Relazione Su Borromini
Relazione Su Borromini
Francesco Borromini nasce a Bissone nel 1599. Inizialmente solo scalpellino, diventò
un grande architetto. Operò in modo particolare a Roma, città centrale dal punto di
vista artistico. A Roma era arrivato il Barocco, che, sebbene non trasformò la città in
una città barocca, ebbe una grandissima influenza. Nel 1624, con Urbano come papa,
l’Italia era sotto dominio spagnolo. Questo era un periodo di stabilità politica, motivo
per cui la nobiltà e l’alta borghesia potevano concentrarsi su cose come l’agricoltura e
l’edilizia. La Chiesa, per riottenere il suo potere, prova una politica di espansione,
anche tramite l’arte. E prova a realizzare questo tentativo di riguadagnare influenza
imponendo un tono maestoso alle opere d’arte.
Nel 1624, il Bernini non cerca una continuità di linguaggio per il Baldacchino di San
Pietro. Nel 1625 Pietro da Cortona nella villa del Pigneto, presenta una rilettura
dell’architettura del 500. Pietro da Cortona introduce uno stile che influenzerà anche
Bernini e Borromini, due in grande competizione e opposizione. Bernini è chiamato in
Francia a costruire la reggia di Luigi XIV. L’architettura di Bernini mette in rapporto lo
stile romano, grandioso, con la natura, che per la visione del tempo acquisiva una
nuova importanza. Con la morte di Borromini e Cortona si chiuderà la stagione più alta
del Barocco.
Nel san Carlino di Borromini si capisce molto della sua visione architettonica. Si
fondono le forme centrali e longitudinali. Nel chiostro, ottagonale, Borromini definisce
uno spazio in cui esterno e interno dei porticati entrano in relazione tramite la
sfumatura tra luce e ombra data dalle colonne. La balaustra aggiunta più tardi, esalta
la leggerezza della struttura e la impreziosisce. Nella lanterna appare il motivo delle
nicchie raccordate, riprendendo opere tardo romaniche.
Parliamo dunque di qualche caratteristica del linguaggio di Borromini, con qualche
esempio. Nel linguaggio Borrominiano spesso la base attica delle colonne si collega al
basamento. Borromini costruisce la facciata della casa dei Filippini in modo tale che
sembrasse che accogliesse chi vi si avvicinasse, con la sua forma curva. La Biblioteca
Vallicelliana presenta la ripetizione di ballatoi, motivo che sarà ripreso più volte.
Sant’Ivo presenta una cupola che è spinta verso l’alto con la sua lanterna. Santa Maria
dei sette dolori, altro progetto di Borromini costituisce un’ipotesi sospesa. Sotto
Innocenzo X Borromini riceve l’incarico del restauro di San Giovanni, ma con limiti
fortissimi. Infatti la chiesa, non poteva essere completamente ricostruita, ma doveva
conservarsi pressappoco uguale alla sua forma antica. Borromini restaura il palazzo
Falconieri, che spicca sulla città con una grande altana a triarcati. Trasforma la chiesa
di Santa Agnese plasmando completamente la facciata, facendo sembrare che nasca
dalla piazza. Nella Cappella Spada realizza un arredo molto ordinato e composto, con
una sobrietà che si oppone a quella di Bernini. Nel palazzo di Propaganda Fide, utilizza
un ordine di lesene giganti, che dà un ritmo di grande intensità, dando una violenza
michelangiolesca. La facciata di San Carlino, avvolgente, fa vedere il desiderio di
svincolare l’architettura dalle regole rinascimentali in favore della continuità.
Borromini era molto dedicato al mestiere di architetto: non era mai possibile
paragonarlo a nessun altro. Aveva una grandissima cura dei suoi disegni. Ci rimane
poco del suo aspetto fisico. Nel suo ritratto più celebre, conservato dai Filippini,
presenta caratteristiche molto convenzionali, se non per il suo sguardo. In una
caricatura Borromini ha uno sguardo torbido, triste. In un altro schizzetto sul bordo del
foglio si vede come l’architetto si vestisse all’antica, fuori moda per il tempo.
Borromini era coltissimo: riprende per esempio il gotico, ispirandosi anche al duomo di
Milano. Fonde il gotico con l’eredità classica. La volta della cappella dei re magi del
Collegio di Propaganda Fide mostra forme che erano scomparse dalla tradizione
architettonica. Il suo stile verrà ampiamente ripreso, in particolare all’estero, nel nord
Europa, dove si prova a recuperare la tradizione gotica. Per esempio alcune chiese
riprenderanno da Borromini elementi come le pareti curve. In Germania, in particolar
modo sotto Balthasar Neumann, che riprende molti elementi borrominiani, in
particolare la sua geometria. In Spagna, invece, si approfondisce molto la decorazione
di stile Barocco, quindi ha più influenza lo stile di Bernini rispetto a quello di Borromini.
Nel 1750 l’Europa non sente più tanto l’influenza di Borromini. Ma quando avrà luogo
un nuovo neoclassicismo Borromini tornerà ad essere una delle figure dominanti del
dibattito architettonico. Si dirà infatti nell’800 che gli architetti si sentivano vicini alla
figura di Borromini, per il desiderio di cambiamento rivoluzionario dell’architettura.
Aspetti come la torsione delle linee di Borromini si ritrovano anche nell’Art Nouveau.
La chiocciola della lanterna di Sant’Ivo verrà ripresa da Gaudí, maestro catalano.
Nell’espressionismo, con la linea curva e la contrapposizione di linee concave e
convesse ci sarà pure una ripresa di Borromini. Molte affinità ha l’opera di Frank Lloyd
Wright, che riprende Sant’Ivo e la contrapposizione di concavi e convessi. Wright
riprende la forma elicoidale, infatti, proprio da Borromini.
Borromini, nei suoi scritti, testimonia proprio il suo desiderio di superare i limiti della
società col suo stile. Riteneva, infatti, che chi segue gli altri non li supererà mai e non
farà progresso e solo chi innova sarà rinomato, facendo l’esempio di Michelangelo.
Borromini è consapevole che la sua architettura è rivolta al futuro, mentre
l’architettura di Bernini è proiettata nel presente, è fatta per celebrare la sua epoca.
Borromini sfoga nella sua attività artistica una grande carica etica: non si sente in
grado di esprimersi attraverso le limitazioni del tempo.
Guardiamo allora uno dei film più celebri in omaggio di Francesco Borromini, di Paolo
Portoghesi.
Nel 1634 Borromini presenta san Carlino. La pianta è precisissima tecnicamente. Parte
da una chiesa a pianta centrale, espansa però dal centro in modo tale che le cappelle
risultassero più ingombranti rispetto al solito. La pianta, però, è allungata su un lato,
fondendo dunque una pianta centrale con una longitudinale. La forma è anche
simbolica, è costruita a partire da due triangoli equilateri. Le pareti sono molto varie,
passano da essere spoglie al grande contrasto della parete anteriore, dove addirittura
il muro si stacca dalle colonne, lasciandone apprezzabile il volume. I vari elementi
architettonici sono staccati da sottili canali d’ombra. C’è una ricerca della continuità.
Ci sono superfici curve e le volte a crociera e le pareti sono smussate. Nella piccola
sagrestia e in altri punti della chiesa c’è una chiara ripresa dell’architettura gotica. La
decorazione simbolica lega la forma al significato. Alcuni simboli sono le immagini
angeliche, i melograni, etc. La plastica delle pareti è tale da captare la luce in tante
direzioni e risultati. Si abolisce la rigidità classica e si passa alla sinuosità. Lo spazio è
inteso come corporeo, consistente, che si dilata e si contrae. Il guscio della chiesa
asseconda il percorso di chi entra e guida lo sguardo verso l’alto.
A Sant’Agnese l’ordine è completamente plastico nella parte centrale della facciata,
mentre ai lati aderisce ai muri, assecondando la forma della piazza. A Sant’Andrea
delle Fratte, la colonna si stacca dalla parete. Nella facciata di San Carlino si riescono
ad esprimere le passioni umane tramite il linguaggio dell’architettura. A Propaganda
Fide la parete è animata da squarci, che mettono in rapporto spazio interno ed
esterno. Borromini sostituisce alla colonna l’erma per dare aspetto naturalistico. Gli
angeli nelle colonne, nella facciata di San Carlino, reagiscono agli altri elementi e
sembrano intenzionati a difendere il santo. A Sant’Ivo le lesene danno continuità alla
parete. A san Giovanni è impiegata la travata ritmica. Nella Cappella Spada non c’è
l’ordine: ci sono fasce in cui il mezzo cromatico sostituisce il mezzo plastico.
Borromini studia in particolar modo la soluzione d’angolo, spesso smussato o concavo,
dando un effetto plastico, per garantire continuità. Nel collegio di Propaganda Fide lo
smusso è convesso, nel convento dei Filippini il passaggio fra le facciate è mediato da
una soluzione concava. Nel cortile, la lesena curvata raccorda le serie verticali. Nelle
navate del Laterano le cornici dei basamenti si articolano senza interruzioni. Nelle
edicole di san Giovanni il morbido inflettersi delle cornici, inoltre, dà una suggestiva
continuità. A Sant’Ivo le ripetute intelaiature orizzontali danno continuità, che dannò
anche tridimensionalità. La continuità si spezza solo nella voluta.
L’ornamento per Bernini è studiato molto in San Giovanni, dove vediamo cherubini che
si affacciano verso lo spettatore. La corona di stelle che racchiude l’immagine del papa
è un ornamento geometrico, ma essendo asimmetrico e discontinuo sembra più
animato. Le stelle riappaiono anche a Sant’Ivo, insieme ai cherubini, come simbolo del
cielo. Il Borromini interpreta le figure angeliche in modo diverso in ogni opera. In
Sant’Ivo, per esempio, i cherubini sostituiscono gli ovoli della cornice classica. Gli
angeli, nelle loro diverse forme, esprimono diverse emozioni e qualità umane e
Borromini quindi sceglie attentamente quali forme usare. Nella Cappella Spada, per
comunicare la caducità della vita, si vede una pioggia di fiori che va verso il
pavimento, scelta insolita. Bernini usa anche molto il festone d’alloro, che si vede nei
pilastri di San Giovanni, alternato alle palme, anch’esse molto comuni per il Borromini.
Nei soffitti del palazzo Falconieri Borromini compone corone circolari che si intrecciano
con una forma che allude alla trinità e compone anche bizzarri emblemi, che
sostituiscono i temi mitologici.
Nella cornice di Sant’Agnese si vede l’attenzione di Borromini alla luce, che vuole
lasciare la luminosità incontrastata nella piazza. In San Giovanni la luce è usata per
ampliare illusoriamente lo spazio e accentuare il ritmo delle campate. Infatti la navata
maggiore è molto più illuminata delle laterali. Nell’oratorio dei Filippini Borromini usa il
principio della camera di luce, uno spazio che, per la sua particolare illuminazione, dà
alla vista il desiderio di dilatarsi. La volta senza spigoli della loggia trova un effetto
sfumato. Il rapporto materia luce è anche importante per come l’architettura appare
nel contesto urbanistico, come spicca in cielo. La chiocciola di Sant’Ivo ne è il
maggiore esempio, che, con la sua sagoma avvolgente, sembra perdere peso e
spiccare verso l’alto. Dall’alto della chiocciola si vede il panorama armonico della città,
molti dei quali elementi sono legati all’intervento di Borromini. A Sant’Andrea delle
fratte, il campanile è un fascio di linee di forza che scarica la sua tensione nel
coronamento, attraversato dal flusso della luce.
Uno dei temi centrali della ricerca di Borromini è lo spazio. Nella facciata dei Filippini
Borromini mostra la sua concezione simbolica dello spazio, infatti questa sembra
abbracciare lo spettatore. Nella lanterna di Sant’Ivo spazio interno e esterno entrano in
contatto plasmandosi l’un l’altro. A Sant’Andrea delle fratte, il tiburio e il campanile,
con la loro sagoma, esaltano la fluidità dello spazio urbano, seguendolo. A Propaganda
Fide, il contatto fra interno e esterno è reso evidente dai finestroni inflessi. Borromini,
negli ultimi anni della sua vita raggiunge quella drammaticità tipica di Michelangelo.
Nella facciata di San Carlino nessuna interruzione arresta la forma sinusoidale della
facciata. Per quanto riguarda la concezione degli spazi interni, Borromini sceglie
spesso l’aula rettangolare con angoli smussati. In Santa Maria dei sette dolori, infatti,
le grandi colonne enucleano le cappelle attraverso l’inflettersi della cornice. A
Propaganda Fide, attraverso la struttura diagonale delle costole che raccolgono la
spinta verticale delle lesene, lo spazio assume una natura plastica, ispirandosi anche
alle forme gotiche. In San Giovanni si riesce a cogliere la concezione spaziale
borrominiana, che si realizza con l’alternanza luminosa tra le navate. Nell’interno di
Sant’Ivo lo spazio sembra essere amministrato in modo confuso: solo porgendo lo
sguardo verso l’alto si osserva un rigore geometrico. La forma perfetta del cerchio
infatti, risolve la molteplicità delle strutture e delle forme delle parete e della cornice.
Borromini aspira sempre all’unità organica della forma, che tenta di raggiungere
tramite varie strade. Quest’unità si individua tramite la definizione dello spazio
interno, tutto percorribile, distinguibile, sebbene complesso.