronto per la sfida.
Arrivati al covo di Arbusto Sospetto, un’enorme struttura sotterranea piena di cavi e cristalli
luminescenti, il gruppo si preparò ad affrontare il primo ostacolo: un’armata di droni magici.
Margheritowsky alzò immediatamente una barriera per proteggere i compagni, mentre
Nicolas utilizzava la sua velocità per distrarre i droni e attirarli in trappole improvvisate.
Eliosky, nel frattempo, tentava di usare la Lagrangiana Inversa per neutralizzare più nemici
contemporaneamente. “Concentrati,” gli disse Margheritowsky. “Non devi controllare tutto,
solo il necessario.” Seguendo il consiglio, riuscì a creare un’onda di energia che disattivò i
droni più vicini, aprendo la strada verso la stanza centrale.
Quando entrarono, Arbusto Sospetto li stava aspettando. Era un uomo imponente, con un
cappello da Super Mario e una tastiera fluttuante davanti a sé. “Ah, i piccoli eroi dell’UDU,”
disse con un tono sarcastico. “Pensate davvero di poter fermarmi? La mia Lagrangiana del
Codice è perfetta.”
Arbusto attivò una serie di script magici, creando illusioni che confondevano i membri del
gruppo. Nicolas provò a distrarlo con un attacco diretto, ma fu respinto da una barriera
invisibile. Christian, invece, si ritrovò circondato da cloni del mago, incapace di distinguere il
vero nemico.
Eliosky capì che era il momento di mettere alla prova il suo potere. Scrisse rapidamente una
Lagrangiana complessa, lasciando che l’energia fluisse liberamente. “Devo riuscirci,” pensò,
mentre un’ondata di luce nera si propagava dalla sua posizione. L’attacco distrusse le
illusioni, rivelando il vero Arbusto.
“Impossibile!” gridò il mago, cercando di attivare un nuovo script, ma era troppo tardi.
Eliosky, con un ultimo sforzo, usò la Lagrangiana Inversa per bloccare i comandi di Arbusto,
lasciandolo vulnerabile.
Tornati alla gilda, furono accolti come eroi. Nicolas non perse occasione per vantarsi: “Avete
visto come ho salvato la situazione? Dovrebbero fare una statua in mio onore!”
Christian, sorseggiando una birra, aggiunse: “La prossima volta sarò io a dare il colpo
finale.”
Eliosky rise, sentendo per la prima volta il peso della responsabilità condiviso con il resto del
gruppo. Era solo l’inizio, ma il cammino verso la grandezza era più chiaro che mai.
Capitolo 6: Election Arc
La fama di Eliowsky e del suo gruppo era cresciuta rapidamente dopo la vittoria contro
Arbusto Sospetto. La gilda UDU, impressionata dai loro successi, si preparava a una nuova
fase di cambiamento. Durante un’assemblea generale, il Maestro annunciò che si sarebbero
tenute elezioni per il nuovo rappresentante della gilda, un ruolo che comportava prestigio,
responsabilità e accesso a risorse cruciali per le missioni future.
Eliosky, abituato a restare nell’ombra, non aveva mai pensato a qualcosa di simile. Quando
il Maestro elencò i requisiti per i candidati, si limitò a osservare in silenzio, convinto che non
avrebbe mai avuto una chance. Ma prima che potesse dileguarsi, fu improvvisamente
nominato. Non da se stesso, ma da qualcuno che sembrava credere in lui più di quanto lui
stesso facesse.
“Eliosky si candida!”
Quelle parole, gridate a gran voce, fecero girare tutti gli occhi verso di lui. Era disorientato,
con le mani sudate e la mente confusa. Cercò di protestare, ma non trovò le parole giuste.
Sentiva un misto di imbarazzo e incredulità mentre osservava le espressioni curiose e
talvolta perplesse degli altri membri.
Non passò molto tempo prima che iniziasse il processo elettorale, un evento che si rivelò
molto più impegnativo di quanto Eliowsky avesse immaginato. Il ruolo di rappresentante non
era assegnato tramite un semplice voto, ma attraverso un torneo articolato in una serie di
prove pensate per mettere alla prova il coraggio, l’intelligenza e la leadership dei candidati.
Le difficoltà non tardarono ad arrivare. Rovi vivi, una trappola magica che si avviluppava a
ogni movimento brusco, lo sorpresero a metà strada. Eliowsky si immobilizzò, cercando di
ricordare gli allenamenti passati. Respirò profondamente e si concentrò, tracciando una
Lagrangiana base nell’aria per disinnescare l’incantesimo. Ci volle tutta la sua
determinazione per farlo senza perdere il controllo.
La seconda sfida si rivelò ancora più intensa. Eliowsky si ritrovò in un’arena circolare,
illuminata da torce che proiettavano ombre lunghe sulle pareti di pietra. Al centro lo
attendeva un avversario già pronto. Sapeva che quel confronto non sarebbe stato solo una
dimostrazione di forza, ma un test della sua capacità di mantenere la calma sotto pressione.
Quando venne il momento del discorso finale, il candidato avvertì una nuova forma di
tensione. Parlare davanti a tutti lo intimidiva più di qualunque trappola o nemico incontrato
fino a quel momento. Il silenzio che scese nella sala fu quasi opprimente mentre si
avvicinava al podio. Sentiva gli sguardi su di sé, ogni movimento del pubblico amplificato
nella sua mente.
Respirò profondamente, chiuse gli occhi per un istante e lasciò che le parole nascessero dal
cuore. Non aveva preparato nulla, ma sapeva che l’onestà sarebbe stata la sua unica arma.
“Non sono un leader naturale,” iniziò, con la voce tremante. “Non sono il più forte, né il più
intelligente tra voi. Ma ho imparato che le vere vittorie arrivano quando ci si affida agli altri,
quando si sceglie di combattere per qualcosa di più grande di noi stessi.”
Mentre parlava, la sua voce si fece più sicura. Parlò delle difficoltà affrontate, delle
insicurezze che lo avevano sempre frenato, ma anche delle lezioni apprese e della
determinazione a migliorare. Guardò i membri della gilda negli occhi, cercando di
trasmettere un messaggio sincero: non voleva solo vincere, ma essere all’altezza della
fiducia che gli era stata accordata.
Quando terminò, il silenzio durò qualche secondo, poi scoppiò un applauso. Non sapeva se
sarebbe bastato per vincere, ma per la prima volta sentì di essersi guadagnato il rispetto
degli altri.
Il conteggio dei voti fu un momento di grande suspense. Ogni scheda sembrava pesare
come un macigno, e il cuore di Eliowsky batteva all’impazzata. Quando infine il Maestro
annunciò il vincitore, ci fu un momento di confusione prima che le parole lo raggiungessero
chiaramente: aveva vinto.
Era una giornata di pioggia al villaggio, con le strade fangose e la luce grigia che filtrava tra
le nuvole basse. Eliowsky, ora rappresentante della gilda UDU, stava radunando un gruppo
di nuovi membri per discutere le prossime missioni. Sentiva il peso della responsabilità, ma
cercava di non mostrarlo. L’atmosfera era tranquilla, quasi monotona, finché un messaggero
irruppe nella sala con il fiato corto e gli abiti inzuppati.
Il nome cadde come un fulmine. Pietro, il servitore temuto di Davidosky, il ladro di biciclette,
era stato una figura quasi mitologica tra le mura della gilda. Apatico, letale e sempre
circondato da un’aura di mistero, era scomparso dopo il suo ultimo confronto con Eliowsky e
i suoi amici.
Eliosky si alzò di scatto. “Radunate tutti i membri disponibili. Non possiamo lasciare che
colpisca il villaggio.” Ma prima che potessero organizzarsi, un’esplosione scosse le
fondamenta dell’edificio. Fuori, tra il fumo e le fiamme, si intravedevano due figure: Pietro,
con il suo sguardo annoiato e la sua inseparabile bicicletta dorata, e accanto a lui una figura
altrettanto inquietante.
Martina.
Eliosky la riconobbe subito, e un nodo gli si strinse alla gola. Una volta, Martina era stata
sua amica. Aveva provato a dichiararsi a lui, ma il suo rifiuto l’aveva spinta verso Davidosky.
Ora brandiva una falce che sembrava tagliare lo spaziotempo stesso, generando fendenti
luminosi che colpivano ogni cosa intorno a lei.
“Eliosky!” gridò Martina, con una voce carica di rabbia. “Sei cresciuto, a quanto pare. Ma non
abbastanza per affrontarci.”
Pietro non disse nulla. Si limitò a salire sulla sua bicicletta e a scivolare con calma attraverso
le fiamme, come se fosse un’ombra. Ogni suo movimento era fluido e spietato.
Eliosky uscì dalla sala, con Margheritowsky e Nicolas al suo fianco. “Non possiamo
affrontarli da soli,” disse Margheritowsky, la sua piuma già pronta per creare barriere.
“Non abbiamo scelta,” rispose Eliowsky, cercando di nascondere la paura nella sua voce.
Pietro attaccò per primo, lanciandosi contro il gruppo con una velocità inumana. Con un
gesto, rubò l’arma di uno dei membri della gilda e la usò per neutralizzare un contrattacco.
Eliowsky tentò di utilizzare la Lagrangiana Inversa, ma Pietro la disattivò con un colpo secco
alla formula, lasciando il protagonista vulnerabile.
Martina, intanto, avanzava con un’espressione di furia controllata. Con un movimento fluido
della sua falce, creò una fenditura nello spazio, scagliando onde di energia contro Eliowsky
e i suoi compagni. Margheritowsky alzò una barriera, ma le fenditure la incrinarono
rapidamente.
In mezzo al caos, Christian, con il suo cappellino da pescatore sgualcito, si fece avanti. Non
aveva un piano, solo il desiderio di proteggere i suoi amici. “Eliosky, vai avanti! Li terrò
impegnati!” gridò.
“Christian, no!” urlò Eliowsky, ma il ragazzo si lanciò comunque contro Pietro. Con la sua
fionda, colpì l’antagonista con precisione, riuscendo a distrarlo per un attimo. Ma quel
momento di gloria durò poco. Pietro, con un movimento rapido e letale, lo colpì al petto,
facendolo crollare a terra.
Martina si avvicinò a Christian, pronta a dare il colpo di grazia, ma qualcosa la fermò. “Non
vale la pena,” disse, voltandosi verso Eliowsky. “Tu sei il nostro obiettivo.”
Con un ultimo sguardo, Pietro e Martina scomparvero nella pioggia, lasciando distruzione
dietro di sé.
Eliosky corse da Christian, che respirava a fatica, il sangue che macchiava il suo cappellino
da pescatore. “Stai fermo, ti aiuteremo,” disse, cercando di fermare l’emorragia con le mani
tremanti.
Christian lo guardò con un sorriso debole. “Eliosky… sei sempre stato una persona migliore
di quanto pensassi. Ho sempre cercato di competere con te per Lisowsky, ma alla fine ho
trovato qualcosa di più importante… un amico.”
Con un gesto incerto, Christian si tolse il cappellino e lo mise sulla testa di Eliowsky.
“Tienilo… porta fortuna.” Poi, con un ultimo respiro, chiuse gli occhi.
La pioggia continuava a cadere, mescolandosi alle lacrime di Eliowsky. Era una perdita che
avrebbe segnato tutti loro. Ma dentro di lui, una nuova determinazione cominciò a prendere
forma.
Quella notte, con il cappellino di Christian tra le mani, giurò che non avrebbe permesso ad
altri di soffrire come lui. Pietro e Martina avrebbero pagato per ciò che avevano fatto.
Capitolo 8: Breakdown
La pioggia continuava a battere sul tetto della gilda, accompagnando il silenzio pesante che
aveva avvolto Eliowsky e Margheritowsky. Da quando Christian era morto tra le loro braccia,
il tempo sembrava essersi fermato. I giorni si susseguivano, ma il dolore era immobile,
stagnante, come un peso che non si poteva spostare.
Eliosky si era rinchiuso nella sua stanza, il cappellino da pescatore di Christian appeso alla
parete come un simbolo muto del fallimento. La sua mente tornava continuamente a quella
scena: il sangue, le ultime parole, l’espressione serena di Christian mentre esalava l’ultimo
respiro. Ogni dettaglio lo tormentava, come se la colpa lo divorasse dall’interno.
Margheritowsky era in condizioni simili. La sua solita calma era stata sostituita da una
fragilità che non riusciva a nascondere. La piuma d’oca, sempre con lei, restava inutilizzata,
mentre passava le giornate fissando il vuoto. Si rifugiava nella stanza comune della gilda,
cercando conforto in bicchieri sempre pieni di alcol, ma mai abbastanza da stordire il dolore.
Una sera, incapace di sopportare ancora il silenzio, Margheritowsky bussò alla porta di
Eliowsky. Quando lui non rispose, aprì comunque. La stanza era in disordine, con bottiglie
vuote sparse ovunque e l’odore acre della ketamina che impregnava l’aria. Eliowsky era
sdraiato sul letto, lo sguardo fisso sul soffitto, con una sigaretta spenta tra le dita.
Quelle parole lo colpirono come uno schiaffo, ma non ebbero l’effetto desiderato. Eliowsky si
mise seduto, fissandola con occhi rossi e stanchi. “E cosa avrebbe voluto, Margheritowsky?
Che ci alzassimo, sorridessimo e facessimo finta che tutto andasse bene? È morto, e io l’ho
lasciato morire. Non c’è niente da fare.”
Le sue parole rimasero sospese nell’aria, senza una risposta. Quella sera non parlarono più,
ma qualcosa si mosse dentro Eliowsky, un piccolo seme di consapevolezza che sarebbe
germogliato solo più tardi.
Nelle settimane seguenti, i due caddero ancora più a fondo. Passavano le serate insieme,
affogando il dolore in bottiglie di liquori scadenti e puntate di giochi d’azzardo. Si erano
convinti che giocare fosse un modo per ricordare Christian, che aveva sempre amato
l’azzardo. Era il loro unico tentativo di sentirsi più vicini a lui, anche se significava affondare
sempre di più.
Le partite si svolgevano in una piccola taverna ai margini del villaggio, un luogo pieno di
fumo e voci roche. Eliowsky e Margheritowsky si sedevano sempre allo stesso tavolo, sotto
una lampada traballante che proiettava ombre distorte sulle carte. I loro avversari
cambiavano di volta in volta: uomini ruvidi, mercenari ubriachi, giovani avventurieri in cerca
di fortuna.
Una notte, dopo l’ennesima sconfitta, Eliowsky si alzò barcollando e uscì dalla taverna.
L’aria fredda della notte lo colpì come uno schiaffo. Si appoggiò al muro esterno, tirò fuori
una sigaretta e la accese con mani tremanti. Mentre guardava il fumo dissolversi
nell’oscurità, una figura emerse dall’ombra.
Era un uomo alto, con una testa rasata e uno sguardo intenso. Indossava una semplice
canotta, nonostante il freddo, e pantaloncini corti che rivelavano gambe scolpite da anni di
sforzi. Eliowsky non lo riconobbe subito, ma l’uomo si avvicinò con passo deciso.
“Sei tu quello che si nasconde qui dentro a bere e perdere?” disse, con una voce ferma ma
non aggressiva.
“E chi diavolo sei?” rispose Eliowsky, troppo stanco per preoccuparsi del tono.
L’uomo si fermò davanti a lui, guardandolo dritto negli occhi. “Sono David Goggins. E sei
fortunato che ti abbia trovato prima che finissi di distruggerti. Svegliati, ragazzo. Hai un
potenziale enorme, ma stai sprecando tutto.”
Eliosky non rispose subito. Il nome suonava familiare, ma non riusciva a collocarlo. David
non gli lasciò il tempo di pensare. “So che hai perso un amico. So che ti senti un fallimento.
Ma continuare così non ti riporterà indietro nessuno. L’unica cosa che puoi fare è alzarti e
ricominciare. Non per te, ma per lui.”
Quelle parole lo colpirono come un pugno nello stomaco. Per un attimo, si sentì visto, come
se qualcuno avesse strappato il velo di apatia che lo avvolgeva.
“Se vuoi piangerti addosso, fallo. Ma fallo mentre corri. Mentre combatti. Mentre diventi la
versione migliore di te stesso. Perché nessuno lo farà per te.”
David Goggins lo lasciò lì, con quelle parole che rimbombavano nella sua mente. Quando
rientrò nella taverna, trovò Margheritowsky al tavolo, con le mani che stringevano
nervosamente un mazzo di carte. Si sedette accanto a lei, ancora in silenzio, ma qualcosa
nel suo sguardo era cambiato.
Forse, per la prima volta da settimane, una luce cominciava a farsi strada tra le ombre.
Capitolo 9: David
Eliosky si alzò all’alba il giorno seguente, il corpo intorpidito dal sonno irregolare e dalla
stanchezza accumulata. Non era un gesto volontario, ma qualcosa nella sua mente lo aveva
costretto a muoversi. Le parole di David Goggins rimbombavano ancora nella sua testa
come un’eco incessante. “Alzati e ricomincia.”
Senza pensarci troppo, si mise addosso una vecchia felpa, strappata lungo una manica, e
uscì di casa. L’aria era pungente, il cielo ancora velato di sfumature arancioni mentre il sole
si faceva strada sopra l’orizzonte. Cominciò a camminare, poi a correre lentamente,
sentendo i muscoli contratti protestare a ogni passo.
Non sapeva dove stesse andando, ma un’energia sconosciuta lo spingeva avanti. Passò
attraverso le strade vuote del villaggio, attraversò campi umidi di rugiada, fino a ritrovarsi in
una radura. E lì, proprio come nella notte precedente, trovò David Goggins.
Era in piedi su una roccia, a torso nudo nonostante il freddo mattutino, con lo sguardo fisso
verso l’orizzonte. Quando sentì i passi di Eliosky, si voltò leggermente, accennando un
sorriso soddisfatto.
Eliosky si fermò, ansimando, con le mani sulle ginocchia. “Non so nemmeno perché sono
qui,” disse, cercando di riprendere fiato.
David scese dalla roccia con un movimento fluido. “Sei qui perché sei stanco di soffrire. Ma
la sofferenza, ragazzo, è ciò che ci rende forti. Sei abituato a scappare, a cercare scorciatoie
per sfuggire al dolore. Non funziona così. Se vuoi cambiare, devi affrontarlo. E trasformarlo
nella tua arma.”
David scoppiò in una risata profonda. “Non devi esserlo. Devi solo metterti in marcia. Il resto
verrà da sé.”
Senza discutere, Eliosky cominciò a seguirlo. I primi passi furono pesanti, i piedi che
affondavano nel terreno morbido e le gambe che bruciavano per lo sforzo. Ma David correva
con un ritmo costante, come se non conoscesse la fatica. Ogni tanto si voltava per gridare
incoraggiamenti.
“Non mollare! Ogni passo che fai ti porta più lontano dalla persona che eri ieri!”
Dopo un’ora, Eliosky crollò su un tronco caduto, ansimando come se i polmoni gli stessero
per scoppiare. David si fermò accanto a lui, ancora senza fiato, ma con un’espressione di
approvazione.
“Bene. È un inizio.”
Quella routine continuò per giorni. Ogni mattina Eliosky si alzava e correva con David. Ogni
giorno sentiva il suo corpo un po’ più forte, la sua mente un po’ più chiara. Ma non era solo il
fisico a cambiare. C’era una forza nuova dentro di lui, un fuoco che iniziava a scaldare il gelo
che lo aveva paralizzato per settimane.
Margheritowsky, intanto, osservava da lontano. Era rimasta nella sua spirale di alcol e
disperazione, ma vedere Eliosky che cercava di rialzarsi le fece nascere un dubbio: forse
anche lei poteva provare. Una sera, si avvicinò a lui mentre scriveva formule su una vecchia
pergamena.
“Imparando. Non posso fermarmi. Se lo faccio, torno indietro,” rispose, senza alzare lo
sguardo.
Lei rimase in silenzio, poi si sedette accanto a lui. “Pensi che io possa farcela?”
Eliosky si fermò per un momento, poi la guardò. “Non lo so. Ma se ci provi, forse sì.
Dobbiamo smettere di fuggire, Margheritowsky. È l’unica cosa che conta.”
La mattina dopo, David trovò entrambi ad aspettarlo alla radura. Senza dire una parola,
accennò loro di seguirlo. Quel giorno corsero più a lungo, più forte, e alla fine
Margheritowsky si accasciò sull’erba, ridendo per la prima volta da settimane.
David li guardò entrambi con orgoglio. “Questa è la differenza tra chi vive e chi sopravvive.
Ora alzatevi. Non è finita.”
Quando tornavano al villaggio, i due si fermarono davanti a una bottega. In vetrina c’erano
delle riviste di fitness e calisthenics. Eliosky, colpito dall’immagine di un uomo che eseguiva
una verticale perfetta, si avvicinò incuriosito.
David sorrise. “Un altro che ha capito cosa significa migliorarsi ogni giorno. Guardate i suoi
video, imparate. E poi uscite e fate di meglio.”
Quella sera, per la prima volta dopo tanto tempo, Eliosky e Margheritowsky non si
rifugiarono in alcol o giochi d’azzardo. Si sedettero davanti a un vecchio schermo e
cominciarono a guardare tutorial. Non era molto, ma era un nuovo inizio.
Eliosky si rese conto che la strada era lunga e piena di ostacoli. Ma per la prima volta,
sentiva di avere una direzione. E quella notte, guardando il cappellino di Christian sulla
parete, si ripromise che non avrebbe più tradito la memoria del suo amico.
Capitolo 10: Daghestan
Con il nuovo slancio che li animava, Eliowsky e Margheritowsky decisero di affrontare una
nuova missione. Non era un incarico facile: un pericoloso cacciatore di taglie, Pellizzer,
aveva messo le mani su una rete di informatori nella Città della Nebbia, una città cupa e
labirintica. Pellizzer non agiva da solo, ma come membro dell’Akatsuki, un’organizzazione
terroristica il cui scopo era sovvertire l’ordine mondiale attraverso la destabilizzazione delle
gilde.
La loro missione era chiara: infiltrarsi nella base di Pellizzer, raccogliere informazioni
sull’Akatsuki e neutralizzare la minaccia. Ma le cose presero una piega sbagliata fin
dall’inizio.
Eliosky provò a reagire, tracciando una Lagrangiana d’attacco, ma Pellizzer era troppo
veloce. Con un movimento fluido, disattivò la formula di Eliowsky, lasciandolo senza difese.
Margheritowsky tentò di erigere una barriera, ma il nemico la spezzò con facilità.
Nicolas, sempre pronto a scherzare anche nei momenti peggiori, fece un passo avanti. “Beh,
direi che siamo nei guai. Ma almeno hai un ottimo senso dell’umorismo, Pellizzer.”
Il nemico non rise. Con un gesto della mano, evocò una serie di ombre che immobilizzarono
il gruppo, rendendoli incapaci di muoversi. “Pensavate davvero di poter competere con me?
L’Akatsuki ha occhi ovunque. Ogni passo che avete fatto è stato previsto.”
Eliosky, con la testa china, sentiva il peso della sconfitta come una morsa al petto. Non
poteva accettare di fallire di nuovo, non dopo tutto ciò che avevano passato. Ma in quel
momento, non aveva risposte.
Pellizzer li lasciò andare, non perché fosse magnanimo, ma perché non li considerava una
minaccia. “Andatevene. Raccontate alla vostra gilda cosa significa sfidare l’Akatsuki. E
ricordate: non importa quanto vi alleniate, non sarete mai abbastanza forti.”
Lasciati vivi solo per umiliazione, Eliowsky e i suoi compagni si ritirarono, sconfitti e
depressi. Non parlarono durante il viaggio di ritorno. Il silenzio era rotto solo dal rumore dei
loro passi sul terreno umido.
Eliosky alzò lo sguardo e vide Giog e Bancher, in piedi davanti a loro. Giog aveva le braccia
incrociate e un’espressione di sfida, mentre Bancher si grattava la testa con fare distratto.
“Avete perso, eh?” chiese Giog, con un mezzo sorriso. “Normale. Non siete ancora pronti
per qualcosa del genere.”
“E quindi?” rispose Eliowsky, con amarezza nella voce. “Vuoi prenderti gioco di noi?”
Bancher fece un passo avanti e posò una mano pesante sulla spalla di Eliowsky. “No.
Vogliamo allenarvi.”
Giog annuì. “Tre anni. In Daghestan. Un training arc che vi cambierà per sempre.”
Eliosky li guardò, incerto. Non sapeva se fosse un’offerta sincera o uno scherzo. Ma poi vide
nei loro occhi qualcosa di familiare: una determinazione che non ammetteva rifiuti.
“Se accettate, vi promettiamo che sarete pronti per affrontare Pellizzer e qualsiasi altra
minaccia,” aggiunse Bancher.
Margheritowsky, ancora scossa dalla sconfitta, alzò lo sguardo. “Non possiamo continuare
così. Io accetto.”
Nicolas sorrise, con il suo solito fare spavaldo. “Non ho idea di cosa sia il Daghestan, ma se
mi promettete che lì fanno caffè decenti, sono dentro.”
Giog e Bancher sorrisero. “Allora preparatevi. Non sarà facile. Ma quando uscirete da
questo training, sarete irriconoscibili.”
Quella notte, lasciarono il villaggio, diretti verso il Daghestan. Un luogo remoto, immerso tra
le montagne, dove li attendeva un addestramento estremo. Era l’inizio di un nuovo capitolo,
un’occasione per ricominciare e diventare i combattenti che avevano sempre desiderato
essere.
Il viaggio verso il Daghestan segnò la fine di una fase della loro vita e l’inizio di qualcosa di
completamente diverso. Per la prima volta, Eliowsky sentì che forse c’era ancora speranza
di riscattarsi, di affrontare il passato e costruire un futuro migliore.
Capitolo 11: Training Arc
Il Daghestan si rivelò essere un luogo remoto e inospitale, nascosto tra montagne rocciose e
pianure deserte. Eliowsky, Margheritowsky e Nicolas arrivarono esausti, ma con una scintilla
di determinazione nei loro cuori. Il viaggio era stato lungo e difficile, ma nulla li aveva
preparati a ciò che li aspettava.
Ad accoglierli c’era Giog, in piedi su una roccia, intento a eseguire una planche con una
facilità che sembrava sfidare le leggi della fisica, e Bancher, che sollevava massi enormi con
apparente noncuranza. “Benvenuti in Daghestan,” disse Giog, alzando lo sguardo con un
sorriso sornione. “Spero siate pronti. Qui si vive per diventare forti, o non si vive affatto.”
L’addestramento cominciò all’alba del giorno seguente. Ogni giorno era suddiviso in blocchi
rigorosi: forza, agilità, tecnica e meditazione. Eliowsky, che si era sempre considerato una
persona comune, si ritrovò a spingere il suo corpo e la sua mente oltre ogni limite
immaginabile.
Giog si occupava di insegnare le basi del calisthenics. “La planche è solo l’inizio,” disse,
dimostrando una verticale perfetta prima di passare a movimenti incredibilmente complessi
come la L-sit e il Maltese cross. “La vera forza viene dal controllo del corpo. Se riesci a
dominare il tuo equilibrio, puoi dominare qualsiasi cosa.”
Per Eliowsky, la sfida più grande non era solo fisica. La sua Lagrangiana Inversa, ancora
instabile, era come una bestia selvaggia dentro di lui. Ogni volta che cercava di usarla
durante gli allenamenti, rischiava di perdere il controllo. Giog lo osservava con attenzione,
spingendolo a migliorare il suo equilibrio mentale.
“Devi smettere di combatterla,” gli disse un giorno, mentre si trovavano su una scogliera a
picco. “Non puoi domare qualcosa che rifiuti. Diventa parte di essa. Fluire, non forzare.”
Eliosky chiuse gli occhi, ascoltando il suono delle onde che si infrangevano contro le rocce.
Provò a tracciare la Lagrangiana Inversa con calma, sentendo il flusso dell’energia anziché
opporvisi. Per un attimo, riuscì a mantenere il controllo, e una luce tenue si diffuse intorno a
lui.
“L’acqua può essere la tua guida,” le disse, mentre camminavano lungo un torrente di
montagna. “Fluisce, si adatta, ma può anche travolgere tutto. Devi trovare il tuo equilibrio,
proprio come l’acqua.”
Margheritowsky imparò a visualizzare il potere delle sue barriere come un flusso continuo,
anziché come un muro rigido. Ogni giorno migliorava, e con l’aiuto di Elena, riuscì a
generare strutture più stabili e precise.
Anche Nicolas trovò il suo percorso. Inizialmente considerato il più spensierato del gruppo,
si scoprì sorprendentemente disciplinato. Sotto la guida di Bancher, imparò a incanalare la
sua velocità e agilità in attacchi potenti e precisi. “Non sottovalutarti mai,” gli disse Bancher.
“La tua leggerezza è una forza.”
Con il passare dei mesi, il gruppo si trasformò. Eliowsky riuscì finalmente a padroneggiare la
Lagrangiana Inversa, usando l’energia oscura per creare attacchi potenti e difese flessibili.
Margheritowsky affinò il controllo delle sue barriere, rendendole non solo un elemento
difensivo, ma anche una potente arma. Nicolas, con la sua agilità e il suo senso
dell’umorismo, divenne un combattente imprevedibile e letale.
Tre anni passarono in un battito di ciglia. Quando giunse il momento di lasciare il Daghestan,
Giog e Bancher li accompagnarono fino ai confini del villaggio. “Siete pronti,” disse Giog,
posando una mano sulla spalla di Eliowsky. “Ma ricordate, la forza fisica e mentale non sono
tutto. È il vostro spirito che vi guiderà nelle battaglie più dure.”
Mentre il gruppo si dirigeva verso la Città della Nebbia, Eliowsky si voltò per un momento,
osservando le montagne alle loro spalle. Quelle rocce erano state il terreno della loro
trasformazione, e non sarebbero mai tornati quelli di prima.
Il loro viaggio non era finito. La sfida più grande li attendeva ancora, ma ora erano pronti ad
affrontarla, uniti e più forti che mai.
Capitolo 12: Tradimento
La Città della Nebbia era la stessa che ricordavano, ma ai loro occhi appariva diversa. Le
strade immerse nella foschia non evocavano più paura, ma determinazione. Dopo tre anni di
addestramento nel Daghestan, Eliowsky, Margheritowsky e Nicolas sentivano di essere
finalmente pronti. Non erano più le stesse persone che Pellizzer aveva umiliato.
“Questa volta, non ci sfuggirà,” disse Eliowsky, stringendo i pugni mentre avanzavano
attraverso i vicoli bui.
Raggiunsero il vecchio magazzino che fungeva da base per l’Akatsuki. L’ingresso era
silenzioso, troppo silenzioso. Eliowsky indicò a Margheritowsky di erigere una barriera per
precauzione, mentre Nicolas avanzava con passi leggeri, pronto a ogni evenienza.
All’interno, una luce fioca illuminava la stanza centrale. Al centro, Pellizzer li stava
aspettando. Il suo mantello ondeggiava leggermente, e il suo sorriso beffardo era lo stesso
di tre anni prima. Ma accanto a lui c’era un’altra figura, qualcuno che nessuno di loro si
aspettava di vedere.
Sneako.
“Benvenuti di nuovo,” disse Pellizzer, con un tono carico di sarcasmo. “Vedo che avete
portato rinforzi. Non che faccia molta differenza.”
Sneako, invece, non parlò. Il suo sguardo era rabbioso, pieno di rancore. Stringeva un’arma
a doppia lama che sembrava vibrare di energia instabile.
Eliosky avanzò di un passo. “Sneako… Perché sei qui? Pensavo fossi uno di noi.”
Il ragazzo non rispose subito. Il silenzio nella stanza era opprimente, rotto solo dal rumore
delle loro respirazioni. Poi, con un ringhio, Sneako alzò l’arma. “Perché nessuno mi ha mai
capito. Perché voi mi avete lasciato indietro. E ora… ora vi farò vedere chi sono davvero!”
La battaglia esplose con una violenza inaspettata. Pellizzer lanciò subito un attacco,
evocando un’onda di ombre che si riversò contro di loro. Margheritowsky alzò la sua
barriera, riuscendo a respingere l’attacco, ma Sneako si lanciò su di loro con una velocità
sorprendente.
Eliosky affrontò Sneako, schivando i suoi colpi e cercando di farlo ragionare. “Non è troppo
tardi! Puoi tornare con noi. Non devi fare questo!”
“Stai zitto!” gridò Sneako, colpendo con tutta la sua forza. Le loro armi si scontrarono,
generando un’onda di energia che fece tremare la stanza.
I suoi compagni lo guardarono, annuendo. Avevano lavorato su quella tecnica solo in teoria,
ma sapevano che non avevano scelta. Si posizionarono in un triangolo, iniziando a tracciare
una complessa formula nell’aria.
“No… no! Fermatevi!” gridò, lasciando cadere l’arma. Si portò le mani alla testa, sopraffatto
dalle voci e dai ricordi che la Lagrangiana evocava. Poi, senza avvisare, si lanciò verso una
delle finestre, sfondandola e precipitando nel vuoto.
Pellizzer, vedendo la scena, indietreggiò per la prima volta. “Voi… voi siete folli!” gridò, prima
di dissolversi in una nube d’ombra e fuggire.
Il silenzio tornò nella stanza. Eliowsky, Margheritowsky e Nicolas crollarono a terra, esausti.
Guardarono la finestra rotta da cui Sneako era scomparso, senza sapere cosa dire.
Eliosky annuì, ma il peso di ciò che era appena successo era evidente nei suoi occhi.
Avevano vinto, ma a un costo altissimo. La battaglia contro Pellizzer e l’Akatsuki non era
finita, ma per quella notte, tutto ciò che potevano fare era riposare e cercare di non pensare
alle conseguenze.
Capitolo 13: Rave nelle Segrete
La vittoria nella battaglia contro Sneako e la fuga di Pellizzer lasciarono Eliowsky e i suoi
compagni con un misto di sollievo e inquietudine. L'Akatsuki era ancora là fuori, e il loro
nemico non era stato sconfitto. Con poche informazioni su dove Pellizzer potesse essersi
rifugiato, il gruppo decise di indagare nei livelli inferiori del castello, seguendo gli indizi
lasciati dal nemico.
Scendendo una scalinata di pietra umida e fredda, si addentrarono nelle segrete del
castello. L’aria era pesante, impregnata di odori metallici e muffa. Il buio era rotto solo da
torce appese alle pareti, il cui fuoco danzava in modo innaturale, quasi a ritmo di una musica
distante.
“Sentite anche voi?” chiese Margheritowsky, stringendo la piuma d’oca tra le dita.
Eliosky annuì. Un basso profondo e ritmico vibrava nelle pareti, crescendo man mano che si
avvicinavano a una grande sala. Quando aprirono la porta di legno marcia, furono investiti
da una scena surreale.
“Benvenuti al mio dominio!” gridò Zucco, alzando le braccia al cielo. “Qui, la danza è legge,
e nessuno esce vivo senza aver dimostrato di essere degno!”
Zucco indicò il gruppo con un dito, e la musica si fermò improvvisamente. “Voi! Pensate di
essere abbastanza forti per sfidarmi? Dimostratelo sul mio campo!”
Prima che potessero rispondere, Zucco batté le mani, e il pavimento si illuminò con schemi
geometrici pulsanti. Era una sfida, ma non una comune battaglia. Zucco iniziò a ballare,
muovendosi con una precisione e una velocità che sfidavano le leggi della fisica. Ogni passo
generava onde di energia che si propagavano verso Eliowsky e i suoi compagni.
“Attenti!” gridò Margheritowsky, alzando una barriera appena in tempo per bloccare l’impatto.
“Non riuscirete mai a seguire il ritmo del gabber!” gridò Zucco, ridendo.
Margheritowsky lo guardò sorpresa. “Quella tecnica assurda? Non hai mai provato davvero
a usarla!”
Eliosky si posizionò al centro della stanza, chiudendo gli occhi per concentrarsi. Poi, con un
respiro profondo, iniziò a muoversi. I suoi passi erano lenti e deliberati, ma seguivano uno
schema completamente opposto a quello di Zucco. Ogni movimento sembrava interferire
con il flusso della musica, destabilizzando l’energia che Zucco generava.
“Cosa… cosa stai facendo?” gridò Zucco, perdendo per un attimo il controllo.
“Sto ballando fuori tempo,” rispose Eliowsky, aumentando l’intensità dei suoi movimenti.
Il Reverse Gabber era una danza anti-ritmica, progettata per distruggere l’equilibrio
energetico dei nemici che si affidavano al ritmo. Con ogni passo, Eliowsky creava
dissonanze che si riflettevano nella musica di Zucco. Presto, le luci stroboscopiche
iniziarono a lampeggiare in modo irregolare, e la folla di danzatori cadde in confusione.
La musica si fermò, e il silenzio cadde nella sala. Eliowsky si avvicinò a Zucco, che lo
guardava con un misto di rabbia e rispetto.
“Hai distrutto il mio ritmo… ma devo ammettere, sei forte,” disse il maestro del gabber, prima
di perdere i sensi.
Eliosky, con il cuore ancora pulsante per l’adrenalina, si voltò verso i suoi compagni.
“Andiamo. Non possiamo fermarci ora.”
E, senza voltarsi indietro, si avviarono verso le profondità del castello, pronti per la prossima
battaglia.
Capitolo 14: Il Giardino Zen
Davanti a loro si aprì un giardino zen: un vasto spazio circondato da pareti bianche, con un
cielo che sembrava irreale, di un azzurro intenso e privo di nuvole. Al centro, un sentiero di
ghiaia bianca si snodava tra pietre lisce e alberi di ciliegio in fiore. Un vento leggero faceva
cadere petali rosa, creando un’atmosfera surreale.
Ma non erano soli. Al centro del giardino, seduto su una grande pietra piatta, c’era Mathias.
Alto, con lunghi capelli bianchi e occhi viola che sembravano perforare l’anima di chiunque
osasse guardarli. Il suo abito nero ondeggiava leggermente al vento, mentre con calma
scrutava i nuovi arrivati.
“Vi stavo aspettando,” disse con una voce profonda, quasi monotona. “Avete dimostrato
forza e determinazione, ma qui affronterete qualcosa di ben diverso. Qui, affronterete voi
stessi.”
Eliosky avanzò di un passo, stringendo i pugni. “Non ci interessa il tuo gioco mentale,
Mathias. Sappiamo cosa stai facendo e non ci fermeremo.”
Mathias accennò un sorriso sottile. “Se pensate che sia un gioco, non avete compreso il
vero significato di questo luogo.”
Con un movimento lento, si alzò dalla pietra e sollevò una mano. “DOMAIN EXPANSION:
ABSOLUTE VOID.”
Eliosky si ritrovò in una stanza piena di oggetti familiari. Sul tavolo c’erano un sacchetto di
patatine del Prix, un monitor che trasmetteva un Capitolo di *One Piece*, e sul pavimento un
piccolo contenitore aperto che emanava il familiare odore di ketamina. La scena lo colpì
come un pugno nello stomaco.
“Non può essere…” mormorò, avvicinandosi al tavolo. Una parte di lui sapeva che non era
reale, ma un’altra parte, quella più debole, si sentiva attratta.
Una voce risuonò nella stanza, calma e distante, ma inconfondibile: quella di Mathias.
“Questo è ciò che sei, Eliowsky. Un fallito che si rifugia nei suoi vizi. Un uomo incapace di
crescere.”
“Davvero?” continuò Mathias, con tono beffardo. “Guarda te stesso. Guarda cosa ti ha
portato qui. È stato il tuo potere? La tua determinazione? O semplicemente la tua incapacità
di abbandonare ciò che ti rende debole?”
Nel frattempo, anche Margheritowsky affrontava i suoi demoni. Si trovava in una stanza
illuminata da una luce fredda, con la piuma d’oca che fluttuava davanti a lei, fuori dalla sua
portata. Attorno a lei, le barriere che aveva tentato di creare per tutta la vita si sgretolavano
una dopo l’altra.
“Non sei in grado di controllare nulla,” disse la voce di Mathias. “La tua stessa forza è una
minaccia per chiunque ti stia vicino.”
“Smettila di fingere,” disse Mathias. “Non sei divertente. Sei solo vuoto.”
Eliosky, quasi rassegnato, vide un’ombra familiare emergere davanti a lui. Lisowsky, vestita
di bianco, lo guardava con un sorriso dolce ma triste. “Eliosky, non è questo il tuo destino,”
disse, con una voce che sembrava avvolgerlo in un caldo abbraccio.
“Non puoi lasciarti fermare da ciò che sei stato. Tu sei molto di più. Non devi essere perfetto,
devi solo continuare a lottare.”
Con quelle parole, un’ondata di energia attraversò il dominio. Margheritowsky ritrovò la forza
di afferrare la piuma, Nicolas si alzò, scacciando le ombre che lo circondavano, ed Eliowsky
si rialzò, fissando il nulla con determinazione.
“Mathias!” gridò, la sua voce che riecheggiava nel vuoto. “Non ci spezzerai. Non oggi.”
David Goggins aggiunse, con un tono che risuonava come un tamburo. “Non importa quanto
sia buio il dominio. La luce è dentro di noi. Ora alzatevi e combattete.”
Eliosky sentì una scintilla accendersi dentro di lui. Con l’aiuto di Giog e Bancher, si rialzò.
Mathias, apparentemente imperturbabile, usò la tecnica della moltiplicazione del corpo,
creando cloni perfetti che attaccarono simultaneamente.
“Lasciateci i cloni,” disse Giog, eseguendo una planche supersonica che spazzò via diversi
avversari. Bancher bloccava con la sua forza bruta ogni colpo, creando spazio per Eliosky e
gli altri.
Mathias si ritrovò faccia a faccia con Eliosky, che ora sembrava una versione
completamente diversa di sé stesso. La Lagrangiana Inversa brillava intorno a lui con una
luce intensa, bilanciando perfettamente il caos e l’ordine. “Non sei più il ragazzo insicuro che
ho visto arrivare,” disse Mathias, con un sorriso sottile. “Ma questo non significa che tu sia
pronto a vincere.”
Mathias alzò la mano, evocando un gigantesco drago di energia viola, i suoi occhi brillavano
dello stesso bagliore dei suoi Rinnegan. “Ecco il mio vero potere: il Drago del Vuoto
Assoluto!”
Eliosky si preparò, ma prima che potesse attaccare, Giog e Bancher si affiancarono a lui.
“Non lo affronti da solo,” disse Giog, con un sorriso confidente. “Siamo una squadra.”
David Goggins, dal lato opposto del campo di battaglia, motivava tutti con la sua energia
inesauribile. “Non mollate! Ogni secondo in più è una vittoria contro la paura!” Con un salto
impossibile, colpì Mathias direttamente, distraendolo per un istante cruciale.
Eliosky concentrò tutta la sua energia nella Lagrangiana Inversa, tracciando una formula
complessa che si espanse come un vortice di luce e ombra. Il drago di Mathias ruggì,
cercando di opporsi, ma la potenza combinata del gruppo fu troppo per lui. Con un ultimo
colpo, Eliosky liberò tutta l’energia, distruggendo il drago e colpendo Mathias con una forza
devastante.
Mathias crollò a terra, i suoi occhi viola ormai spenti. “Avete… superato ogni mia
aspettativa,” sussurrò, con un sorriso stanco ma sincero. “Forse… non ero degno di
proteggere questa torre.”
Con un ultimo respiro, Mathias si dissolse in una pioggia di luce, lasciando dietro di sé una
chiave dorata che fluttuava verso Eliosky. Il gruppo si avvicinò, stremato ma vittorioso.
“Questa è la chiave per la sala del trono,” disse Giog, osservandola con rispetto. “Davidosky
vi aspetta. Siete pronti?”
Eliosky guardò i suoi compagni: Margheritowsky, che annuì con determinazione; Nicolas,
che fece un sorriso stanco ma fiducioso; e i nuovi alleati che avevano dimostrato il loro
valore. “Lo siamo,” disse, stringendo la chiave.
Con passi decisi, il gruppo si avviò verso la sala del trono. Le pareti si stringevano intorno a
loro, ma non vi era più alcun dubbio nei loro cuori. Davanti a loro si ergeva la sfida finale, il
momento che avrebbe deciso il destino di tutto il regno. E questa volta, erano pronti a
vincere.
Capitolo 16: La Sala del Trono
Con un lamento metallico, le imponenti porte della Sala del Trono si spalancarono, e un gelo
penetrante invase l'animo degli eroi. Dinanzi a loro si stagliava un ambiente oscuro e
maestoso, in cui l'ombra sembrava avere una volontà propria. Colonne di ossidiana, ornate
con rune antiche e formule Lagrangiane incise a mano da sapienti di un tempo perduto,
sorreggevano un soffitto talmente alto da perdersi nell'oscurità. Un alone di mistero
pervadeva l’aria, come se il tempo stesso esitasse a fluire in quel luogo.
Al centro della sala, su un trono forgiato da un unico blocco di pietra nera, sedeva
Davidosky, il Re dei Demoni. Era un essere avvolto da un manto di tenebre viva, con occhi
profondi e privi di luce, come finestre che si affacciavano sull’abisso. La sua voce risuonò
come un tuono distante, spezzando il silenzio con una gravitas inesorabile.
“Benvenuti, mortali audaci. Siete giunti fino a qui, oltrepassando i miei domini e
sconfiggendo i miei più leali servitori. Ma qui finisce il vostro viaggio."
Eliosky, il capo del gruppo, avanzò di un passo, stringendo la chiave dorata che brillava
come una stella solitaria nella sua mano. “Non siamo venuti per inchinarci a te, Davidosky.
Questo è il giorno in cui la tua tirannia avrà fine!”
Davidosky rise, e il suono era un coro di ombre che si sovrapponevano, come il vento che
attraversa una foresta morta. “Arroganza umana. Vediamo se siete degni del destino che
osate sfidare.”
Con un gesto imperioso, il Re dei Demoni tracciò una complessa Lagrangiana nell'aria, le
cui linee di luce scarlatta fluttuavano come serpenti. La formula si trasformò in una spirale di
energia pura che si riversò sul gruppo in un turbine di potere distruttivo.
Giog, il più audace tra loro, sfruttò l'apertura per attivare la Lagrangiana del Fulmine Eterno,
una tecnica che gli permetteva di muoversi con velocità sovrumana, trasformandosi in una
scia luminosa. Con determinazione, sussurrò: "Fulmini della tempesta infinita, guidatemi
attraverso l'oscurità!" Con movimenti fluidi e imprevedibili, si scagliò contro Davidosky, ma il
Re dei Demoni evocò la Lagrangiana dello Specchio d’Ombra, riflettendo ogni attacco con
una precisione micidiale.
Intanto, Nicolas richiamò la Lagrangiana della Stella Polare, una tecnica rarissima che
concentrava l’energia luminosa in un unico punto, creando un raggio capace di perforare
anche le difese più potenti. "Stella dell'alto firmamento, che mai tradisci il tuo cammino, fa'
che la tua luce spezzi l'inganno!" proclamò con voce decisa. Ma Davidosky rispose con la
Lagrangiana del Vuoto Vivente, una forma di energia che divorava la luce stessa,
spegnendo ogni speranza.
“Unitevi a me!” gridò agli altri. Margheritowsky, Nicolas e Giog risposero, posizionandosi in
un triangolo intorno al nemico. Insieme, tracciarono un cerchio runico nell’aria, intrecciando
le loro energie in un’unica sinfonia armonica. Il Nexus Arcano si accese, illuminando la sala
con una luce pulsante che faceva arretrare persino le ombre più profonde.
Davidosky osservò con interesse crescente, per la prima volta tradendo un’ombra di
preoccupazione. “Non è possibile…” mormorò, mentre il potere del Nexus cominciava a
destabilizzare le sue difese.
Con un grido finale, Eliosky liberò l’energia accumulata. Un’onda di luce e oscurità
intrecciate si scagliò contro il Re dei Demoni, avvolgendolo in un turbine che sembrava
sfidare la realtà stessa. La Sala del Trono tremò, e le colonne di ossidiana si incrinarono
mentre il trono veniva ridotto in frammenti.
Quando il bagliore si spense, Davidosky era in ginocchio, il suo manto di tenebre svanito. Gli
occhi, un tempo abissi impenetrabili, mostravano ora una luce fievole, quasi umana.
“Avete… superato ogni mia aspettativa,” disse, con un sorriso stanco ma sincero. “Forse il
regno non ha bisogno di un sovrano come me.”
E con quelle parole, il Re dei Demoni si dissolse in una pioggia di scintille, lasciando dietro
di sé un cristallo pulsante di energia pura: il Cuore del Nexus. Il gruppo si guardò, esausto
ma trionfante, consapevole che la vittoria era stata conquistata a caro prezzo. Ma davanti a
loro si apriva un nuovo capitolo, una nuova speranza per il regno.
Con la chiave dorata e il Cuore del Nexus nelle loro mani, si prepararono per il viaggio di
ritorno, portando con sé non solo un trofeo, ma anche il peso di ciò che avevano ottenuto e
perso.
Capitolo 17: Un Sogno e una Realizzazione
Il gruppo avanzava lungo un sentiero di pietre bianche, incorniciato da alberi fioriti che
emanavano una luce soffusa. Ogni passo li avvicinava a Lisosky, intrappolata in cima alla
montagna che si stagliava contro un cielo carico di stelle. Eliosky sentiva il cuore battere
forte, un misto di speranza e timore. Avevano affrontato mostri, tradimenti e sfide impossibili,
ma il pensiero di incontrarla lo rendeva vulnerabile come mai prima.
Arrivati alla cima, un piccolo altare di marmo si trovava al centro di un giardino incantato.
Lisosky era lì, avvolta da una luce dorata che sembrava respirare con lei. I suoi occhi erano
chiusi, il volto sereno come se stesse sognando. Eliosky si avvicinò, le mani tremanti. Ogni
passo sembrava rallentare il tempo, ogni respiro si faceva più pesante.
“Lisosky...” mormorò, la voce appena un sussurro. Lei aprì gli occhi lentamente, il loro
sguardo si incrociò. C’era qualcosa di diverso, come se il suo dolore e la sua lotta fossero
svaniti.
“Eliosky... sei venuto fino a qui per me?” chiese, la sua voce melodiosa che sembrava
portata dal vento. Lui annuì, incapace di parlare. In quel momento, tutto il mondo attorno
sembrava svanire, lasciandoli soli.
“Non ti lascerò mai più,” disse Eliosky, trovando finalmente la forza di parlare. Lisosky si
avvicinò, il suo sguardo carico di emozioni. I loro volti si avvicinarono lentamente, il tempo si
fermò. La luce attorno a loro sembrava pulsare, ogni secondo carico di una tensione dolce e
insostenibile.
Quando le loro labbra stavano per toccarsi, il mondo esplose in una luce accecante. Eliosky
sentì una forza inarrestabile trascinarlo via, lontano, come se fosse strappato dalla realtà
stessa.
Era di nuovo nella sua stanza a Trento. Sul tavolo c’erano una confezione aperta di patatine
del Prix e un bicchiere vuoto. Guardò attorno, cercando qualcosa che potesse spiegare ciò
che aveva vissuto. Il sogno, o qualunque cosa fosse stata, gli aveva lasciato addosso una
sensazione intensa e indelebile.
“Era... un sogno?” sussurrò, portandosi una mano al petto. Il cuore gli batteva ancora forte,
come se avesse corso una maratona. Ma poi il suo sguardo cadde su qualcosa di
impossibile. Sul comodino accanto al letto c’era una piuma d’oca che brillava debolmente, lo
stesso strumento di Margheritowsky.
Eliosky la prese in mano, il contatto freddo e familiare. Per un attimo, rimase senza parole.
Poi un sorriso incerto si formò sul suo volto.
“Forse non era solo un sogno,” mormorò, ma la realizzazione che seguì fu ancora più
profonda.
Eliosky si preparò per la giornata, con una nuova determinazione che gli brillava negli occhi.
Quando uscì di casa, il cielo era limpido, e per la prima volta dopo tanto tempo, sentì che il
futuro era nelle sue mani.