Ferrara nel 1902: Un anno di transizione
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Book preview
Ferrara nel 1902 - Luigi Davide Mantovani
Intro
In memoria del mai abbastanza compianto Luigi Davide Mantovani (1940-2020), si è ritenuto opportuno pubblicare il suo raro saggio Ferrara nel 1902. Un anno di transizione, da lui scritto con la ben nota competenza e con quel pizzico di ironia che sempre lo ha contraddistinto nella vita e nel suo lavoro di storico. Gli argomenti trattati sono: Il centro e i borghi, Padroni e boari; Il grosolismo; Il partito agrario; Cani e gatti: cattolici e socialisti; La refezione scolastica; Il delegato Pappalardo; Il trionfo del ciclismo; Le elezioni, lo scandalo
Niccolini; I liberali ferraresi. La cultura.
FERRARA NEL 1902
UN ANNO DI TRANSIZIONE
Il centro e i borghi
Per avere una iniziale visione di Ferrara nel 1902, possiamo usare lo sguardo un po’ en touriste di Mara Antelling, una giornalista scrittrice, ospite da qualche tempo in città, che invia al suo giornale, Il Caffaro
di Genova, una corrispondenza, ripresa, con un certo compiacimento dalla Gazzetta ferrarese
, ovverosia la Nonna, come affettuosamente veniva chiamata dai ferraresi per essere la capostipite dei fogli cittadini, in circolazione fin dal fatale 1848.
«Mentre intorno turbinano gli scioperi e i comizi tumultuosi si moltiplicano e gli assembramenti si sciolgono al suon di squille e con la minaccia delle baionette innestate, o delle cariche di cavalleria, Ferrara sembra riposare tranquilla fra le sue brume, le sue grasse pianure, e i ricordi gloriosi del passato. Tranquilla in apparenza e sonnolenta essa tuttavia non vive solo di memorie, ne fanno fede gli alti fumaioli delle fabbriche sparse intorno alla cerchia delle mura, sentinelle della modernità che sgretola le salde rocche del tempo antico. Dentro la sua cerchia si stende la quieta vita cittadina in un dolce silenzio tanto gradito soprattutto da chi viene da centri ossessionati dal traffico rumoroso. Qui non ci sono ancora tramways nonostante la stazione sia lontano dal centro, non ci sono binari in mezzo alle strade e lungo il viale di tigli che dalla stazione conduce al centro corrono barcollando certi informi carrozzoni tirati da magri cavallucci che fanno il servizio di trasporto... Oh deliziose arche ambulanti! Non danno noie di fischi, non hanno segnali di trombette e se ne vanno indolentemente sballottando quei poveri mortali che vogliono risparmiare la spesa della carrozza e dalla quale scendono un po’ tramortiti, ma... sani e salvi… Eppure la città non dorme. Veglia per il bene suo un Sindaco intellettuale, gentiluomo colto assai e vegliano tutti i cittadini e piano piano con quella calma che è caratteristica di questa città fioriscono le istituzioni nuove che la civiltà progredita richiede. La refezione scolastica ebbe sostegno e attuazione, l’Università popolare funziona, e bene, pel secondo anno; e io ebbi agio di provare fin dalla prima lezione, come sia ben inteso il concetto di questa Università dai professori che vi insegnano. E nella città nessuno dorme. Vegliano e come! Domenico e Gualtiero Tumiati, gli inseparabili, aristocratici autori e dicitori di versi e melologhi. Veglia Ottorino Novi che prepara conferenze applaudite. Genova lo accoglierà presto e riceve nella sua bella casa con cortesia di gran signore. Veglia il professor Agnelli, dotto ed elegante scrittore di cose storiche, critico carducciano. Autore di un articolo saggio importante su Ferrara che presto apparirà su Emporium. E vegliano le bellissime donne di questa città che l’animano di loro leggiadria ed eleganza...» ¹.
Queste impressioni di viaggiatrice colta erano naturalmente solo una parte di una realtà molto più complessa, che la scrittrice di romantici romanzi rosa non riusciva o non voleva cogliere. Sarebbe bastato che avesse spinto lo sguardo e il piede oltre il Palazzo della Ragione, che fronteggiava il fianco destro della cattedrale, per scoprire, fra le vie San Romano, Porta Reno e Ripagrande, un vasto quartiere popolato da una ribollente e misera umanità sottoproletaria, ammassata nelle fatiscenti case medioevali. D’altra parte, anche i vari giornali di maggior tradizione, come appunto la menzionata Nonna e la radicale Rivista
non si erano quasi mai occupati delle condizioni abitative e igienico sanitarie degli inquilini, se non per dar notizia ogni tanto di un crollo abitativo o di un fatto di cronaca nera tipico di quella intricata casbah. Quando finalmente un cronista visita uno di questi tuguri e descrive la condizione di totale inopia di una vedova e dei suoi tre figli, uno dei quali muore il giorno dopo evidentemente di insufficiente nutrizione, allora grazie a una lettera, inviata dal giovane avvocato Gastone Cavalieri, collaboratore letterario della Gazzetta ferrarese
e rampollo di una famiglia di banchieri e industriali, il quale si avventura in quegli ambienti asfittici che hanno l’altezza di un uomo medio, si squarcia crudamente il velo che teneva celata una miseria impressionante.
«In San Romano, in specie ove la strada è vicolo più che via, in certe abitazioni, piene di uomini come di lordure e di animali, si sale, di giorno per scalette sconquassate che non han di gradi che il nome, non ci si vede, si brancola allo scuro come di notte, s’inciampa in pietre sconnesse, in travi cadenti, si sale, si sale a perdita di fiato. E più si sale più cresce il fetore e la sporcizia. È su su, in soffitta che