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Spirali. Le parole che curano
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Spirali. Le parole che curano

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Spirali, di Diana Carnevale, è molto più di una silloge poetica. Essa, infatti, somiglia più a un’esperienza estetica nella quale le parole, il loro suono e il loro significato sono mescolati alle arti visive, generando un vortice che avvolge piacevolmente il lettore/fruitore e lo risucchia dentro il mondo espressivo dell’autrice, una specie di universo parallelo. Si tratta di un’opera che è parte di un più ampio e continuo processo di elaborazione e trasformazione, finalizzato, per usare le parole di Diana Carnevale, a “un’individuazione esistenziale essenziale. Un percorso di vita, in dinamica dialettica, mai pago, che evolve umanamente nei suoi vari aspetti”.

Diana Carnevale è una docente in pensione. È nata e vive a Sora (FR).
Pittrice e scrittrice. Nel 2012 ha pubblicato con Albatros Il Filo un saggio dal titolo Autostima, Autonomia, Integrazione; nel 2014 una raccolta di poemi dal titolo Attraversando la Poesia, con Europa edizioni. 
La raccolta di queste nuova silloge, Spirali, va dal 2016 al 2023.
Di prossima pubblicazione due saggi: Imparare a dire e a dirsi e Mi hai resa testimone. 
In programma un lavoro accademico.
LanguageItaliano
PublisherEuropa Edizioni
Release dateSep 19, 2024
ISBN9791220154420
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    Spirali. Le parole che curano - Diana Carnevale

    RECENSIONI

    Un mondo poetico suggestivo tra sospensioni e vibrazioni, emozioni fluttuanti rapprese ed esplodenti. Evocazioni ed immagini affiorano alla coscienza ed esprimono in fiotti aggettivanti il perenne movimento dell’anima che in incessante divenire tra opposti cerca l’equilibrio, la sintesi. Brama approdare e riposare in un «centro in cui posare la pace/Ordinare il mistero.» (Energia slegata)

    Una certezza folgora bucando «l’aggrovigliato indistinto dei pensieri» e «fra le pieghe dell’anima il mistero si svela/Sulle vie dell’amore» (Energia slegata).

    Graziella Tullio

    Essere donna di un altro tempo, di questo tempo, in ogni tempo e cultura, è dilemma, dicotomia tra realizzazione del sé e il bisogno d’amore, d’amare, di svolgere ruoli attesi, a volte pagati con la vita.

    Uno chador trasparente ne vela sempre la possibilità d’espressione che pure rompe gli argini non senza sofferenza per la voglia di esserci, di esistere, con tutti i sensi di colpa nel desiderarlo soltanto. Così le parole diventano antitesi di sé stesse, pur evocanti lasciano trapelare, nella loro cripticità, emozioni domate da razionalità, detto e non detto, accennato e svelato, mischiando le carte e regalando insospettati Jolly o Assi di Picche. Ma dalle strette maglie di questa, per capriccioso caso, sfuggono passione, dolore, richiesta di tenerezza, malinconia, nostalgia.

    Il linguaggio di nicchia è da iniziati, destinato a chi possiede quella chiave misteriosa che possa lasciar fluire il magma interiore incandescente, che non giudichi, che lasci vivere e fluire la vita, guardando più in «Alto».

    La personalità temprata in saggezza dalla sofferenza di passi costruiti a due, dove la vera creatività si esprime e completa per queste vie, l’autrice la scopre nella perdita, nella dolorosa sorpresa della mancanza che rompendo la continuità della vita, le svela quanto ha camminato da sola facendolo insieme all’altro.

    Maria Antonietta Rea

    Ti ringrazio, Diana, per avermi reso partecipe delle tue emozioni, dei tuoi interrogativi (non sempre espliciti), perfino delle tue lacerazioni interiori.

    Ho letto e rispetto questo tuo mondo intimo di pensieri, di ricordi, di riflessioni.

    Un’esperienza che appartiene al tuo spirito e che lascia nel lettore la molteplice e variegata gamma di una umanità dimidiata e di cui tu porti ed esprimi i segni con l’anima prima che con le parole...

    Non è facile dare voce alla più intima realtà che ci portiamo dentro.

    Ti auguro di continuare a colloquiare con la tua interiorità.

    Un saluto di gratitudine,

    Luigi Gulia

    PREFAZIONE

    L’immagine di copertina rappresenta la ricostruzione della chiesa e della piazza di santa Restituta in Sora prima del terremoto del 1915.

    E simbolicamente è in linea con la narrazione poetica e pittorica.

    Un percorso di cinque anni che contempla l’elaborazione di un lutto.

    Questo il primo dipinto:

    due cellule che si dividono. Una perdita. E un distacco traumatico.

    Faccio una premessa:

    Nella scuola Sicof di Roma per consulenti famigliari che ho frequentato adottavano la metafora del tandem, esemplificativa del rapporto di coppia.

    Una coppia sana, si professava, cammina in tandem, due unità distanti e parallele, nella stessa direzione. Come due pilastri che reggono una casa. Un invito a condurre vite libere interdipendenti, nel rispetto, nell’amore e nella comune progettazione. In breve ognuno nel proprio baricentro, in comunione.

    Ma con i tanti anni di vita comune la simbiosi è inevitabile e, se uno dei due va via, l’altro si rompe.

    Due le vie di salvezza: i farmaci o le parole. Io ho scelto le parole. Le parole dei colori, della poesia, della narrazione.

    Pietre non surrogati.

    I colori portano luce, portano alla consapevolezza tutto il turbinio che

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