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Il Dio dei nostri padri: Il grande romanzo della Bibbia
Il Dio dei nostri padri: Il grande romanzo della Bibbia
Il Dio dei nostri padri: Il grande romanzo della Bibbia
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Il Dio dei nostri padri: Il grande romanzo della Bibbia

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About this ebook

I nostri padri erano convinti di vivere sotto l’occhio di Dio: la sua esistenza era certa come quella del sole che sorge e tramonta. Oggi abbiamo smesso di crederci, o anche solo di pensarci. E la Bibbia nessuno la legge più. Invece la Bibbia è un libro meraviglioso. Che si può leggere anche come un grande romanzo. L’autobiografia di Dio.
Aldo Cazzullo fa con la Bibbia quel che aveva fatto con Dante: ci racconta la storia, in modo chiaro e comprensibile a tutti, con continui riferimenti all’attualità, alla nostra vita, passando attraverso le vicende storiche e i capolavori dell’arte.

La creazione, Adamo ed Eva, la cacciata dall’Eden, Caino e Abele, Noè e il diluvio. La storia di Giacobbe che lottò con Dio e di Giuseppe che svelò i sogni del faraone. Mosè, le piaghe d’Egitto, il passaggio del Mar Rosso, i dieci comandamenti. E poi la conquista della terra promessa, da Giosuè che espugna Gerico a Davide che taglia la testa di Golia, da Sansone, l’eroe fortissimo ma tradito dal suo amore, a Salomone che innalza il tempio. Cazzullo rievoca storie dal fascino millenario. E racconta le grandi donne della Bibbia: Giuditta che taglia la testa al condottiero nemico, Ester che salva il popolo dallo sterminio, Susanna che fa condannare i suoi molestatori. E poi l’angelo che salva Tobia e il diavolo che tormenta Giobbe, l’amore del cantico dei cantici e la disillusione dell’Ecclesiaste (“tutto è vanità”). Sino alla grande speranza della resurrezione, e di un salvatore che viene a riscattare l’umanità: per i cristiani, Gesù.

Dopo averci raccontato la storia millenaria dell’impero romano e aver mostrato come sia ancora viva nei nostri giorni, Cazzullo invita il lettore a un entusiasmante viaggio nella Bibbia, mostrandoci che è il più grande romanzo mai scritto. "Il Dio dei nostri padri" è un libro appassionante e illuminante, che ci conduce alle radici della nostra cultura e delle nostre famiglie.

LanguageItaliano
PublisherHarperCollins Italia
Release dateSep 24, 2024
ISBN9788830594555
Il Dio dei nostri padri: Il grande romanzo della Bibbia

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    Il Dio dei nostri padri - Aldo Cazzullo

    Copertina: Aldo Cazzullo - Il Dio dei nostri padri - Il grande romanzo della Bibbia - HarperCollins

    Dello stesso autore

    nelle edizioni HarperCollins

    Quando eravamo i padroni del mondo.

    Roma: l’impero infinito

    ALDO CAZZULLO

    IL DIO DEI NOSTRI PADRI

    IL GRANDE ROMANZO DELLA BIBBIA

    Logo HarperCollins

    © 2024 Aldo Cazzullo

    Si ringrazia la Conferenza Episcopale Italiana per le citazioni bibliche, che sono tratte da La Sacra Bibbia, testo della traduzione in lingua italiana nella versione ufficiale a cura della Conferenza Episcopale Italiana

    © 2008 Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena.

    Le altre citazioni presenti nel testo sono tratte dalle seguenti edizioni:

    B. Fenoglio, La malora, Einaudi, Torino 2013.

    L. Tolstoj, Anna Karenina, traduzione di L. Ginzburg, Rizzoli/BUR, Milano 2012.

    H. Melville, Moby Dick, traduzione di C. Pavese, © 1987 Adelphi Edizioni S.p.A., Milano.

    C. McCarthy, Il buio fuori, traduzione di R. Montanari, Einaudi, Torino 2015.

    E. L. Masters, Antologia di Spoon River, traduzione di A. Porta, Il Saggiatore, Milano 2016.

    A. Cazzullo, Le italiane, Solferino, Milano 2021.

    F. Pessoa, Passaggio delle ore, in Una sola moltitudine, vol. 1,

    © 1988 Antonio Tabucchi and Maria-Jose Lancastre. All rights reserved.

    © 1979 Adelphi Edizioni S.p.A., Milano.

    S. Quasimodo, Uomo del mio tempo, tratto da Tutte le poesie,

    © 2020 Mondadori Libri S.p.A., Milano, I edizione Oscar Moderni settembre 2020.

    E. Montale, Cigola la carrucola del pozzo, tratto da Ossi di seppia,

    © 2024 Mondadori Libri S.p.A., Milano, Published by arrangement with

    The Italian Literary Agency,

    I edizione Oscar Moderni febbraio 2024.

    C. Dickens, Le due città, traduzione di S. Spaventa Filippi, Newton Compton, Roma 2008.

    Estratto dalla canzone Decline and Fall of the Roman Empire

    musica di Franco Battiato, testi di Manlio Sgalambro.

    L’Editore ringrazia tutti coloro che hanno collaborato, e rimane a disposizione degli eventuali aventi diritto con i quali non è stato oggettivamente possibile comunicare.

    Senza limitare i diritti esclusivi dell’autore e dell’editore, è espressamente vietato qualsiasi utilizzo non autorizzato di questa pubblicazione per l’addestramento di tecnologie di intelligenza artificiale generativa (AI).

    © 2024 HarperCollins Italia S.p.A., Milano

    eBook ISBN: 9788830594555

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo

    A mia madre, a mio padre,

    e a tutte le generazioni vissute sotto l’occhio di Dio

    «Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; saprete che io sono il Signore. L’ho detto, e lo farò».

    Dio

    PROLOGO

    Ho ricominciato a leggere la Bibbia al capezzale di mio padre. Il 24 ottobre 2023 ero a Madrid sul palco di un teatro, quando ho sentito una premonizione fortissima: era accaduto qualcosa a papà. Finito lo spettacolo ho riacceso il telefonino: c’erano i messaggi di mio fratello che mi chiedeva di rientrare subito. Sono rientrato – i medici mi avevano parlato di poche ore di vita – e ho trovato papà seduto sul letto che conversava con gli infermieri. Pensai a uno scherzo di cattivo gusto, ma un po’ tutti mi assicurarono: non capiamo neppure noi, è inspiegabile.

    Mio padre ha guadagnato solo due mesi. Molto utili però, a lui e a noi, per dirci addio. Tra le tante cose che ci siamo detti – fino alla vigilia di Natale, quando si è spento –, ce n’è una che può servire a entrare nello spirito di queste pagine.

    A tutte le persone che intervisto chiedo sempre se credono nell’aldilà, e come lo immaginano. Mio padre ci teneva a darmi anche la sua risposta: «Aldo, l’aldilà esiste». Sei sicuro, papà? «Sicuro, no. Però ne sono convinto».

    In quella notte del 24 ottobre in cui è stato in punto di morte, papà aveva sentito accanto a sé suo padre. Non l’aveva soltanto visto; aveva proprio avvertito la sua presenza. Nonno Lorenzo – ragazzo del ’99, cavaliere di Vittorio Veneto: cose un tempo considerate importanti – era un contadino; e vestito da contadino l’aveva visto papà. Molto magro, la canottiera bianca, i pantaloni da lavoro chiusi in vita da una corda penzolante. Gli aveva parlato in piemontese: «Sei il mio Giannino, non ti lascio solo, devi goderti ancora un poco i tuoi nipoti». E poi aveva interceduto per lui presso san Pietro, che giudicava le anime.

    È ovviamente una visione condizionata dall’immaginario cattolico. Ma è proprio questo il punto. Mio padre era cattolico praticante, non ha mai perso una messa la domenica, anche se per lui la religione non era così importante come lo è per mia madre. I nonni, poi, appartenevano a una generazione per cui i dubbi che i miei genitori hanno coltivato non esistevano. I nonni erano certi dell’esistenza di Dio e dell’aldilà come del fatto che il sole sorge e tramonta.

    Quelle dei nostri nonni e dei nostri genitori sono state le ultime generazioni convinte di vivere sotto l’occhio di Dio. E di dover rispondere a Dio delle proprie azioni.

    La nostra, di noi cinquantenni, è stata la prima generazione di agnostici, che sapeva di non sapere. Poi sono venute generazioni che non hanno coltivato neppure i dubbi; non si sono proprio poste il problema. Al tempo della Rete, del resto, passato e futuro non esistono: chiedersi da dove veniamo e dove andiamo non usa più.

    Anche per questo oggi non si legge più la Bibbia. Io stesso ne avevo una memoria lontana, legata alle letture d’infanzia e alla passione per la pittura; perché la Bibbia ha ispirato i più grandi artisti che l’umanità abbia mai avuto, dai mosaicisti di San Marco a Guttuso, da Giotto a Chagall, sino a raggiungere le vette di Raffaello e di Michelangelo.

    Nei giorni e nelle notti passate a vegliare mio padre (anche se il peso maggiore è ricaduto sul mio splendido fratello), la Bibbia è stata una compagna ideale. Ricordo un sabato sera – di sabato sera gli ospedali sono come gli alberghi delle settimane bianche: si svuotano, chi non sta proprio malissimo viene mandato a casa, per far posto ai nuovi arrivati – in cui lessi una pagina poco conosciuta, il rito dell’alleanza tra Abramo e Dio. Abramo prepara gli animali per il sacrificio, poi viene colto da un misterioso torpore – negli ospedali il riposo dei ricoverati e dei parenti somiglia più al torpore che al sonno; non si dorme mai del tutto – ed è visitato da Dio, che passa nell’oscurità della notte sotto forma di fuoco… Una pagina evocativa, di una potenza straordinaria, che inquieta e insieme rasserena. Non soltanto ci si trova di fronte al mistero; si sente quasi di avere la forza di affrontarlo.

    Per quanto oggi abbia meno paura della morte, poiché ho capito che fa parte della vita, mentirei se dicessi che la lettura della Bibbia mi ha riavvicinato alla fede. Certo, sono consapevole della sua importanza spirituale, della sua valenza religiosa; eppure la Bibbia mi è apparsa innanzitutto un capolavoro letterario, una grande storia, un formidabile romanzo. Con un solo, vero, grande protagonista: Dio.

    È sempre Dio che crea, decide, parla, agisce. Gli uomini, anche i più grandi, anche Abramo, Noè, Mosè, Davide, ruotano attorno a lui, esistono perché esiste lui. Se lo seguono, prosperano; se lo ignorano, muoiono.

    La Bibbia è l’autobiografia di Dio. Per questo, molti hanno pensato (e qualcuno ancora pensa) che sia stata scritta, o almeno ispirata, da lui.

    Sulla Bibbia sono stati pubblicati migliaia di libri. Come per ogni grande opera, esiste una questione biblica: chi l’ha scritta e quando, chi l’ha tradotta, quale interpretazione darne… Ma non sono un biblista, e non è di questo che voglio parlarvi. Come ogni grande opera, anche la Bibbia muta, con il succedersi dei secoli, delle traduzioni, dei lettori. Alla nostra sensibilità, alcuni passi suonano datati, fuori tempo, talora terribili: schiavitù, poligamia, massacri.

    Ma c’è una cosa che rimane sempre uguale: la trama. Il sugo di tutta la storia. Il romanzo della Bibbia. La grande vicenda degli uomini vissuti sotto lo sguardo di Dio, da Adamo fino ai nostri padri.

    Non è solo la vicenda del popolo ebraico; è l’infanzia dell’uomo. Il tempo in cui il mondo era giovane, in cui Dio ci parlava, e chi voleva poteva ascoltarlo. E quando Dio si manifesta, spesso si presenta così: «Io sono il Dio dei tuoi padri». Anche per noi, che viviamo o crediamo di vivere in un mondo senza Dio, il Libro suona familiare. Come un rimpianto, come un richiamo, come una voce paterna, che viene da lontano e lontano va. Perché la Bibbia, al pari di ogni grande opera, parla di noi. E leggerla, o ripercorrerne le vicende come stiamo per fare, non è solo un’avventura spirituale. È un godimento dell’anima e della mente.

    Certo, la Bibbia è un libro sacro. Fondativo di due religioni. Bibbia – che in greco significa libri – è un termine introdotto dai cristiani, che comprende sia l’Antico sia il Nuovo Testamento; è quindi il libro fondativo del cristianesimo. Ma prima ancora quello che i cristiani chiamano Antico Testamento è ovviamente la base della religione ebraica. Ed è importante anche per l’Islam, in quanto fonte indiretta, per citazioni e riprese, del suo unico libro sacro, il Corano. Ma la Bibbia non è fatta solo di norme e di regole. È soprattutto fatta di parole e di storie. Con la parola Dio crea il mondo. E con le storie ci racconta com’è fatto. Come funziona l’animo umano, di quanti vizi e quanto valore siamo capaci, quale sarà il nostro destino. Ci racconta cos’hanno sognato i nostri padri, il luogo in cui i nostri padri sono adesso, e cosa attende noi.

    Le pagine della Bibbia non sono soltanto le fondamenta della nostra fede; sono l’origine della nostra cultura. Chi volesse risalire alle radici dell’identità italiana, cristiana, occidentale, prima o poi arriva alla Bibbia. E da qui deve cominciare. Dal diluvio con cui Dio tentò invano di sradicare il male. Dalla Torre di Babele che gli uomini invano vollero costruire. Da Giacobbe che lottò con l’angelo, da Giuseppe che sapeva indovinare i sogni, da Mosè che liberò il suo popolo dall’Egitto, passò il Mar Rosso e ricevette i dieci comandamenti dal dito di Dio. Da Sansone che uccise se stesso insieme con i Filistei, da Davide che sconfisse il gigante Golia. E poi dalle grandi donne, come Giuditta, Giaele, Ester, che uccidendo o facendo uccidere un uomo malvagio salvarono milioni di giusti; mentre Susanna, in una vicenda che suona incredibilmente moderna, fece condannare i suoi molestatori. E poi l’inno all’amore del Cantico dei Cantici, l’angelo che scaccia il demone e salva Tobia, il grido di dolore di Giobbe, e la grande speranza della resurrezione. «Dio non ha creato la morte» scrive la Bibbia: «La giustizia infatti è immortale». Prima ancora di Gesù, è il Dio dell’Antico Testamento a promettere la vita eterna: «Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete… L’ho detto e lo farò».

    Possiamo dunque cominciare insieme un viaggio alla scoperta, o alla riscoperta, della Bibbia. Però non dobbiamo cominciare dalla fine, bensì dal principio. Da quando non esisteva il mondo, ma il caos; su cui aleggiava lo spirito di Dio.

    Tutto sta nascendo. Dio sta per parlare. Ascoltiamolo.

    1

    CREAZIONE

    Dio, Adamo, Eva, Caino, Noè e Babele

    «In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta, le tenebre ricoprivano l’abisso, e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque».

    Non mi viene in mente un attacco altrettanto memorabile. «L’intera Gallia è divisa in tre parti»: anche l’incipit di Giulio Cesare è bruciante, ma non così. «Pioveva su tutte le Langhe. Lassù, a San Benedetto, mio padre si pigliava la sua prima acqua sottoterra»: Beppe Fenoglio sapeva come iniziare i libri. Pure Cervantes: «In un borgo della Mancha il cui nome non mi viene in mente, non molto tempo fa viveva un cavaliere di quelli con la lancia nella rastrelliera, un vecchio scudo, un ronzino magro e un levriero corridore». E Tolstoj: «Tutte le famiglie felici si assomigliano, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo». Melville fu ancora più secco: «Chiamatemi Ismaele».

    Nessun attacco, però, vale quello della Bibbia.

    Non so se la Bibbia sia stata scritta davvero da Dio. Di sicuro, è scritta da dio.

    «Dio disse: Sia la luce!. E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona, e separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno».

    La luce e il tempo

    Nell’estate del 2023 ho passato una giornata molto interessante nei sotterranei del Cern di Ginevra – il luogo più vicino al mistero dove l’uomo sia mai arrivato –, in compagnia della direttrice generale, Fabiola Gianotti. A forza di far scontrare particelle sempre più piccole a velocità sempre più alte, al Cern si è risaliti indietro nel tempo sino a un milionesimo di milionesimo di secondo dopo il big bang, l’esplosione da cui nacque il mondo. In laboratorio si riproduce la temperatura che l’universo aveva un attimo dopo il big bang – centomila miliardi di volte più calda delle nostre torride estati –, e quindi si ricreano le condizioni dell’universo primordiale.

    Ma come il mondo sia nato, come l’energia sia diventata materia, questo non si sa. L’attimo la scienza non l’ha colto, e forse non lo coglierà mai. E se non sappiamo il come, figurarsi se sapremo mai il perché.

    Nella Bibbia, prima del mondo non c’è il nulla; c’è il caos. Creare significa distinguere, discernere, separare.

    Per prima cosa, Dio crea la luce e il tempo. E lo fa con la sua voce. Con la parola. La voce di Dio crea la luce, le dà un nome – giorno – e la distingue dalla tenebra, cui dà il nome di notte. Poi Dio continua a parlare.

    «Dio disse: Sia un firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque. E fu sera e fu mattina: secondo giorno».

    Il primo giorno, il Signore ha creato i cieli, vale a dire lo spazio cosmico tutto intorno alla terra: l’universo. Il secondo giorno ha creato il firmamento, cioè il nostro cielo, per separare le acque del mare dalle acque racchiuse nelle nuvole.

    «Dio disse: Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un unico luogo e appaia l’asciutto. E così avvenne. Dio chiamò l’asciutto terra, mentre chiamò la massa delle acque mare. Dio vide che era cosa buona». Il Signore ordina alla terra di produrre germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto. «E fu sera e fu mattina: terzo giorno».

    Dio disse: «Ci siano fonti di luce nel firmamento del cielo, per separare il giorno dalla notte e per illuminare la terra». Dio crea così gli astri: il sole per governare il giorno, la luna per governare la notte e le stelle. Per i popoli antichi, il sole e la luna erano divinità; ma per gli ebrei e per i cristiani sono creature di Dio. San Francesco li chiamerà fratello e sorella. I pittori raffigureranno il sole e la luna ai due lati della croce su cui è inchiodato Gesù. Il Signore ordina: «Siano segni per le feste, per i giorni, per gli anni». Con il tempo e la storia nascono i calendari, sia quello lunare sia quello solare. «Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: quarto giorno».

    «Dio disse: Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra. Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, e tutti gli uccelli alati, e vide che era cosa buona». La prima creatura nominata nella Bibbia è un mostro marino. Un segno della forza e della potenza della natura primigenia. Un monito: Dio ha creato ogni cosa, anche i mostri; e di tutto vuole che si parli. I mostri possono essere spaventosi o prodigiosi. Infatti Dio benedice anche loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari»; sulla terra si moltiplicheranno gli uccelli. «E fu sera e fu mattina: quinto giorno».

    Oggi noi sappiamo che la vita in effetti viene dall’acqua. Come sia accaduto, è un mistero. Il Nobel per la fisica, Giorgio Parisi, mi ha detto che i pianeti abitabili potrebbero essere miliardi; se poi ospitano esseri intelligenti o soltanto vermi, è per ora impossibile dirlo. Di sicuro tra le prime forme di vita e i mammiferi passarono miliardi di anni, e almeno altri duecento milioni prima che comparisse l’uomo. A Dio, invece, bastò un giorno.

    E la donna diede all’uomo una vita

    Dio disse: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e animali selvatici». Vide che era cosa buona e disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza: domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».

    Alla fine del suo viaggio nell’aldilà, Dante chiede e ottiene di vedere il volto di Dio; solo che poi non lo ricorda. Tutta quella fatica – scendere in fondo all’Inferno, scalare la montagna del Purgatorio, volare attraverso i cieli del Paradiso – per niente: le parole dell’uomo non possono descrivere Dio. Però Dante sa di averlo visto; un po’ come quando ci svegliamo da un sogno, non lo ricordiamo, ma sappiamo di aver sognato. Una cosa però Dante la ricorda: nel volto di Dio ha visto «la nostra effige». Perché, come dice la Bibbia, siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio. Il nostro volto è il volto di Dio. Così gli uomini potranno riconoscere Dio negli altri uomini; e noi possiamo riconoscere Dio negli occhi delle persone che amiamo.

    «Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò». Poi Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme, e ogni albero da frutta che produce seme: saranno il vostro cibo».

    Uomo e donna sono creati insieme, alla pari, per vivere in amore e armonia tra loro e con gli altri esseri viventi. L’uomo, inteso come essere umano, è il custode del creato. Dio glielo affida, ma l’uomo non ne è il padrone; semmai, il protettore. Non ha una signoria, ma una responsabilità.

    Secondo un’antica tradizione ebraica, il nostro mondo è frutto del ventottesimo tentativo di Dio. Gli altri ventisette mondi precedenti non avevano resistito. La sorte del ventottesimo mondo dipende da noi. «Speriamo che tenga» avrebbe sospirato Dio, nel vedere il suo capolavoro.

    Donne e uomini devono proteggere la creazione e continuarla: salvando la natura, generando figli.

    La vita umana vale più di quella animale, ma questo non autorizza l’uomo a mancare di rispetto agli animali; al contrario. L’uomo mangerà piante e frutti: all’inizio è vegetariano, se non addirittura vegano; soltanto dopo il diluvio sarà autorizzato a mangiare carne.

    «Dio vide quanto aveva fatto, e vide che era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno».

    Il settimo giorno, Dio si riposò.

    E qui sorge una domanda: se la creazione è già compiuta con il sesto giorno, che bisogno c’è di aggiungerne un settimo? Sei è un numero imperfetto. Sette invece è un numero primo, indivisibile se non per se stesso. Secondo un’altra tradizione ebraica, il settimo giorno fu creata la menuchà, che non significa solo riposo, bensì pace, serenità, gioia silenziosa. Il settimo giorno non è il vuoto; è la contemplazione della pienezza. «Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro».

    Anche Dio, come i bravi artigiani e i migliori operai, ha il gusto del lavoro ben fatto.

    Ma il racconto dei sette giorni non è l’unico racconto biblico della creazione. Secondo un’altra versione della Genesi, ancora più antica, Dio creò l’uomo subito dopo aver creato il cielo e la terra, prima ancora che germogliassero le piante, prima ancora che cadesse la pioggia. In questa seconda storia, il ruolo dell’uomo è ancora più importante.

    «Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita, e l’uomo divenne un essere vivente». Il suo nome è Adamo. Gli uomini sono ben adam, i figli di Adamo.

    Tutti, aristocratici e plebei, miliardari e mendicanti, discendiamo da un unico uomo: siamo tutti uguali davanti a Dio.

    Poi Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, irrigato da quattro fiumi: il Pison, il Ghicon, il Tigri, l’Eufrate. Gli ultimi due sono fiumi ben noti, e bagnano la Mesopotamia, la terra dei Sumeri, degli Assiri, dei Babilonesi, la culla della civiltà. I primi due sono fiumi misteriosi. Giuseppe Flavio, lo storico della guerra tra Romani ed Ebrei, identifica il Pison con il Gange e il Ghicon con il Nilo. Ma questo è uno dei tanti enigmi della Bibbia che non hanno una soluzione.

    Nel suo giardino, il paradiso terrestre, Dio fa germogliare ogni sorta di albero, compresi l’albero della vita e l’albero della conoscenza del bene e del male. Poi prende l’uomo, lo pone nel giardino dell’Eden, e gli ordina: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire».

    Adamo è innocente, come un bambino. Non conosce il bene e il male, e non deve conoscerli. È inconsapevole. Ed è solo.

    «Il Signore Dio disse: Non è bene che l’uomo sia solo; voglio fargli un aiuto che gli corrisponda. Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati». Così l’uomo impone il nome a ogni animale; è l’aiutante di Dio, il coautore della creazione; eppure «non trovò un aiuto che gli corrispondesse».

    «Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna, e la condusse all’uomo».

    Il Dio di questo secondo racconto della creazione è molto diverso dal primo. È meno solenne. Non dà l’idea di essere onnipotente e onnisciente. Non sembra sapere già tutto. La creazione non è figlia di un disegno superiore; avviene per tentativi. È un Dio artigiano: impasta la terra come un vasaio; pianta gli alberi come un contadino; taglia, estrae e ricuce come un chirurgo.

    La donna, così creata, non può essere ridotta, neppure nel testo della Bibbia, a un aiuto dell’uomo. Infatti «l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne». Nel paradiso terrestre Adamo e sua moglie Eva sono fianco a fianco, nudi, senza provare vergogna.

    È adesso che entra in scena «il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto»: il serpente. Un simbolo sessuale, ma non solo. Il simbolo di una sapienza alternativa, estranea alla morale, al male e al bene; il tentatore per eccellenza.

    Il serpente si insinua tra l’uomo e Dio. E chiede a Eva: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?».

    Eva dice la verità: possiamo mangiare i frutti di qualsiasi albero; «ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». Il serpente risponde: non morirete, anzi, Dio sa che se mangiaste quel frutto vi si aprirebbero gli occhi, conoscereste il bene e il male e diventereste come lui.

    Allora Eva vide che l’albero era gradevole e desiderabile, e il frutto era buono; così lo mangiò, e lo porse al marito. Davvero si aprirono loro gli occhi, e si accorsero di essere nudi; così intrecciarono foglie di fico per coprirsi.

    L’uomo credeva di diventare sapiente; e si rende conto di non sapere nulla, di non conoscere neppure se stesso. Pensava di diventare onnipotente; e si scopre fragile, indifeso. Appunto, nudo.

    Poi Adamo ed Eva «udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno», e si nascosero tra gli alberi.

    Non è stupenda l’immagine di Dio che passeggia tra gli alberi che lui stesso ha creato, in una giornata di eterna primavera, rinfrescata dal vento?

    Eppure l’idillio sta per rompersi, l’incantesimo sta per spezzarsi. La storia umana sta per cominciare.

    Il Signore Dio chiamò l’uomo e gli chiese: «Dove sei?». L’uomo rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino; ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Dio riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?».

    Adamo non prova a negare, ma dà la colpa a Eva. Anche Eva confessa, ma dà la colpa al serpente. Così Dio lo maledice: «Poiché hai fatto questo, maledetto sia tu tra tutti gli animali! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai, per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: lei ti schiaccerà la testa, e tu le insidierai il calcagno».

    Anche ora che l’idillio è rotto e tutto sembra precipitare, le parole di Dio lasciano spazio a una speranza. All’idea di una riscossa, di una rivincita. Il peccato originale sarà lavato, il male sarà sconfitto, il tentatore punito. Per gli Ebrei, la donna rappresenta la comunità di Israele; per i cristiani, è la Madonna, la madre di Gesù.

    Queste però sono interpretazioni successive. Fonte di sollievo, o almeno di consolazione.

    Ma ora Dio, dopo il serpente, maledice anche la donna: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze. Con dolore partorirai i tuoi figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà».

    Sono parole antiche, che non corrispondono al sentire moderno, anche se fino a non molto tempo fa non sarebbero suonate estranee ai nostri antenati. Oggi la sottomissione della donna all’uomo è giustamente considerata un retaggio d’altri tempi. Qualcuno traduce pudicamente la frase con «tuo marito vorrà dominare su di te»; il che resta purtroppo ancora vero, anche in Occidente.

    Rimane il mistero del parto. Se la natura ha reso il concepimento così gradevole, perché ha reso così difficile, rischioso, doloroso dare alla luce un bambino, continuare la creazione? La scienza moderna ha trasformato il parto in un’operazione chirurgica: il parto cesareo, a cui si ricorre forse in modo financo eccessivo. Ma il dolore del parto resta un enigma, e lo era anche per l’uomo della Bibbia, che infatti lo fa risalire alla maledizione di un Dio offeso e irato. E pure Adamo è destinatario di parole terribili.

    Dio gli disse: «Maledetto il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita». Anche la terra è coinvolta nella maledizione: «Spine e cardi produrrà per te, e tu

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